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Teologia pubblica
Gonzalo Villagrán

Teologia pubblica

Una voce per la Chiesa nelle società plurali

Prezzo di copertina: Euro 22,00 Prezzo scontato: Euro 20,90
Collana: Giornale di teologia 413
ISBN: 978-88-399-3413-0
Formato: 12,3 x 19,5 cm
Pagine: 208
Titolo originale: Teología pública. Una voz para la Iglesia en sociedades plurales
© 2018

In breve

Uno dei grandi temi della riflessione teologica degli ultimi decenni è stato la dimensione sociale della fede cristiana. Si è sentito il bisogno di articolare i dogmi e i princìpi della fede perché potessero rispondere ai temi sociali, alla vita politica e alla realtà del tempo presente. La cosidetta “teologia pubblica” è una proposta specifica che si muove esattamente in questa direzione, con caratteristiche sue peculiari.

Descrizione

Da alcuni anni si sente parlare di “teologia pubblica” con una certa frequenza. L’espressione si riferisce al lavoro di alcuni teologi attenti anche alla vita sociale e politica. L’idea di una teologia pubblica esprime il desiderio di essere in grado di dirigere la riflessione teologica sulla vita socio-politica per la società plurale nel suo insieme, senza limitarsi ai membri della comunità cristiana.
Dietro quella dicitura sta un’intuizione profonda, una linea di riflessione interessante e originale per la società e la cultura in cui viviamo oggi. Allo stesso tempo, la gamma degli approcci possibili giustifica la varietà degli usi dell’etichetta “teologia pubblica” e dice che l’espressione non è univoca.
Il saggio si incarica di avvicinare questa innovativa corrente teologica per conoscerla a fondo, per scorgere le sue possibilità e i suoi limiti, per pensare a sue possibili applicazioni.

Recensioni

La «dottrina sociale della chiesa» può essere anche chiamata «teologia pubblica»? Di primoacchito viene da pensarlo, ma poi ci si deve ricredete perché contesti, questioni e obiettivi sono diversi. La prima (risignificata e riorganizzata da Giovanni Paolo II a Puebla nel 1979, inquadrata poi in alcune successive encicliche e ultimamente rilanciata da Benedetto XVI nel 2009) definisce il principio del bene comune ancorato alfondamentale principio della centralità della persona, della solidarietà, della sussidiarietà con affondi su famiglia, lavoro, economia, politica, ecc. La seconda, invece, è una riflessione che mira ad arginare e a dissociarsi dalle derive di una fede intesa come credenza soggettiva appartenente alla sfera della vita privata per riagganciare e riattivare una fede «attestata», cioè fondata su un «testo» (la parola di Dio) e necessariamente «testimoniata» (nella prassi). Se la prima è l'organizzazione di un insegnamento «cattolico», la seconda è la considerazione (riflessione) di un'urgenza, un appello e uno stimolo a rispondere alla drammatica perdita di missione e impegno sociale della fede.

Difatti, come bene esplicita, dibatte, critica e valorizza l'autore di questo didascalico e istruttivo volume, la «teologia pubblica» è un indirizzo teologico interconfessionale che muove i suoi primi passi negli USA circa un secolo fa. Da noi in Europa è poco conosciuta e praticata, come del resto sono poco conosciute e, per fortuna, poco praticate altre preoccupazioni, prese di posizione, polemiche e correnti di pensiero. Da noi andrebbe rubricata come una teologia dell’evangelizzazione tesa a discernere i fenomeni sociali, culturali, politici, religiosi, economici quali kairòs di salvezza per l'umanità del nostro tempo. La situazione del cristianesimo negli USA non è oggi delle migliori, va da sé. Caduto il comunismo, che stimolava la dottrina sociale e l'impegno dei cristiani sul terreno della giustizia e della lotta alla povertà, le chiese si chiudono (chi prima chi dopo), si avvitano su se stesse destreggiandosi e galleggiando tra ordine e potere sia ad intra che ad extra. Si blinda sul versante culturale e sul versante pastorale (prettamente autoreferenziale). Una «introversione ecclesiale» stigmatizzata con determinazione da papa Francesco (EG 26ss.). Se negli USA la cosa assurge a paradigma come teologia del capitalismo e del benessere (ammirata in larghi strati dell'America Latina e dell'Europa dell'Est, ma inoculata anche da noi; cf. R. Beghini, Teologia della prosperità, EMP, Padova 2020), per cui si spiegano le virulente detrazioni e gli assalti all'attuale pontificato «comunista» di papa Bergoglio dei teocon e dei «cristianisti», faurori dell'«americanismo cattolico» (e non solo), in Europa l’«introversione» non manca di farsi sentire in teologia (professionale, accademica, astratta), in pastorale (ampi ricorsi alle pietà popolari) e negli equilibrismi ecclesiali (c'è mai la riforma di qualcosa?) che reggono nel mentre si predica l'«estroversione» (una «scolastica» oppure una convinzione?).

