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Teologia nella postumanità
Cosimo Quaranta

Teologia nella postumanità

Prospettive di dialogo con i post- e trans-umanesimi del presente

Prezzo di copertina: Euro 44,00
Collana: Biblioteca accademica 3
ISBN: 978-88-399-1113-1
Formato: 15,24 x 22,86 cm
Pagine: 448
© 2025

Descrizione

Le donne e gli uomini di oggi sono ancora “esseri umani” in senso pieno, o l’ibridazione con la tecnologia li ha già trasformati in qualcosa di nuovo? Se il corpo può essere potenziato, modificato o persino sostituito, cosa resta dell’identità umana? E quale futuro ci attende in un mondo sempre più governato da intelligenza artificiale, Big Data e biotecnologie? In questo volume di Cosimo Quaranta antropologia ed escatologia teologiche cristiane si confrontano con le sfide del postumanesimo e del transumanesimo, in un dialogo serrato tra filosofia, scienza e teologia. Attraverso un’analisi critica e interdisciplinare, l’autore indaga il destino dell’umanità, il senso ultimo della vita e il valore del corpo nell’epoca delle macchine intelligenti.

Recensioni

Cosimo Quaranta è un giovane teologo e filosofo già docente di teologia di Popolo all’ISSR Ecclesia Mater. Ha recentemente pubblicato presso Queriniana Teologia nella postumanità – Prospettive di dialogo con i post- e trans-umanesimi del presente e su questo libro gli abbiamo rivolto alcune domande.

Caro Cosimo, hai pubblicato qualche mese fa per i tipi della Queriniana Teologia nella postumanità, un libro assai corposo e articolato. Ci puoi tratteggiare il percorso che ti ha portato a questo studio? E quali sono stati i tuoi punti di riferimento fondamentali per orientare la riflessione?

Certo! Un percorso che è stato (ed è ancora) entusiasmante! Teologia nella postumanità nasce da una convinzione profonda: la teologia ha ancora molto da dire sull’essere umano, soprattutto in un tempo in cui la persona è in fase di ridefinizione sotto tanti punti di vista. Dopo un primo lavoro sulla dimensione antropologica dell’Ascensione come cifra teologica dell’umano in cammino verso la pienezza (Pienezza, TAU 2022), mi sono confrontato con due teologi contemporanei – Giovanni Ancona e Mario Bracci – e grazie a loro ho realizzato quanto sia attuale l’urgenza di misurarmi con le narrazioni culturali, tecniche e scientifiche che oggi promettono un “oltre” all’umano. L’interesse per il postumano e il transumano è nato quindi da una necessità di pensiero critico per abitare il presente.

I riferimenti sono stati poi molteplici. Ho interrogato personalmente alcuni filosofi e teologi, ho organizzato dibattiti e ho viaggiato partecipando a diversi convegni per individuare i sentieri e i filoni da indagare. Oltre a questi incontri, ho poi dedicato giornate intere in biblioteca per lo studio più approfondito con tante altre pensatrici e pensatori. Giusto per elencare qualche nome: filosofi come Donna Haraway, Rosi Braidotti, Luciano Floridi; teologi come Giorgio Bonaccorso, Paolo Benanti, Giuseppe Tanzella Nitti, Rosemary Radford Ruether; pensatori come Pierre Teilhard de Chardin, che già a metà Novecento anticipava il rapporto tra evoluzione e spiritualità; docenti di università italiane e pontificie come Giovanni Salmeri, Paolo Trianni e Tiziano Tosolini. E, naturalmente, i testi del Concilio Vaticano II. Sono particolarmente legato all’eredità della Gaudium et Spes e poi ai magisteri recenti di papa Benedetto XVI e papa Francesco, entrambi consapevoli del cambiamento d’epoca e della necessità di una teologia capace di discernere i segni dei tempi.

Rispetto ai maestri e ai testi che ti hanno indirizzato, puoi dire di aver aggiunto qualche prospettiva nuova o qualche intuizione originale al dibattito sulla teologia della tecnologia e nel rapporto teologia-transumanesimo?

