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Sinodalità
Aldo Martin

Sinodalità

Il fondamento biblico del camminare insieme

Prezzo di copertina: Euro 15,00 Prezzo scontato: Euro 14,25
Collana: Giornale di teologia 434
ISBN: 978-88-399-3434-5
Formato: 12,3 x 19,3 cm
Pagine: 192
© 2021

In breve

Prefazione del card. Pietro Parolin

«Quello delle sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla chiesa del terzo millennio» Papa Francesco, 17 ottobre 2015.

Descrizione

I termini “sinodo” e “sinodalità”, che si propongono come categorie ecclesiologiche oggi imprescindibili, nel Nuovo Testamento semplicemente non compaiono. Eppure, anche se non nominate in modo esplicito, sono dimensioni autenticamente presenti nelle comunità delle origini e affiorano in molti testi fondanti.
Il saggio del biblista Aldo Martin ha il merito di metterle in luce, raccogliendole attorno ai momenti storico-narrativi del dispiegarsi ecclesiale, così come si presentano nella fonte biblica. Le diverse scansioni – una chiesa che è convocata, che è attuata, che è strutturata, che è inviata e che è orientata all’éschaton – costituiscono l’ossatura di una ecclesiologia biblica sinodale, elaborata in dialogo con il documento della Commissione teologica internazionale La sinodalità nella vita e nella missione della chiesa e in vista del Sinodo ordinario dei vescovi previsto per il 2023.

Recensioni

Nella sua Prefazione il card. Pietro Parolin centra da subito il tema dominante della riflessione dell'autore affermando che si tratta di un «vero e proprio trattato di ecclesiologia biblica» (p. 5). Lo è, in effetti, non solo per i contenuti sbrogliati lungo i cinque capitoli, ma anche sin dalla struttura stessa del volume, che coerentemente apre su una chiesa che è «convocata» (cap. 1, pp. 21-52), «attuata» (cap. 2, pp. 53-80), «strutturata» (cap. 3, pp. 81-116), «inviata» (cap. 24, pp. 117-140) ed «escatologicamente orientata» (cap. 5, pp. 141-158). Questo abbozzo nasce da una precedente riflessione che l'autore ha sapientemente tracciato sul documento della «Commissione teologica internazionale» su La sinodalità nella vita e nella missione della chiesa(2 marzo 2018). Lì ne rilevò e valorizzò «lo sfondo biblico» esplicito (nn. 12-23) e implicito.

Un lavoro originale e prezioso che ora il lettore si trova precisato, arricchito e compiuto in questo bel volume. Se la sinodalità è l'altro nome della chiesa (cf. Giovanni Crisostomo citato da papa Francesco) ci siamo: qui abbiamo un trattato di ecclesiologia biblica essenziale, ben scritto e soprattutto alla portata di tutti, il che nella strabbondante bibliografia in merito non è poi così comune.

Qualcuno ha scritto che sinodalità (e quanto deriva) fa parte di un rinnovato linguaggio teologico scaturito dalle riflessioni conciliari. Ma a quanto pare da questo studio di nuovo non c'è nulla. C'è solo un ressourcementresosi necessario (lo Spirito soffia) dalla cristallizzazione sclerotizzante che ha paralizzato i cinque sensi (non del tutto solo spirituali) della chiesa. Non entriamo nel dettaglio degli stessi. Basterebbe riferirsi al solo «udito», peraltro strategico per la teologia sinodale («Quando uno ha paura di ascoltare, non ha lo Spirito nel suo cuore»; Francesco, Omeliain Santa Marta del 28 aprile2016).

Di nuovo non c'è nulla, quindi. C'è una riscoperta che ha interessato la teologia quando è tornata alle «fonti». Se questa è novità basta intendersi. Perché da quanto fa emergere l'autore questo «nuovo» è antico come le montagne, si direbbe rammentando il Mahatma Gandhi. L’autore fa emergere giustamente quanto riferisce la parola e la vita narrate nella sacra Scrittura. Nella nuova alleanza in Cristo il popolo di Dio è in cammino ed è costitutivamente assemblea «convocata», «attuata», «strutturata», «inviata» ed «escatologicamente orientata» dal Cenacolo in poi passando necessariamente dal Calvario e dalla tomba vuota.

Il popolo di Dio sta insieme in assemblea per celebrare il Signore risorto e discernere ciò che lo Spirito opera in permanenza. L’autore ne esplicita la prima esperienza parlando dell'«eucaristia» (pp. 54-67) guardando ai gesti e alle parole di Gesù, all’«eucaristia ferita» nei racconti di Paolo e alla fractio panis di Emmaus. Va ricordato che anche questo è un ressourcement resosi necessario allora (nella temperie pre- e post-conciliare), ma che pare necessario riprendere anche in contesto di sinodalità oggi.

