La malattia e la sofferenza, in quanto esperienze ineludibili di ogni essere umano, e le diverse pratiche terapeutiche che si possono intraprendere sono il tema di interesse principale dell’autore. Jean-Claude Larchet, nato in una famiglia cattolica nel 1949, durante gli studi di Filosofia incontra gli scritti dei Padri greci, e nel 1971 si converte al cristianesimo ortodosso all’interno del quale è reputato un teologo di spicco e autorevole esperto di Massimo il Confessore. Dottore in filosofia e in teologia, è autore prolifico di testi che riguardano l’etica e l’antropologia confrontate con le questioni della salute e della malattia spirituale, psicologica e fisica al fine di indagare i criteri evangelici di possibile comprensione della sofferenza.
Il volume qui presentato è stato pubblicato in Francia da Les Editions du Cerf nel 1991 ed è ora alla sua seconda edizione italiana per i tipi della Queriniana. Benché l’opera sia di lettura scorrevole a motivo del suo carattere divulgativo, nondimeno a tratti si avverte una certa fatica nel seguire lo sviluppo del pensiero dell’autore, la cui pretesa è una sintesi coerente, quasi sistematica, dell’antropologia teologica dei Padri greci. Occorre infatti ricordare che la teologia della Chiesa ortodossa non si è mai allineata ad alcuna corrente filosofica e non presenta carattere di sistema; ne consegue che le dottrine dei diversi teologi procedono per analogie parallele ma non sempre convergenti. Indubbiamente esistono punti di profondo contatto all’interno degli autori denominati come Padri greci; ad esempio, l’assunto di base, accolto acriticamente da Larchet, secondo il quale, poiché ogni elemento del corpo è custodito dalla facoltà intellettuale dell’anima, l’origine della malattia (infermità, corruzione morale, sofferenza e morte) va ricercata nell’uso di una cattiva morale da parte della volontà umana.
Ciò nondimeno nel testo si fa anche avanti una versione attenuata della responsabilità individuale rispetto alle cause delle infermità fisiche, in quanto le malattie che colpiscono gli esseri umani possono essere imputate non tanto ai loro peccati personali, ma al fatto che condividono la natura decaduta del progenitore Adamo di cui la degenerazione fisica è conseguenza. La perdita della somiglianza con Dio, effetto della colpa di Adamo, produce da sé la sua punizione: il male fisico, psichico, spirituale. Senza addurre in via esegetica o teoretica un’argomentazione cogente, Larchet parrebbe aver risolto, senza particolare fatica teologica, il quesito: unde malum? e la complessa riflessione sulla teodicea.
Tornando alla fisiologia della malattia fisica, ciò che disorienta è il fatto che essa è compresa unicamente secondo la categoria metafisica e morale di peccato. Ne deriva che la guarigione fisica non può prescindere dalla remissione dei peccati. Che le conoscenze scientifiche dei Padri greci riproducano necessariamente quelle dei loro tempi è cosa di per sé evidente, ciò che sorprende è la stretta adesione dell’autore al sospetto sull’efficacia della scienza medica nella risoluzione della malattia.
Non manca nel volumetto la riflessione sulla malattia e la sofferenza del giusto. Attraverso una lettura irenica del libro di Giobbe, secondo cui la responsabilità della tragedia che colpisce l’uomo pio dipende unicamente dall’azione del diavolo, si fa strada l’idea che alcuni immensi benefici spirituali non possano giungere all’anima che attraverso i patimenti fisici. Detto in breve: la malattia è una delle manifestazioni della Provvidenza di Dio. La miseria del corpo conduce a riconsiderare l’infermità dell’anima, la lontananza da Dio, e suscita il desiderio di purificazione spirituale per poter partecipare della dimensione della grazia, e così ritrovare un equilibrio anche nelle funzioni del corpo. La malattia che colpisce la natura fisica dell’uomo è funzionale a provocare uno sguardo introspettivo sullo stato di salute/salvezza della persona. Scrive Giovanni Crisostomo: «non è invano né senza motivo che siamo esposti alle malattie». Questo punto di vista comporta la possibilità di attribuire alla malattia un valore di pedagogia per l’ascesi spirituale: iniziale per il peccatore, ulteriore per il giusto.
Va da sé che sul piatto della bilancia dell’analisi di Larchet riguardo le vie di guarigione, la scienza, con la sua verità relativa e mutevole, pesi sempre meno della verità immutabile e salvifica del dogma. Ora, su questo punto, anche se non esattamente in questi termini né secondo le stesse conclusioni, la riflessione occidentale sulla medicina come scienza della cura del corpo inteso in maniera non solo organicistica, ma come complesso delle funzioni della persona, si sta da tempo interrogando in merito al valore e all’efficacia dell’accompagnamento spirituale del malato. Si rilanciano studi sui benefici della fede legati al senso di rassicurazione dell’emotività profonda rispetto all’inevitabile inquietudine del paziente generata dalla precarietà della sua salute, e sulle conseguenze positive dell’atto di pregare anche in quanto tecnica regolatrice della respirazione e dei ritmi cardiaci.
Per un lettore o lettrice interessati ad integrare la fisiologia naturale della malattia e l’esperienza del dolore con la dimensione di senso razionale-affettiva-spirituale, alcuni punti di questo volumetto possono offrire passaggi su cui l’attenzione ha l’opportunità di essere stimolata ad approfondire. Restano in ogni caso, per chi scrive, non indifferenti perplessità su nodi teologici di rilievo presentati con troppa frettolosità attraverso l’accorpamento, non sempre omogeneo, di brevissime citazioni di differenti teologi ortodossi, e lo screditamento latente ma costante della scienza medica.
E. Natoli, in
Protestantesimo 4/2021, 283-284