Spero di aver contribuito in due direzioni principali. La prima è una proposta antropologica che si fonda sulle parole chiave di agape e vocazione: l’umano non è solo il risultato di un’auto-programmazione o di una selezione evolutiva, ma è una chiamata a essere in relazione, a compiersi nell’incontro con l’altro e con l’Altro. Poiché l’a/Altro (sia con la minuscola, sia con la maiuscola) è un appello al soggetto a entrare in contatto con il volto, la storia, le speranze, i destini, allora credo che le categorie di prossimità, fraternità e relazionalità come insegnate dal Vangelo siano fondanti per quelle relazioni che vogliano dirsi “umanizzanti”. Al contrario, senza queste, ma anche senza la carità e senza la scoperta che la vocazione è un intreccio di chiamate nella vita, credo che il presente e il futuro posthuman saranno “disumanizzanti”.

La seconda è di tipo escatologico: molte visioni transumaniste sono animate da un’escatologia, cioè da un desiderio di compimento eterno, che più autori ormai definiscono “impropria”. Si tratta, cioè, di quel sogno di immortalità e pienezza di vita che è stato abbassato a tensioni immanenti e quindi il soggetto è ridotto a insieme di dati, backup di coscienza, sopravvivenza tecnica. La proposta cristiana non nega il desiderio di vita piena, ma lo orienta verso la riscoperta di una dimensione dell’esistenza umana fondata nella fedeltà d’amore del Creatore, piuttosto che nello sforzo prometeico del singolo. La donna e l’uomo, chiamati a relazione speciale dall’amore che li ha creati, trovano più autenticità di vita nella comunione con questo amore, piuttosto che nella frammentazione della realtà. Nel libro cerco, quindi, di rilanciare l’escatologia come chiave critica e propositiva: la speranza cristiana è un fondamento solido di vita perché ciò che la sorregge è la fedeltà della mano di Dio che ha chiamato all’esistenza tutto ciò che è.

E su quelli del futuro cosa immagini? Come vedi la post-umanità tra 50 o 100 anni?

Non ho pretese profetiche, ma alcune tendenze sono già visibili. La commistione tra umano e macchina continuerà. Vedremo sviluppi sempre più avanzati nell’integrazione di intelligenze artificiali nei processi cognitivi e decisionali. Alcuni scenari, come il caricamento della coscienza su supporti non biologici, oggi appaiono come fantascienza, ma sono già oggetto di ricerca (si pensi al mind uploading). Credo però che ci siano limiti ontologici che la tecnica, per quanto potente, non potrà superare, poiché la coscienza non è riducibile a informazione (con buona pace delle teorie informazionali e dataiste).

Tra i guadagni dell’epoca postumana, invece, auspico che possano crescere una maggiore consapevolezza dell’interdipendenza, un’attenzione più radicale alla fragilità e la possibilità di cure più avanzate e realmente alla portata di tutti. Mi permetto di dire “realmente alla portata di tutti” perché un nuovo segno discriminatorio già davanti agli occhi di tutti è la nuova forma di povertà che divide l’umanità in connessi e disconnessi, tecnologicamente avanzati e non, gestori delle risorse e popoli immiseriti e sfruttati a causa delle risorse stesse. Tra i pericoli, quindi, elencherei: la perdita del senso della creaturalità e finitudine, l’abbassamento del valore della relazione corporea e la costruzione di nuove forme di disuguaglianza “tecnica”. Spiritualità e teologia, a mio avviso, sono chiamate a discernere queste tensioni con lucidità.

Tentando di sintetizzare in brevi formule il messaggio del libro, cosa diresti?

Provo a darti due slogan, anche se sono frasi che, pur condensando le idee di fondo, non si trovano esattamente così nel testo:

  • Non siamo semplicemente dati da elaborare, ma volti da amare.
  • La tecnica può potenziare la vita, ma solo l’agape la trasfigura verso la pienezza.

Curi un bel sito web BeeBlaLo.com. Ce ne vuoi parlare?