Il richiamo di Martin e la sua riflessione in merito è uno dei pregi di questo volume, anche dal momento che nella sterminata bibliografia sul sinodo trovare tracce di un riferimento alla liturgia come primitiva, prima, centrale, permanente esperienza «sinodale» è raro. Pare tutto ovvio, forse, a una teologia che nel lodare il ressourcement del processo sinodale di papa Francesco valorizza le recenti (ancora poche e timide) esperienze di processi sinodali, dimenticando quanto ha già attuato la riforma liturgica relativamente all’eucaristia (e ancora poco, ma ugualmente significativo, sul versante della sacramentaria).

Nella dinamica celebrativa e nella ritualità il popolo è già al centro, la presidenza e la ministerialità concertano un rapporto che non è più di potere, la comunione è parola e azione. Assieme a questo nostro fascicolo, il volume di Martin si presenta come sussidio per tutti in questo cammino sinodale avviatosi anche in Italia dalle periferie ecclesiali. Un sussidio con un'adeguata bibliografia (pp. 163-170), sigle e abbreviazioni (pp. 171-172) e da un prezioso indice biblico (pp. 173-180).


D. Passarin, in CredreOggi 1/2022, 185-186

Forse è banale sottolinearlo, ma a volte ciò che è scontato rischia di essere non efficacemente considerato o addirittura omesso, eppure è necessario ribadire che la «Chiesa sinodale» non può essere ridotta a ordinario slogan o, ancora peggio, a una moda ecclesiastica dal corto respiro: essa, in realtà, scaturisce dalla natura stessa di ciò che costituisce evento ecclesiale, essendo la dimensione costitutiva della comunità cristiana sin dai suoi primordiali esordi.

I termini «sinodo», «sinodalità» e «sinodale» trovano, infatti, una comune origine nel termine greco syn-odos, giustamente elevato da Aldo Martin a una vera e propria categoria sintetica, a «esempio», avendo come suo precedente Models of the Church, celebre opera del teologo cattolico Avery Dulles. In essa il gesuita statunitense ebbe modo di affermare la convinzione che la chiesa nella sua realtà teologica più intima è un autentico mistero del quale, come ogni altro mistero, non si può discorrere direttamente. Pertanto, se lo si vuole affrontare con un minimo di criterio si deve necessariamente attingere dalle analogie che ci sono fornite dalle nostre singole esperienze. Analogie, modelli, dunque, come «strumenti-base» per accrescere, indirettamente, la nostra comprensione della chiesa. Proprio per questo Martin elabora la propria indagine muovendo dalla medesima prospettiva di Dulles, tenendo, altresì, presente il punto 24 della Dei Verbum, laddove la Costituzione della sacra Teologia afferma che esse non debbono essere viste come un archivio da cui estrarre le «pezze giustificative» per rinforzare i nostri ragionamenti teologici, quanto piuttosto debbono essere assunte come ispirazione di fondo e presupposto normativo di quei medesimi ragionamenti.

L’autore, d’altra parte, dà ai cinque capitoli di cui è composto il proprio saggio un’impostazione eminentemente conciliare. Basti leggere i titoli per rendersi conto di come Aldo Martin sia intimamente convinto del fatto che la sinodalità costituisca il vero futuro cammino della chiesa. Se nel capitolo intitolato «Chiesa convocata» opera uno scavo lessicale sia nel Primo che nel Secondo Testamento, atto a mostrare come debba declinarsi il concetto che il popolo di Dio ha di sé, cioè come l’Eterno aggreghi i propri figli in maniera tale che la salvezza abbia un respiro collettivo, comunitario, in quello dedicato alla «Chiesa attuata» Martin afferma che quella stessa comunità (Ecclesia), radunandosi per celebrare il ringraziamento verso Dio stesso (Eucarestia) e per risolvere le fatali difficoltà pastorali e teologiche, rivela la sua identità, la propria intrinseca natura: quella di essere una comunità di discepoli, oggetto di un’azione salvifica da parte della Parola vivente.