Come ben delimita e contestualizza il sottotitolo del volume di Villagrán, è necessaria anche da noi «una voce per la chiesa nelle società plurali» e all'editore va il plauso per averci consegnato alla lettura un testo che ci scaltrisce e ci sveglia per non americanizzarci in un cristianesimo svilito, defraudato, profondamente deficitario proprio in quella teologia che non cessa di contestare.

L’autore attualizza la «teologia pubblica» nel contesto spagnolo: non proprio lontano dal nostro paese. È un richiamo indiretto alla responsabilità della teologia nell'attuale contesto, che si deve fare maggiormente (perché in molte «periferie» teologiche ed ecclesiali si sta lavorando) «pubblica», appunto, capace di intercettare istanze e problemi diffusi nel dibattito secolare, con un linguaggio meno professionale e più adatto a interagire con gli altri linguaggi, così da dimostrarsi efficace anche sul versante della costruzione di cittadinanze glocal.


D. Passarin, in CredereOggi n. 244 (4/2021) 179-180

Tale società tale teologia o tale teologia tale società? Questo potrebbe essere l’adagio che introduce il punto focale della Public Theology, espressione peculiare della ricerca teologica nata e sviluppatasi inizialmente nel contesto statunitense negli ultimi decenni. I tre ingredienti che connotano il terreno sorgivo di tale declinazione della teologia sono: innanzitutto, la collocazione del sapere teologico all’interno dell’agorà democratica di tutti i saperi e, quindi, una frequente dinamica di marginalizzazione e privatizzazione; in secondo luogo, la particolare forma di laicità propria del contesto nordamericano (assai diversa da quella europea e, in special modo, francese), dove il pluralismo è garantito, addirittura favorito e, infine, la questione della rilevanza pubblica della fede. «La teologia pubblica è una risposta da parte della teologia a tale privatizzazione, ricercando formule di argomentazione teologica sulle realtà sociali e rivolgendo il discorso alla società nel suo insieme» (p. 14). Pubblico è contrario, e si comprende in relazione a privato, e in questa dialettica la teologia intende riaffermare l’universalità del cristianesimo, al di là di ogni forma di individualismo, invisibilità e irrilevanza.

Sono principalmente tre le sfide che tale riflessione teologica intende abbracciare: la rilevanza del cristianesimo, cioè del suo significato per le società. Il sale possiede ancora il suo sapore? Come? In secondo luogo, la sfida del pluralismo in particolare etico e interreligioso, infine, la sfida dell’identità e collocazione del sapere teologico sempre esposto al rischio di marginalità, irrilevanza e, ancora peggio, di autoreferenzialità. «La teologia pubblica è un modo per poter condividere nella sua integrità la nostra fede con altri, rispettando al contempo il pluralismo di posizioni che danno forma alla nostra società, tutto ciò con l’obiettivo di migliorare il bene comune. Inoltre la stessa metodologia teologica ci apre a poter ricevere i contributi di credenti di altre religioni e di non credenti nello sforzo comune di migliorare la nostra società» (p. 189).

Gli otto capitoli del saggio accompagnano in un «viaggio» (p. 185) in quattro grandi tappe. La prima offre uno sguardo sul contesto sorgivo della teologia pubblica (cap. 1) e sulle somiglianze e differenze del suo approccio circa i «modelli di intermediazione tra la rivelazione e le realtà sociali» (p. 31), rispetto alle prospettive della legge naturale, della teologia della liberazione e della teologia politica (cap. 2).

Il secondo momento offre una breve storia della disciplina prima descrivendo il dibattito tra R. Bellah e M. Marty sulla civil religion statunitense, e poi offrendo un’esplorazione di vari autori che esprimono «una corrente piuttosto vaga e ampia – uno stile – che esprime l’interesse comune di teologi molto diversi di dare forma all’importanza pubblica e sociale della loro riflessione teologica. In comune c’è l’interesse per il carattere pubblico della teologia» (p. 59). Qui l’A. individua tre modelli principali: «un modello di ascolto che si configura per il tipo di pubblico al quale si rivolge, un modello apologetico che si sforza di rendere significativo per tutta la società il linguaggio teologico, e un modello contestuale che dipende dal contesto concreto nel quale la teologia si sviluppa» (p. 62).