BeeBlaLo nasce come spazio di condivisione. Il nome è giocoso. È nato durante i mesi del confinamento da Covid, mentre cercavo un termine che potesse richiamare l’onomatopea del “bla bla” alla quale unire il lavoro laborioso. Così ho pensato all’ape (da cui “Bee”) e poi giocando con vocali e consonanti il “bla bla” è diventato un “Bla” con un “Lo” finale per rimandare all’azione del parlare. Lo spirito del sito è sia leggero, che serio: offrire contenuti legati al commento della Scrittura con profondità, intelligenza e leggerezza. È uno dei modi con cui provo a rendere accessibile la teologia al di fuori delle aule fisiche, approfittando della rete come di una super-aula virtuale. Dato che i contenuti sono scritti da me negli intervalli di tempo tra le varie ricerche oppure per delle occasioni particolari, non ho scadenze fisse. E poi ho scelto la libertà di non avere finanziatori ai quali rendere conto perché la Parola di Dio è un dono gratuito e non posso sottomettere una risorsa digitale ai capricci del mercato. Quindi, la mia speranza è che possa essere uno strumento semplice, libero e accessibile… e che magari possa ispirare nella condivisione a propria volta tanti altri credenti ben preparati.


In TrascendenteDigitale.it 27 agosto 2025

[...] Nel tuo libro parli di postumanità. Di cosa si tratta?

Postumanità è un termine ombrello. È un collettivo di più sfumature di significato. Detto in breve: è un termine che indica la trasformazione radicale del modo in cui pensiamo l’essere umano; è l’obiettivo ideale da raggiungere e per farlo abbiamo le proposte concrete dei transumanisti. Oggi tecnologie come l’intelligenza artificiale, la robotica, le neuroscienze, la genetica stanno modificando non solo il corpo, ma anche l’immaginario collettivo e la visione della vita. Il postumano non è solo fantascienza: è il modo con cui il nostro tempo guarda al futuro. Su questo argomento mi permetto di segnalare il grande contributo di Tiziano Tosolini, filosofo e teologo docente presso la Pontificia Università Gregoriana. Il mio libro cerca di ascoltare queste domande, senza facili entusiasmi né chiusure difensive. È una proposta teologica che intende dialogare con i cambiamenti in atto e riaffermare la dignità dell’essere umano come chiamato, amato, redento. Siamo anzitutto dei volti e delle storie, anche se un riduzionismo del nostro tempo vorrebbe semplificare tutto a dati e intreccio di numeri.

Ne è nato un libro…
Sì. Teologia nella postumanità, pubblicato da Queriniana nell’aprile 2025. È un testo articolato in due parti. Nei primi tre capitoli analizzo i contesti culturali, filosofici e scientifici dell’epoca di transizione postumana. In particolare, dopo il capitolo di apertura, il secondo scende nel dettaglio dei termini “postumano” e “transumano”, mentre il terzo è un affascinante percorso nelle artificializzazioni e virtualizzazioni di ciò che abbiamo sempre esperito come elementarmente naturale. Nei capitoli finali, propongo una risposta teologica centrata su tre parole: vocazione, agape e speranza. La prima ricorda che l’umano non si costruisce da solo, ma è chiamato a relazioni di senso; la seconda è la forma più alta dell’amore inverata dal Risorto; la terza è lo sguardo aperto verso il futuro. La tecnologia può essere uno strumento prezioso, ma non sostituisce la sete di pienezza e comunione che abita il cuore umano. Ecco perché i capitoli finali sono specificamente dedicati alla questione antropologica e quella escatologica tout court.

Cosa speri che il lettore porti con sé dopo aver letto il libro?
Spero porti con sé una rinnovata fiducia sia nel tempo che viviamo, sia nella possibilità di leggere in esso i segni della grazia. La fede cristiana è ben più che una bussola per orientarsi nel cambiamento. È la certezza della presenza del Risorto che ci aiuta a discernere i segni dei tempi. Nel presente che viviamo ci è data la possibilità di abitare la tecnica senza esserne dominati e di promuovere la bellezza dell’umano come mistero da custodire. Il libro è pensato per chi cerca, per chi insegna, per chi educa, per chi si interroga. E anche per chi non si accontenta delle semplificazioni ideologiche. In fondo, come ha ripetuto più volte papa Francesco, non viviamo solo un’epoca di cambiamenti, ma un vero cambiamento d’epoca. Sono convinto che la teologia sia chiamata ad accompagnarlo con responsabilità e carità.