Nel capitolo dedicato alla «Chiesa strutturata» proprio la chiesa in quanto corpo di Cristo, debitamente articolata al suo interno tramite carismi e ministeri, da di sé l’idea di una unità organica perennemente in fieri, il cui cuore pulsante e l’agapē, laddove si ha la coscienza di essere nient’altro che «membra gli uni degli altri» (p. 116), tra le quali fluisce la vita stessa del Risorto. Muovendo da tali considerazioni, Aldo Martin in «Chiesa inviata» è in grado di evidenziare la natura eminentemente estroversa della comunità ecclesiale. Riferendosi all’aggettivo «sinodale» può, infatti, scrivere: «Questo aggettivo attesta […] al di sopra e al di là di ogni possibile ulteriore specificazione, la precedenza del noi rispetto all’io, dell’insieme rispetto all’individuo» (p. 140).

Ciò significa che Gesù Cristo, ovvero Colui che è stato crocifisso ed è morto per riscattare i nostri peccati e il terzo giorno è risorto sconfiggendo una volta per tutte la morte, invita ogni giorno la chiesa ad annunciare la buona novella, un compito che i credenti accolgono nel loro insieme e che sono fermamente invitati a condividere tra loro. La chiesa e, come in modo significativo si intitola il quinto e ultimo capitolo, Chiesa escatologicamente orientata verso un eschaton non tanto come singoli soggetti, ma come comunità in cammino, come un unico popolo di fratelli e sorelle che procedono responsabilmente insieme. La tensione dettata dall’attesa della parusia che caratterizzava le comunità cristiane primitive, diventa, pertanto, per la chiesa a noi contemporanea, un impegno quotidiano teso a favorire un immenso corale pellegrinaggio che vede coinvolti, in modo necessariamente differente, popoli, culture, chiese, comunità ecclesiali, diverse tradizioni religiose la cui meta finale è l’instaurarsi tra l’Eterno, l’uomo e il cosmo di una perfetta armonia.

Siamo, per tutto ciò, dinanzi a un cammino che non ha di per sé nulla di originale, per il semplice fatto che le Scritture, segnatamente il Nuovo Testamento, sin da subito l’hanno testimoniata: la sinodalità e, di conseguenza, il modo di essere della chiesa a cominciare dalle sue origini. Una chiesa in uscita che, come afferma papa Francesco, «è il cammino che Dio si aspetta dalla chiesa del terzo millennio» (p. 160), la quale procede verso il Regno avendo come suo traguardo definitivo «un cielo nuovo e una terra nuova» (Ap 21,1), ovvero «Dio tutto in tutti» come scrive l’Apostolo delle genti nella sua Prima lettera ai Corinzi (1 Cor 15,28).


D. Segna, in Protestantesimo vol. 78 (1/2023), 63-65

Con questo agile e prezioso saggio, il biblista vicentino Aldo Martin, docente stabile di Esegesi del Nuovo Testamento presso l'Istituto superiore di Scienze religiose di Vicenza, offre al lettore un sintetico percorso nel Secondo Testamento alla ricerca delle possibili linee fondative di un'ecclesiologia biblica di carattere sinodale. La genesi del lavoro è raccontata dallo stesso A. nel Preambolo del volume, richiamando il contesto accademico (il convegno sulla sinodalità celebrato a Padova nel 2019) che l'ha generata. La pubblicazione è impreziosita dalla Prefazione del card. Pietro Parolin.

Riprendendo il capitolo iniziale del documento della Commissione teologica internazionale dal titolo La sinodalità nella vita e nella missione della chiesa, Martin si impegna ad andare oltre la corposa serie di citazioni e allusioni bibliche e la ricerca della stretta corrispondenza lessicale, mostrando piuttosto «le dinamiche e le linee di fondo della realtà ecclesiale primitiva che supportano l'odierna visione sinodale della chiesa (senza cadere nel tranello di ingenui e stiracchiati concordismi» (p. 19). Ne emerge una figura di chiesa che segue una evidente impostazione sistematica ecclesiologicamente connotata: «una chiesa che è convocata, attuata, strutturata, inviata ed escatologicamente orientata in forma sinodale» (p. 19; il corsivo è dell'A.). I cinque aggettivi corrispondono ai cinque capitoli che strutturano il saggio.

La dimensione della convocazione rappresenta il prerequisito della compagine ecclesiale (Chiesa convocata). La chiesa esiste in quanto convocata per iniziativa di Dio, il quale – nella visione dei racconti genesiaci – crea l'essere umano chiamandolo alla comunione con sé e alla relazione con le altre creature. Nel Primo Testamento tale convocazione viene espressa attraverso diversi termini ebraici, che testimoniano una profonda conoscenza circa la propria origine da parte del popolo di Israele. Anche nel Nuovo Testamento lo sviluppo dell'autocoscienza escatologica della chiesa quale realtà convocata dal Dio uni-trino viene espressa attraverso una molteplicità di vocaboli tra i quali occupa un posto privilegiato il prefisso syn-, che significa ''con", "insieme", "unitamente": «La sinodalità del popolo di Dio, dunque, non si presenta come una strategia ecclesiale o come il frutto di una tattica pastorale, ma si presenta come dimensione strutturante, sorgiva, che nasce dall'iniziativa stessa di Dio, il quale, volendo mettere gli uomini in comunione tra loro e con sé, desidera pure che nella comunità cristiana essi facciano strada assieme, che cammino non da soli, ma con gli altri» (p. 47).