Per la teologia pubblica cattolica emerge come determinante il contributo del teologo di Chicago David Tracy (1939-) e il suo paradigma critico-correlazionale (cap. 4). Nessuna monografia di Tracy è stata finora tradotta in italiano, né il programmatico The Analogical Imagination (1981), né Plurality and Ambiguity (1987) o Dialogue with the Other (1999). Inoltre, uno dei suoi testi nella lingua del Belpaese è frutto di una conferenza a Padova (D. Tracy, La rinominazione postmoderna di Dio come incomprensibile e nascosto, in Studia patavina 48 [2001] 7-17), e l’analisi più complessiva reperibile risulta: D. Balocco, Dal cristocentrismo al cristomorfismo. In dialogo con David Tracy, Glossa, Milano 2012. Un concetto centrale nella proposta di Tracy è quello di “classico”, mutuato dal pensiero di Gadamer. «I classici producono su di noi un effetto che ci conquista per il valore di verità che scopriamo in essi, e questo è ciò che conferisce loro autorità davanti a noi. Pertanto le esperienze culturali o classici possono avere un valore normativo» (p. 81). Il metodo critico-correlazionale consiste poi nell’«articolare correlazioni critiche reciproche tra l’evento dell’esperienza religiosa, che aiuta a interpretare la situazione, e la situazione, che aiuta a interpretare l’evento dell’esperienza religiosa» (p. 84).

Il terzo momento della trattazione analizza i legami tra la teologia e altre discipline; la teologia morale (cap. 5) e la filosofia (cap. 6). Teologia pubblica e teologia morale realizzano un obiettivo comune in vista di un messaggio pubblico, ma adottando prospettive diverse. «Da una parte la teologia pubblica si avvicina ai problemi sociali partendo dai grandi principi teologici e dai grandi simboli religiosi. Dall’altra, la teologia morale sociale si avvicina invece partendo dai problemi concreti ai quali si vuole dare risposta» (pp. 97-98). Per quanto riguarda il confronto con la filosofia emergono come determinanti i contributi di Gadamer (pp. 116-122) e di Habermas (pp. 122-133), e l’A. presenta anche la proposta di Paul Valadier (pp. 133-138) perché capace di offrire «un quadro etico e antropologico in cui introdurre la teologia pubblica» (p. 138).

Il quarto momento propone una disamina dei punti di forza e delle criticità di tale disciplina circa la questione dell’identità, il carattere normativo, l’efficacia effettiva e la consistenza del metodo (cap. 7). Infine, vengono illustrate alcune applicazioni di mediazioni frutto di una teologia pubblica: il magistero sociale negli USA su pace ed economia; sulle armi nucleari e sull’immigrazione; poi sulla situazione sociale in Sudafrica e, come ultima applicazione, la critica del nazional-cattolicesimo in Spagna (cap. 8).

La Public Theology può essere a buona ragione annoverata tra uno dei migliori frutti della riflessione teologica postconciliare, in particolare a partire dalla visione della Gaudium et spes. Il libro di Villagràn rappresenta un’ottima sintesi per conoscere in modo molto ben articolato tale ambito di ricerca quanto mai attuale e importante.


G. Osto, in Studia Patavina 1/2020, 162-164

L’espressione inglese Public Theology è di difficile resa. «Teologia pubblica», infatti, può sembrare una tautologia, come «teologia spirituale» o «teologia pastorale». Può una qualsiasi teologia non nascere dallo Spirito o articolarsi a prescindere dal servizio al popolo di Dio? Ovviamente la risposta è negativa - in modo inequivocabile da Vaticano II -, ma il nascere di queste discipline, più che circoscrivere un oggetto di indagine, tiene all'erta contro una possibile carenza della teologia tutta, almeno in certe epoche.

Il grande diffondersi della teologia «spirituale» all'inizio del XX secolo, ad esempio, evidenziava un eccesso di intellettualismo e di aridità razionalistica nelle riflessioni sull'esperienza credente. L'insistenza sulla «pastoralità» è nata anche come reazione al giuridismo e al clericalismo. Allo stesso modo la giovanissima «teologia pubblica» dice di un pericolo che stiamo vivendo.

