Tale società tale teologia o tale teologia tale società? Questo potrebbe essere l’adagio che introduce il punto focale della Public Theology, espressione peculiare della ricerca teologica nata e sviluppatasi inizialmente nel contesto statunitense negli ultimi decenni. I tre ingredienti che connotano il terreno sorgivo di tale declinazione della teologia sono: innanzitutto, la collocazione del sapere teologico all’interno dell’agorà democratica di tutti i saperi e, quindi, una frequente dinamica di marginalizzazione e privatizzazione; in secondo luogo, la particolare forma di laicità propria del contesto nordamericano (assai diversa da quella europea e, in special modo, francese), dove il pluralismo è garantito, addirittura favorito e, infine, la questione della rilevanza pubblica della fede. «La teologia pubblica è una risposta da parte della teologia a tale privatizzazione, ricercando formule di argomentazione teologica sulle realtà sociali e rivolgendo il discorso alla società nel suo insieme» (p. 14). Pubblico è contrario, e si comprende in relazione a privato, e in questa dialettica la teologia intende riaffermare l’universalità del cristianesimo, al di là di ogni forma di individualismo, invisibilità e irrilevanza.
Sono principalmente tre le sfide che tale riflessione teologica intende abbracciare: la rilevanza del cristianesimo, cioè del suo significato per le società. Il sale possiede ancora il suo sapore? Come? In secondo luogo, la sfida del pluralismo in particolare etico e interreligioso, infine, la sfida dell’identità e collocazione del sapere teologico sempre esposto al rischio di marginalità, irrilevanza e, ancora peggio, di autoreferenzialità. «La teologia pubblica è un modo per poter condividere nella sua integrità la nostra fede con altri, rispettando al contempo il pluralismo di posizioni che danno forma alla nostra società, tutto ciò con l’obiettivo di migliorare il bene comune. Inoltre la stessa metodologia teologica ci apre a poter ricevere i contributi di credenti di altre religioni e di non credenti nello sforzo comune di migliorare la nostra società» (p. 189).
Gli otto capitoli del saggio accompagnano in un «viaggio» (p. 185) in quattro grandi tappe. La prima offre uno sguardo sul contesto sorgivo della teologia pubblica (cap. 1) e sulle somiglianze e differenze del suo approccio circa i «modelli di intermediazione tra la rivelazione e le realtà sociali» (p. 31), rispetto alle prospettive della legge naturale, della teologia della liberazione e della teologia politica (cap. 2).
Il secondo momento offre una breve storia della disciplina prima descrivendo il dibattito tra R. Bellah e M. Marty sulla civil religion statunitense, e poi offrendo un’esplorazione di vari autori che esprimono «una corrente piuttosto vaga e ampia – uno stile – che esprime l’interesse comune di teologi molto diversi di dare forma all’importanza pubblica e sociale della loro riflessione teologica. In comune c’è l’interesse per il carattere pubblico della teologia» (p. 59). Qui l’A. individua tre modelli principali: «un modello di ascolto che si configura per il tipo di pubblico al quale si rivolge, un modello apologetico che si sforza di rendere significativo per tutta la società il linguaggio teologico, e un modello contestuale che dipende dal contesto concreto nel quale la teologia si sviluppa» (p. 62).
Per la teologia pubblica cattolica emerge come determinante il contributo del teologo di Chicago David Tracy (1939-) e il suo paradigma critico-correlazionale (cap. 4). Nessuna monografia di Tracy è stata finora tradotta in italiano, né il programmatico The Analogical Imagination (1981), né Plurality and Ambiguity (1987) o Dialogue with the Other (1999). Inoltre, uno dei suoi testi nella lingua del Belpaese è frutto di una conferenza a Padova (D. Tracy, La rinominazione postmoderna di Dio come incomprensibile e nascosto, in Studia patavina 48 [2001] 7-17), e l’analisi più complessiva reperibile risulta: D. Balocco, Dal cristocentrismo al cristomorfismo. In dialogo con David Tracy, Glossa, Milano 2012. Un concetto centrale nella proposta di Tracy è quello di “classico”, mutuato dal pensiero di Gadamer. «I classici producono su di noi un effetto che ci conquista per il valore di verità che scopriamo in essi, e questo è ciò che conferisce loro autorità davanti a noi. Pertanto le esperienze culturali o classici possono avere un valore normativo» (p. 81). Il metodo critico-correlazionale consiste poi nell’«articolare correlazioni critiche reciproche tra l’evento dell’esperienza religiosa, che aiuta a interpretare la situazione, e la situazione, che aiuta a interpretare l’evento dell’esperienza religiosa» (p. 84).
Il terzo momento della trattazione analizza i legami tra la teologia e altre discipline; la teologia morale (cap. 5) e la filosofia (cap. 6). Teologia pubblica e teologia morale realizzano un obiettivo comune in vista di un messaggio pubblico, ma adottando prospettive diverse. «Da una parte la teologia pubblica si avvicina ai problemi sociali partendo dai grandi principi teologici e dai grandi simboli religiosi. Dall’altra, la teologia morale sociale si avvicina invece partendo dai problemi concreti ai quali si vuole dare risposta» (pp. 97-98). Per quanto riguarda il confronto con la filosofia emergono come determinanti i contributi di Gadamer (pp. 116-122) e di Habermas (pp. 122-133), e l’A. presenta anche la proposta di Paul Valadier (pp. 133-138) perché capace di offrire «un quadro etico e antropologico in cui introdurre la teologia pubblica» (p. 138).
Il quarto momento propone una disamina dei punti di forza e delle criticità di tale disciplina circa la questione dell’identità, il carattere normativo, l’efficacia effettiva e la consistenza del metodo (cap. 7). Infine, vengono illustrate alcune applicazioni di mediazioni frutto di una teologia pubblica: il magistero sociale negli USA su pace ed economia; sulle armi nucleari e sull’immigrazione; poi sulla situazione sociale in Sudafrica e, come ultima applicazione, la critica del nazional-cattolicesimo in Spagna (cap. 8).
La Public Theology può essere a buona ragione annoverata tra uno dei migliori frutti della riflessione teologica postconciliare, in particolare a partire dalla visione della Gaudium et spes. Il libro di Villagràn rappresenta un’ottima sintesi per conoscere in modo molto ben articolato tale ambito di ricerca quanto mai attuale e importante.
G. Osto, in
Studia Patavina 1/2020, 162-164