La dimensione sinodale si esprime (Chiesa attuata) principalmente nella celebrazione dell'eucaristia, in cui si riattualizzano le parole e i gesti di Gesù, ma anche in altre due occasioni, testimoniate nelle pagine degli Atti: l'elezione dei Sette (At 6,1-6) e il concilio apostolico di Gerusalemme (At 15,6-29): «La modalità con cui si sono affrontate e risolte le problematiche pastorali e i conflitti dottrinali prevede l'intervento corale di piu soggetti, ciascuno in forza del proprio compito specifico, che cercano di giungere insieme a una soluzione condivisa. Insieme si cerca di comprendere la volontà di Dio, in un preciso frangente storico, sotto la guida dello Spirito, nell'ascolto della Parola e nella recezione delle vicende attraverso le quali Dio è all'opera. Questo processo di discernimento in atto e di decision-making non è solo una illuminata strategia gestionale, ma è anche parte integrante del suo stesso attuarsi» (p. 80).

Il mistero della chiesa non è uniforme e indistinto, ma strutturato e animato da diversi carismi e ministeri (Chiesa strutturata), la cui armonia è garantita da alcune figure di autorità non rigidamente ma fluidamente configurate. La metafora somatica del corpo di Cristo, nelle sue molteplici attestazioni nel corpus paolino (cf. 1Cor ro,16ss.; R m 12,4ss.; Ef 4,11-16), appare «imprescindibile» (p. 97) per un'ecclesiologia sinodale. Martin si impegna nella paziente ricostruzione dei diversi elenchi e cataloghi dei ministeri presenti nei testi paolini, arrivando a una conclusione significativa sulla presidenza: «Il servizio di governo della comunità e dell'annuncio del Vangelo può darsi esclusivamente con figure differenziate, in reciproca connessione tra loro e in mutua dipendenza. Nessuna concezione monistica del ministero, dunque, ma esplicitamente pluralistica» (pp. 114-115).

La finalità della convocazione della chiesa è l'invio missionario (Chiesa inviata), che non riguarda solo l'attività evangelizzatrice di Paolo, ma anche nei testi marciani e matteani, nell'opera lucana e nella letteratura giovannea. Martin analizza puntualmente queste diverse esperienze del mandato missionario, evidenziando la «coralità apostolica» dell'agire di Paolo (p. 120),il linguaggio dell'invio in Marco e Matteo e quello della testimonianza in Luca. Si tratta di un invio comunitario e mai individuale, come emerge anche nei testi giovannei: «L'invio da parte del Risorto e la conseguente attività di annuncio da parte della chiesa sono un compito che i credenti accolgono insieme e condividono tra loro. A nessuno viene affidato un compito isolato dagli altri» (p. 140; il corsivo è dell'A.).

Infine, l'itinerario sinodale della chiesa ha un orizzonte aperto al compimento definitivo di tutte le cose in Cristo (Chiesa escatologicamente orientata):«Il compimento definitivo non è una questione meramente privata, ma coinvolge tutta l'umanità nel suo complesso e la creazione tutta. Anche le affermazioni al singolare, di fatto, riguardano il destino di tutti» (p. 142). Il camminare insieme ha come méta l’unico glorioso traguardo nel Dio uni-trino, per cui la synodia sfocerà in un'armonica symphonia, realizzando una sorta di «sinodalità cosmica» (p. 155).

Il pregio del volume, oltre a offrire suggestive sottolineature di carattere spirituale, consiste nel mostrare in modo sintetico e chiaro la ricchezza delle infinite sfumature delle radici bibliche. Inevitabilmente l'intento sistematico del percorso (allestire un'ecclesiologia sinodale) "guida" l'analisi e la scelta dei testi, come preventivamente dichiarato dall' A. stesso. Si tratta di un contributo di qualità per il cammino sinodale della chiesa (italiana e non solo).