«Si tratta di un modo di fare teologia che cerca di raggiungere tre obiettivi contemporaneamente: trattare temi sociali, utilizzare un linguaggio di taglio per quanto possibile teologico ed essere significativo non solo per la Chiesa, ma per la società nel suo insieme». Non una società qualsiasi - si precisa -, ma quella in cui il multiculturalismo è un dato acquisito e non una malattia da curare o un problema da risolvere.

La matrice di questa corrente di pensiero è chiaramente statunitense, ovvero di un contesto in cui sono storicamente evidenti le tentazioni di una teologia autoreferenziale (e in fin dei conti inutile), o troppo secolare nel proporsi come alternativa al mondo degli uomini (rischiando così l'integralismo), o irrilevante nel suo annacquarsi a buona educazione borghese (fuggendo dal suo ruolo profetico).

Il pregio di questo volume è presentare questa corrente anche in ambito italiano. Si ricostruiscono i contesti in cui è nata la Public Theology, se ne tenta poi una genealogia, individuando cioè radici comuni ad altre correnti - come le teologie della liberazione e la teologia politica - per evidenziarne le peculiarità che Villagrán rileva soprattutto a partire dalle opere di David Tracy, a suo giudizio i testi più strutturati e solidi per delineare i tratti della "teologia pubblica": ne evidenzia i nessi con altre discipline e non si sottrae alla fine a una valutazione critica.

Per mostrare che la teologia maggioritaria pecca (anche) di una carenza di attitudine pratica, «la prova del fuoco per queste teologie [...] non consiste tanto nella loro dimensione teorica, [...] ma nella loro realizzazione pratica. La domanda ultima che dobbiamo porre a quelle teologie che vogliono definirsi pubbliche è in che misura soddisfano la caratteristica che si ritiene propria delle religioni di contribuire al bene comune di una società plurale».


M. Ronconi, in Jesus 1/2019, 90-91

Non molti libri offrono un qualificato servizio di chiarimento e d’accompagnamento nella comprensione delle nuove categorie sociali. Questo merito può essere senz’altro attribuito al saggio di Gonzalo Villagrán. L’autore, gesuita, teologo e attualmente rettore della Facoltà di teologia di Granada, propone una riflessione densamente documentata sulla categoria di teologia pubblica.

Questa nozione circoscrive, da alcuni decenni, un particolare campo d’indagine e di ricerca scientifica. La teologia pubblica non si limita a rivendicare una propria genealogia storica e disciplinare. Essa è altresì un riferimento sempre più presente nelle discussioni accademiche e negli insoliti crocevia delle conversazioni pubbliche. Con chiarezza e profondità argomentativa Villagrán restituisce la complessa diversificazione degli approcci e delle tendenze riguardanti la teologia pubblica. Egli riesce contestualmente a tracciare i confini pratici e applicativi di questo particolare ambito disciplinare, senza sacrificarne la portata critica e trasformatrice.

I capitoli del saggio vengono raggruppati in quattro sezioni. Nella I l’autore descrive il contesto sociale e culturale statunitense in cui la teologia pubblica ha mosso i primi passi. Viene dunque accuratamente evidenziato sia il campo d’indagine sia lo statuto scientifico della Public Theology, tenendo conto degli attuali contesti socio-politici e delle diverse tradizioni teologiche contemporanee. Particolarmente illuminanti sono i passaggi che evidenziano le qualità proprie e peculiari della teologia pubblica rispetto alla teologia della liberazione e alla teologia politica (cf. 31-52).

La II sezione ospita una breve storia della disciplina. Vengono quindi presentati gli autori che ne hanno determinato i contenuti principali e gli orientamenti originari: il dibattito tra Robert Bellah e Martin Marty sul «credo civile» nella società americana; la creazione di una rete internazionale di accademici per lo studio della teologia pubblica; la progressiva diffusione della disciplina in ambito cattolico, grazie soprattutto alla riflessione teologica di David Tracy a cui può essere attribuito il ruolo di principale interlocutore nelle argomentazioni di Villagrán.

Nella III sezione si analizzano i collegamenti tra la teologia pubblica e altre discipline come la teologia morale e la filosofia. Proprio nel dialogo con la filosofia politica e sociale la teologia pubblica ha progressivamente affinato il proprio cammino di studio e di ricerca. Da un lato l’ermeneutica di Hans-Georg Gadamer costituisce il retroterra filosofico e metodologico della teologia pubblica, dall’altro l’etica discorsiva di Jürgen Habermas è per essa un imprescindibile riferimento pratico e procedurale. Viene infine analizzata l’opera di Paul Valadier. Il gesuita e filosofo francese ha elaborato infatti una proposta etica e antropologica capace d’interagire adeguatamente ed efficacemente con le ricerche della teologia pubblica.