L. Magarelli, in Il Domenicale di San Giusto 20 luglio 2025

Se il transumanesimo fa pensare alla nanogenetica e il postumanesimo al cyborg di Donna Haraway, agganciare al binomio come terzo termine la parola teologia non è così immediato. Per fare un po’ di chiarezza abbiamo chiesto al ricercatore e docente di teologia Cosimo Quaranta di dialogare con noi sulla sua ultima pubblicazione, Teologia nella postumanità, edita da Queriniana, editrice italiana di autori tra cui Ratzinger, Kasper, Moltmann.

Dopo un saggio sull’ascensione, lei torna a pubblicare, ma questa volta sul transumanesimo. Vuol dire che l’umanità è giunta a un traguardo definitivo?

Al contrario. Se il mio libro precedente, Pienezza, guardava verso l’alto – il cliché letterario dell’ascensione come simbolo di un’umanità elevata dalla potenza della comunione con Dio – questo nuovo lavoro guarda verso ciò che oggi anela e lotta per elevarsi da sé e con strumenti ben progettati. Il transumanesimo promette un superamento dei limiti umani attraverso la matematizzazione del reale ridotto a insieme di dati. E tutto questo lo fa in chiave immanente, abbassando al contingente l’anelito di trascendenza. Con Teologia nella postumanità ho voluto mettere in dialogo queste due visioni: l’autosuperamento tecnico e la vocazione alla pienezza cristiana. Non siamo a un traguardo definitivo, ma a un punto di svolta epocale.

Una svolta di cui dobbiamo preoccuparci? Siamo a un inizio o davanti alla fine?

Non mi piacciono gli estremi. L’esperienza ci insegna che la vita è poliedrica. Sebbene il postumano abbia a che fare con la teoria del Manifesto cyborg di Donna Haraway, il termine in sé non vuol dire mostruoso o fantascientifico. Significa che l’umanità sta cambiando profondamente. In particolare ciò che muta è la concezione di se stessi e del proprio destino. L’intelligenza artificiale, le biotecnologie e il digitale stanno trasformando il nostro modo di pensare il corpo, la mente e le relazioni. Postumano è un cosiddetto termine ombrello, un collettivo di più significati. Parliamo di “postumanità” quando l’uomo non è più visto come un dato fisso, ma come un progetto da potenziare, riprogrammare, magari anche “superare”. Il mio libro parte da qui e non per spaventare. Piuttosto per capire, per proporre un dialogo tra teorie post- o trans-human e pensiero antropologico e teologico.

Cosa può dire la teologia davanti a tutto questo?

Può dire molto, ma deve prima mettersi in ascolto. La tradizione cristiana ha sempre cercato di capire l’uomo e il suo destino. Già Agostino nel IV libro delle Confessioni parlava di sé come della più grande quaestio davanti a se stesso. Oggi l’uomo si interroga in modo nuovo sulla propria identità, il valore del corpo, il senso della morte e della vita. Il compito della teologia è offrire parole autentiche per domande che si rinnovano giorno per giorno. Questa, fedele al Vangelo, senza cedere al tecnicismo né al fondamentalismo, ricorda che il valore dell’essere umano non si misura in dati, prestazioni o algoritmi, ma nell’essere amati gratuitamente, chiamati, salvati. In fondo, il Vangelo parla proprio a uomini e donne concreti, gente di ogni tempo. E credo che sia un segno di questi tempi nuovi anche l’evento ecclesiale recente dell’elezione di Papa Leone XIV.

In che senso?