S. Didonè, in Studia Patavina 69 (2022/3), 553-555

Innanzitutto i termini: «sinodo», «sinodalità» e «sinodale» trovano una comune origine nel termine greco syn-odos, elevata da Aldo Martin a una vera e propria categoria sintetica, avendo come suo precedente Models of the Church, celebre opera del teologo Avery Dulles. In essa il gesuita statunitense affermò che la Chiesa, nella sua realtà teologica più intima, è un mistero del quale, come ogni altro mistero, non si può discorrere direttamente. Pertanto, se lo si vuole affrontare, si deve attingere dalle analogie che ci sono fornite dalle nostre esperienze. Analogie, modelli, dunque, come «cassetta degli attrezzi» per accrescere, indirettamente, la nostra comprensione della Chiesa.

Martin elabora la propria indagine muovendo dalla medesima prospettiva di Dulles, tenendo altresì presente il n. 24 della Dei Verbum (EV 1/907), laddove osserva che le Sacre Scritture costituiscono l’anima della sacra teologia, vale a dire che esse non debbono essere viste come un archivio da cui estrarre le «pezze di appoggio» per corroborare le nostre argomentazioni teologiche, piuttosto debbono essere assunte come ispirazione di fondo e presupposto normativo di quelle stesse argomentazioni.

L’autore, d’altra parte, dà ai cinque capitoli di cui è composto il saggio un’impostazione eminentemente conciliare. Basta leggere i titoli per rendersi conto di come egli sia intimamente convinto del fatto che la sinodalità costituisca il vero futuro cammino della Chiesa. Un cammino che non ha nulla di originale per il semplice fatto che le Scritture, segnatamente il Nuovo Testamento, sin da subito l’hanno testimoniata: la sinodalità è, di conseguenza, il modo di essere della Chiesa a cominciare dalle sue origini.

Una Chiesa in cammino, in uscita in quanto, come afferma papa Francesco, «è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio», la quale procede verso il Regno, «nelle sue possibili realizzazioni intramondane e nella sua futura pienezza ultramondana», avendo come suo traguardo definitivo «un cielo nuovo e una terra nuova» (Ap 21,1), ovvero Dio «tutto in tutti», come scrive Paolo nella Prima lettera ai Corinzi (1Cor 15,28).


D. Segna, in Il Regno Attualità 12/2022

Aldo Martin è autore di un libro attuale e interessante per affrontare un incipiente accostamento al tema della sinodalità. Lo scopo del libro rimane duplice: a) da un lato si vuole illustrare come la sinodalità affondi le sue radici nel terreno scritturistico, come viene spiegato: «la sfida è quella di cogliere nel testo biblico, al di là di ogni stretta corrispondenza lessicale, le dinamiche e le linee di fondo della realtà ecclesiale primitiva che supportano l’odierna visione sinodale della Chiesa […] è proprio questo il compito che ci si prefigge nel presente contributo» (19); b) dall’altro, il testo si offre come un punto di riflessione iniziale, una guida basilare, per coloro che vogliono entrare nel tempo del sinodo con una sorta di mappatura atta all’orientamento e alla comprensione di cosa sta maturando nella Chiesa subito dopo la indizione del sinodo da parte di papa Francesco (cf 161, la postilla conclusiva).

Nell’introduzione si chiarisce, tra diversi altri preamboli, l’origine del lavoro, che rappresenta lo sviluppo argomentativo di un articolo pubblicato dall’A. nel 2019, dal titolo «Appunti per un’ecclesiologia biblica a carattere sinodale. L’utilizzo della Sacra Scrittura ne La sinodalita nella vita e nella missione della Chiesa» (in P. Coda – R. Repole, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa. Commento a più voci al Documento della Commissione teologica internazionale, EDB, Bologna 2019, 19-28). Fu lo stesso Coda, in un convegno celebrato a Padova dalla Facoltà Teologica del Triveneto, nell’aprile del 2019, a incoraggiare l’A. a una pubblicazione più strutturata.

In cinque capitoli si delinea il profilo della sinodalità quale struttura essenziale della Chiesa, così come leggibile all’interno delle pagine sacre. Il primo capitolo, dal titolo Chiesa convocata (cf 21-52), offre l’indagine di lemmi quali qāhāl, ‘ēdāh, la voce verbale qb, e ‘am per l’AT; mentre per il NT vengono prese in analisi il termine ekklēsia e i verbi synaghein e synerchomai. Pur evidenziando come il termine sinodale/sinodalità non occorra nella Bibbia, l’A. fa emergere l’idea fontale, quale premessa per la costruzione ecclesiologica: l’atto primo risiede nella convocazione da parte di Dio. È il Signore che chiama, invita, provoca l’atto comunitario.