La IV sezione del volume propone una rassegna estremamente accurata dei punti di forza e di debolezza di questa corrente teologica. Esaminando le obiezioni mosse da più parti all’approccio e al metodo della teologia pubblica, Villagrán offre un quadro articolato e completo della disciplina non risparmiando valutazioni critiche e interventi correttivi, soprattutto nel campo delle applicazioni pratiche e culturali della disciplina stessa.

Il pluralismo è un elemento imprescindibile sia per ricostruire l’evoluzione della modernità sia per comprendere adeguatamente il ruolo delle fedi religiose nel mondo attuale. Diffusasi in un contesto socio-culturale notoriamente pluralistico come quello degli Stati Uniti, la teologia pubblica deve oggi confrontarsi con un processo di differenziazione sociale sempre più accelerato e pervasivo. Oggi sono soprattutto le società asiatiche a presentare inediti e interessanti scenari di convivenza tra fedi e culture differenti. Proprio perché il pluralismo non è solo un dato di fatto, ma anche un elemento dinamico e un orientamento pratico-normativo, la teologia pubblica ne fa una premessa e un contesto d’interazione sociale in cui avviare processi cooperativi e imprese discorsive.

Villagrán ravvisa tra gli elementi che danno forma al panorama dell’attuale socialità globalizzata «il pluralismo crescente e la consapevolezza di essere in un mondo post-secolare che suppone una nuova tappa storica. Queste caratteristiche della società presente fanno in modo che l’intuizione di fondo della teologia pubblica – elaborare un discorso teologico su temi sociali rivolto alla società plurale – diventi ancora più interessante e necessaria» (29). Riconoscendo la complessità e le opportunità del pluralismo nel mondo sociale globalizzato, la teologia pubblica può attestarsi quale credibile ed efficace paradigma teologico-riflessivo per il tempo presente: i suoi contenuti tendono a coincidere con le più rilevanti questioni sociali, il suo linguaggio è quello dell’argomentazione pubblica e il suo destinatario è la società nel suo insieme, non solo una particolare Chiesa o comunità di fede.

Questo approccio pratico e disciplinare traccia non solo le coordinate della teologia pubblica, ma anche quelle di una nuova idea di partecipazione politica e civile. Villagrán sottolinea giustamente come il progetto della teologia pubblica contribuisca prima di tutto al riconoscimento della presenza operante di Dio nelle sfere della socialità umana. Questo si traduce non solo in un maggiore coinvolgimento delle Chiese nella vita pubblica o nei singoli processi democratico-deliberativi.

Ancor più interessante e urgente è la necessità di promuovere una cultura globale della partecipazione individuale e collettiva alla discussione pubblica in quanto luogo di scambi argomentativi, qualificati e duraturi. Nelle finalità primarie della teologia pubblica non ci sono progetti di riforma intra-confessionale, né puntuali proposte rivoluzionarie nei riguardi dell’ordine politico vigente. Questi obiettivi sono infatti subordinati alla diffusione e alla promozione di pratiche sociali capaci di sostenere le qualità argomentative e partecipative dei discorsi pubblici. «Nella teologia pubblica il centro è piuttosto il dibattito pubblico della società plurale, al quale si vuole partecipare con proposte – che in certe occasioni saranno critiche – che provengono dalla propria tradizione. Questo fa in modo che il primo obiettivo non sia la trasformazione della prassi, ma la partecipazione in modo adeguato e persuasivo al dialogo» (51).

Il paradigma critico-correlazionale di David Tracy ha il merito d’aver ispirato e diffuso una certa idea di teologia pubblica in quanto «discorso pubblico teologicamente informato». Tra i passaggi più densi e significativi del saggio vanno segnalati quelli in cui Villagrán presenta il contributo pratico e teorico del teologo newyorkese, autore di The Analogical Imagination: «Il punto di partenza della teologia di David Tracy è la consapevolezza del “carattere pubblico” della teologia in opposizione alla privatizzazione della religione che il secolarismo promuove. La teologia è un discorso pubblico per due ragioni: in primo luogo perché risponde a domande che ogni essere umano si pone, e questa risposta deve essere rivolta a tutti. In secondo luogo perché la teologia parla di Dio, che affermiamo essere verità, pertanto un discorso su di lui deve poter essere significativo per ogni uomo e donna» (77).


V. Rosito, in Il Regno Attualità 22/2018, 678