Il nome che ha scelto richiama il predecessore, Leone XIII, autore della Rerum Novarum, un testo spartiacque che seppe riconoscere l’urgenza per la riflessione teologica e per la testimonianza cristiana di abitare il mondo che cambiava rapidamente rimettendo al centro di tutto la carità (Rerum Novarum 45). Ebbene, quanto è denso di novità il tempo di oggi, già solo rispetto a qualche decennio fa? Le nuove tecnologie hanno accorciato le distanze, virtualizzato i rapporti, velocizzato gli scambi. In tutto questa rivoluzione storica quasi assicurano anche di poter “salvare”. Qui è il nodo della questione post- e transumana. Il desiderio di salvezza che ciascuna donna e uomo della terra portano dentro di sé. Salvezza come compimento e come assicurazione di vita piena.

Tornando al suo testo, quali sono i temi principali che affronta in esso?

Il libro è diviso in due parti. Nei primi tre capitoli analizzo i contesti culturali: l’epoca postumana, il ruolo della tecnica, i paradigmi di emergenza e di complessità, le nuove definizioni di postumano e la dematerializzazione di campi di esperienza fondamentali di vita. Tra i riferimenti teorici, filosofici e teologici principali ci sono la già citata Donna Haraway e poi Rosi Braidotti, Werner Heisenberg, Paolo Benanti, Mario Bracci, Giuseppe Tanzella Nitti e molti altri. Nei capitoli finali propongo una riflessione più propriamente agganciata al dato teologico: la vocazione come identità relazionale, l’agape come fondamento dell’etica, la speranza come orizzonte per un futuro autenticamente umano. Per questa seconda parte la base teologica è decisamente ecumenica, infatti lascio intrecciare e far reciprocamente illuminare teologhe e teologi ortodossi, riformati e cattolici.

Ecumenismo indotto dalla iperconnessione globale? Vuole fare un po’ tutti contenti?

Non direi. Piuttosto è avere ben chiaro che il fondamento del pensiero teologico è Cristo. Dunque se c’è una realtà umana che tocca tutti i fedeli in Cristo, in questo caso la rivoluzione del postumano, allora ci sono segni dei tempi che dobbiamo provare a cogliere tutti insieme. E tutti insieme significa: sinodalità, ascoltarsi tutti, ascoltare sia gli esperti, sia la base della società. Ascoltare tutti per cogliere che ciò che ci lega nel profondo è un comune anelito di felicità. Alcune istanze dei postumanesimi e dei transumanesimi contemporanei è proprio su un desiderio di felicità come realizzazione di pienezza che fanno presa nell’immaginario collettivo.

A quale immaginario collettivo fa riferimento?

Mi riferisco all’immaginario creato dalla produzione dei fumetti di supereroi nati a metà del secolo scorso, ma anche ai numerosi film da quelli fantascientifici a quelli distopici che possiamo guardare grazie a qualsiasi piattaforma di visione online. Ciò che essi raccontano dicono di un essere umano che non basta più a rendere ragione di se stesso. Pensiamo ad esempio ad alcuni dettagli che ci dicono il grado di postumanità delle idee di fondo: Robocop è un cyborg che può proteggere il prossimo perché ha una tecnologia aggiunta al corpo; Spiderman diventa un super-umano perché sono coinvolti i livelli dell’atomico e del genetico; la saga di Star Wars preconizza un futuro nel quale ciò che è terrestre non basterà più a dare salvezza, come accade per l’alieno Superman; la serie Black Mirror racconta futuri distopici nei quali la tecnologia avrà definitivamente soppiantato l’umano elementare e di natura. Tutto questo e molto altro contribuiscono a creare un immaginario collettivo secondo cui sia necessario dovere mettere in qualche modo un segno + davanti all’essere umano affinché acquisti senso.

Lei a chi si rivolge? Il suo è un libro per specialisti?

No. È scritto con rigore ma pensato per chiunque sia curioso: studenti, docenti, pensatori, educatori, credenti in ricerca, persone che si pongono domande sul futuro dell’umano. Chi guarda con interesse (e magari con inquietudine) ai temi del digitale, dell’IA, del corpo, troverà qui uno sguardo lucido e appassionato. È un libro che unisce filosofia, scienza, fede e prova a costruire ponti, non a chiudersi in linguaggi accademici.

Se dovesse riassumere tutto in una frase?