Il capitolo successivo, intitolato Chiesa attuata (cf 53-80), prende in esame la cena quale tempus e locus centrale intorno al quale si realizza la comunione del corpus ecclesiale. La prima parte del capitolo mette in evidenza come l’assemblea sia convocata per la celebrazione eucaristica, dacché ne consegue una lettura dei testi neotestamentari relativi alla cena, alle parole e ai gesti di Gesù, mettendo in evidenza quattro dimensioni: recettiva, inclusiva, conviviale-comunionale e, infine, escatologica. Sempre in questo contesto si prendono in esame i testi di 1Cor 11,20-22 (l’eucarestia ferita) e Lc 24,13-35 (il cammino verso Emmaus). Nella seconda parte del capitolo, l’A. si confronta con At 6,1-6 e 15,6-29. Emerge dall’analisi “la metodologia” che la prima Chiesa pone in essere per fronteggiare le incipienti avvisaglie problematiche relative ad alcune questioni concrete. È proprio questa prassi a rappresentare in maniera specifica quello che si cela dietro l’aggettivo sinodale (cf 79-80).

Chiesa strutturata è il titolo del terzo capitolo ed è il segmento più interessante del libro, oltreché il più corposo (81-116). L’A. procede studiando più da vicino prima la metafora somatica del corpo di Cristo secondo i testi di 1Cor 12, Rm 12 ed Ef 4, ritagliando, in seconda battuta, sempre all’interno delle medesime pericopi, le liste dei carismi e dei ministeri (cf 1Cor 12,8-10; 1Cor 12,28; Rm 12,6b-8 e, infine, Ef 4,11). In maniera efficace l’A. sostiene: «La Chiesa abbisogna di una strutturazione che ne permetta la sopravvivenza e la continuità nel tempo e ne garantisca i servizi necessari. Essa […] si percepisce ed articola come corpo di Cristo […], è animata da carismi e ministeri […] e abbisogna di alcune figure di autorità» (81-82). La riflessione sui cataloghi dei carismi e dei ministeri, sintetica ed interessante al tempo stesso, trova due conclusioni. La prima: «i ministeri ecclesiali hanno come unica ragion d’essere l’abilitazione di tutti i fedeli alla diakonia: il servizio, infatti, è il vertice della vita cristiana» (110); mentre la seconda: «La strutturazione interna delle funzioni della Chiesa non risponde a un’intenzionalità puramente gestionale. Carismi e ministeri, senza l’amore, non darebbero più vita alla Chiesa, ma a qualcos’altro: un’impresa che si organizza in maniera aziendale. Senza la loro intima connessione con l’agapē, sarebbe come guardare al corpo umano fermandosi solamente agli apparati scheletrico e muscolare: sono necessari, certo, ma sarebbero strutture inutili e prive di vita senza il guizzo della coscienza e il pulsare vitale del battito cardiaco» (111). Al livello testuale, la Chiesa, nella sua struttura originaria, rispondeva a una architettura tutt’altro che rigida e monolitica, dove nessuno in toto poteva assumersi appieno il ruolo di rappresentare in via privilegiata il ruolo di animatore e quello di guida (cf 114-116).

Il quarto capitolo ha per titolo Chiesa inviata (cf 117-140). Se l’analisi dei ministeri e dei carismi aiuta la Chiesa a guardare se stessa ad intra, l’aspetto missionario obbliga a una riflessione ecclesiologica che si affaccia ad extra, all’esterno del suo perimetro. La natura stessa della Chiesa è missionaria, essa è «radunata e realizzata con lo scopo di annunciare il Vangelo al mondo intero» (117). In questo capitolo, l’A. prima evoca per sommi capi l’attività missionaria di Paolo, che non si ascrive solo all’opera straordinaria dell’Apostolo ma si fonda su di una teoria piuttosto lunga di collaboratori e amici della missione; passa poi a commentare i testi di invio dei vangeli di Marco e Matteo, dell’opera lucana e quindi del corpus giovanneo. La conclusione è la seguente: «la Chiesa, per natura sua, è estroversa, proiettata verso un orizzonte universale: è inviata ad extra, a tutti i popoli» (139). Eppure, l’invio non si addossa, se non in casi rari ed eccezionali, ai singoli, bensì si determina come atto comunitario.