Il presente e il futuro dell’umano si decidono dall’amore con cui sappiamo guardare il prossimo. È un principio eminentemente evangelico eppure allo stesso tempo così laico ed eterno. Appartiene a tutte le culture. La fede cristiana, anche nell’era della postumanità, ha una importante parola da dire al mondo: non per spiegare tutto, ma per custodire il mistero della bellezza della vita. Anche – e soprattutto – in un tempo di grandi trasformazioni.


A Coppari, in Quotidinao.net 16 giugno 2025

Viviamo in un cambiamento d’epoca in cui l’umano non è più considerato un dato stabile, ma un progetto in trasformazione. L’intelligenza artificiale, la biotecnologia, la digitalizzazione delle relazioni e la virtualizzazione dell’esperienza stanno modificando radicalmente il modo in cui concepiamo il corpo, l’identità, la libertà e persino il senso stesso dell’essere donne e uomini. In questo scenario, parlare di “postumanità” non è una provocazione, ma una necessità culturale. È proprio questa la sfida al centro del nuovo saggio Teologia nella postumanità firmato da Cosimo Quaranta, teologo e filosofo legato – per formazione o per ricerca attiva – a differenti realtà accademiche (tra cui l’Università di Roma Tor Vergata, la Pontificia Università Gregoriana e l’ISSR “Ecclesia Mater” di Roma) e organizzatore dei cicli di incontri culturali “I dialoghi di San Policarpo”.

Dialogo con i grandi pensatori del presente

Il volume si misura con alcune delle questioni più urgenti del presente, in dialogo con filosofi e teologi contemporanei come Donna Haraway, Rosi Braidotti, Paolo Benanti, Rosemary Radford Ruether, Giuseppe Tanzella Nitti. Il quadro teorico si muove su due assi: da un lato, la decostruzione delle certezze moderne sull’identità, sul soggetto e sul futuro dell’uomo; dall’altro, la ricerca di una proposta cristiana che possa tornare a dire l’umano nella sua complessità, senza nostalgie né cedimenti assiologici.

Tecnologia, identità fluide e nuove forme di spiritualità

Nelle prime sezioni, il saggio analizza le trasformazioni culturali in atto: il mutamento d’epoca, l’ibridazione delle identità, l’emergere di soggettività fluide, la centralità crescente delle tecnologie nella definizione dell’umano, fino alla comparsa di nuove forme di spiritualità secolarizzate. Ne emergono dinamiche trasversali che coinvolgono tutti: credenti e non credenti, giovani e adulti, scuole e comunità religiose. Comprenderle diventa il primo passo per un discernimento credente all’altezza della realtà.

Vocazione, agape e speranza: la proposta teologica

Ma il libro non si ferma al piano analitico. Nei capitoli finali avanza una proposta teologica che ruota attorno a tre grandi parole-chiave: vocazione, agape e speranza. In un tempo in cui la libertà sembra identificarsi con l’autocostruzione individuale, la teologia cristiana può ricordare che l’umano è prima di tutto relazione, apertura all’altro (e all’Altro) e capacità di accogliere una chiamata. L’amore gratuito – l’agape evangelica – è proposto come forma piena di umanizzazione, capace di superare la logica della prestazione e della funzionalità, secondo l’immagine del Cristo che, concordemente all’insegnamento conciliare, è capace di svelare all’umano il mistero di sé e della sua vocazione e dignità (Gaudium et Spes n. 22). Infine, la speranza escatologica non come fuga dal presente, ma come forza generativa per abitarlo in modo nuovo, alla luce del Risorto.

Una lettura per credenti e pensatori in ricerca

Teologia nella postumanità si rivolge a un pubblico ampio: studenti, educatori, pastori, credenti in ricerca, lettori curiosi. Con rigore e chiarezza, nello stile che Quaranta ha dimostrato già nel precedente saggio “Pienezza” (TAU 2022), invita la teologia ad abitare le trasformazioni del presente, senza perdere la fedeltà al Vangelo. È questo un contributo importante per rilanciare una fede pensata e capace di futuro.


In Avvenire di Calabria 15 maggio 2025