L’ultimo capitolo ha per titolo Chiesa escatologicamente orientata (cf 141-158). Pur essendo il capitolo più breve, in questa che rappresenta «l’ultima tappa» (141), l’A. «prende in esame l’itinerario sinodale della Chiesa verso la mèta del compimento escatologico». Nel NT sono diverse le immagini con le quali si descrive non tanto il compimento finale del singolo, bensì quello comunitario. Tra le immagini indagate dall’A., quali il raduno (142-144), il cammino (144-146), l’unificazione universale (152-155) rimane particolarmente suggestiva l’analisi relativa al simbolo della Gerusalemme celeste. La Bibbia muove dall’immagine del giardino a quella della città. Se nel concetto genesiaco il giardino rappresenta in via esclusiva il lavoro e l’opera di Dio, in quello della città compare il concorso dell’uomo, il suo collaborare, il suo essere partecipe e responsabile, insieme a Dio, della finale costruzione di luce. In questi simboli, nei giorni dell’eschaton, la synodia sfocia nella symphōnia: «la synodia diverrà un’immensa ininterrotta symphōnia […] e un beato sprofondare nel mistero del Dio trinitario, fonte e mèta di ogni impegno ed esperienza sinodale» (157).

Il pregio dell’A. risiede nella capacità di accostare con interesse esegetico un numero considerevole di testi sia del Nuovo che dell’Antico Testamento (cf indice biblico 173-180), oltreché nel fondare la ricerca su di un nutrito corredo bibliografico (163-169). La concisione dello stile e la chiarezza espositiva permettono un accostamento al testo anche a coloro che non hanno nel loro bagaglio culturale una specifica familiarità con la scienza esegetica.

Due osservazioni critiche conclusive al fine di poter aprire una prospettiva di approfondimento futuro. La prima di carattere lessicale. Potrebbe essere interessante, ai fini dello studio, rintracciare le radici verbali utilizzate dagli evangelisti quando questi descrivono la missio discipulorum: Mt 10,1 e Mc 3,13; 6,7 utilizzano proskaleo, con la preposizione presso, a voler aggiungere al concetto della chiamata l’idea della prossimità; Luca impiega sun-kaleo, con la preposizione “con, insieme” in 9,1, mentre precedentemente in 6,12, aveva utilizzato pros-foneo unito a un verbo di elezione (ek-legomai). In Marco, poi, è interessante l’espressione fece i dodici (3,14.16), ripetuto due volte. Qui le traduzioni non sempre hanno colto il valore del verbo fare, reso con istituire, costituire, etc. Sembra in realtà che il tenore di questa voce verbale sia da comprendersi come riferimento al primo verso della Genesi, dove la LXX traduce il creare con fare (poieo, cf Gn 1,1[LXX]). Gesù non istituisce i dodici e nemmeno li costituisce in gruppo. Gesù fa qualcosa di nuovo e di unico. È un atto creativo, originale, che non si era mai dato prima. In questa volontà creatrice si spiegherebbero poi l’imposizione dei nomi, sull’esempio di Dio che nel Genesi prima fa la cosa e poi le assegna il nome. Inoltre, è degno di nota anche l’uso della congiunzione fatta dai sinottici quando si elencano i dodici. In traduzione, a volte (cf per Marco la CEI del 1971) i nomi dei chiamati sono giustapposti l’uno accanto all’altro con una virgola. Nel testo greco non è così. In Marco, nell’elenco, non c’è il segno disgiuntivo, bensì un kai: e Giacomo… e Giovanni…e Andrea e Filippo e Bartolomeo e Matteo e Tommaso e Giacomo… e Taddeo e Simone…e Giuda. In Matteo la congiunzione ricorre appaiando due nomi per volta (Filippo e Bartolomeo, Tommaso e Matteo e via di seguito). Cosa si vuole dire? Che la particella della Chiesa, fin dal suo atto creativo originario, è la “e”, il legame primo e fondamentale, la capacità di stare assieme: non un apostolo giustapposto all’altro, secondo la registrazione di una rubrica, ma l’uno accanto all’altro, insieme. A livello letterario si avverte non una asettica elencazione di nomi, messi in fila l’uno dopo l’altro, bensì un immaginario “cerchio” dove ogni singolo apostolo è affianco all’altro.

La seconda considerazione muove dal testo considerato, per il suo valore ecclesiale/ecclesiologico, come fondativo, ossia il capitolo 18 di Matteo. Gesù, che per un verso si indirizza alla Chiesa e per l’altro fonda la logica ecclesiale, chiude il suo lungo discorso con una parabola estremamente raffinata sul perdono (Mt 18,21-35). Può sembrare un’idea distante dalla traccia della sinodalità di cui si occupa il libro, tuttavia legare al tema della sinodalità anche una riflessione sul peccato e sul perdono, non appare come un’ipotesi peregrina. Si può aiutare la comprensione della sinodalità soffermandosi anche su ciò che ferisce la sinodalità stessa. Potrebbe essere utile far avanzare l’analisi ex parte adversa, guardandola dal suo contrario. Gesù chiude il discorso ecclesiale invitando i discepoli a perdonare di cuore ciascuno al proprio fratello (v. 35). La dinamica della parabola è quella di riuscire – magistralmente – a fare del perdono un fatto di giustizia e non un atto di generosità che eccede la misura della mera giustezza. Per Matteo non si può non perdonare, non si può non condonare il debito del fratello quando a nostra volta, il nostro debito, è stato totalmente cancellato. Camminare insieme in spirito sinodale può aiutare a elaborare una rinnovata grammatica del perdono, a integrare, richiamando l’immagine paolina, anche la ferita e la malattia all’interno del corpo ecclesiale.

Al di là di queste due semplici provocazioni, il testo di Martin rappresenta uno studio interessante, valido, capace di provocare e avviare verso una discussione ulteriore, relativamente a un tema di straordinaria attualità e importanza.


L. Lepore, in Rassegna di Teologia 1/2022, 164-167

Il saggio di Aldo Martin, che riprende un precedente articolo, pubblicato nel 2019, è una ricerca allo stesso tempo sintetica e ampia, attraverso le Scritture – in particolare il Nuovo Testamento – allo scopo di far emergere l’ecclesiologia che da lì ha preso vita. È composto da cinque passi, che tratteggiano un cammino: la chiesa è convocata, attuata, strutturata, inviata ed escatologicamente orientata, anche se l’autore ci tiene a dire che queste sono ‘tappe’ più per chiarezza espositiva che altro, e che ogni aspetto trova la sua verità in relazione agli altri.

Il primo passo del libro è sulla chiesa convocata. L’autore presenta alcune parole-chiave dell’Antico Testamento – i sostantivi qāhāl, ‘ēdāh, ‘am, e il verbo qbṣ – e giunge a una prima conclusione: ciò che costituisce Israele come popolo non è una ragione geografica, storica o politica, alla stregua delle altre nazioni. Israele deve la sua origine all’iniziativa divina, è il popolo di Dio – e Dio è il Dio di Israele – perché questi l’ha chiamato e radunato. Per il Nuovo Testamento vengono esaminati i sostantivi ekklēsia e laos e i verbi synagō e synerchomai – l’attenzione al prefisso syn- sarà una costante nel libro. Il termine principale con cui i cristiani esprimono la propria identità è ekklēsia, che eredita il senso acquisito nei LXX: la chiesa, quale Israele di Dio, è ancora la chiesa di Dio, appartiene a lui e da lui è radunata intorno al messia. I cristiani, riuniti o sparsi «in ogni luogo» (1Cor 1,2) sono sempre e comunque ‘chiesa’ – anche al di là del loro effettivo convenire. E nella profezia di Caifa (cf. Gv 11,49-53) si scopre che è la morte di Gesù che ha «riunito in uno» i figli di Dio dispersi: è nella Pasqua che si realizza il desiderio di Dio di unire l’umanità – ed ecco che appare la chiesa.

Secondo passo: in vista di cosa la chiesa è convocata? Dal Nuovo Testamento si evince che essa, in primo luogo, è radunata per celebrare l’eucaristia. È prezioso il passaggio più volte suggerito da Aldo Martin: nell’eucaristia la Chiesa «si riceve» (p. 79), «riceve così la propria identità più profonda» (p. 53). Se la convocazione è opera di Dio, la chiesa attuata conforma sé stessa alla vita ricevuta dall’eucaristia celebrata. Nei gesti dell’ultima cena l’autore intravede ciò che costituisce la chiesa, la vita che le è venuta dal suo Signore. I quattro aspetti messi in luce dall’autore: nell’ultima cena i discepoli semplicemente accolgono i gesti di Gesù (dimensione recettiva), che hanno come destinatari non una cerchia ristretta, ma, potenzialmente, tutti gli uomini e le donne di tutti i tempi – e questi sono i «molti» di Mt 26,28 e Mc 14,24 (dimensione inclusiva). Chi partecipa a questa cena, facendone memoria, ne assume i tratti, e dunque riceve un modo nuovo di vivere le relazioni (dimensione conviviale-comunionale), e proprio questo modo nuovo, inaugurato con il banchetto pasquale, è già pregustazione del Regno (dimensione escatologica). In secondo luogo, la chiesa del Nuovo Testamento si raduna anche per risolvere dei problemi. Nei racconti esemplari di At 6 e At 15, proprio come nell’eucaristia, i cristiani rivelano la loro identità nel come si radunano, insieme, e affrontano anche le difficoltà che la storia presenta loro.

Quando si raduna, la chiesa è sempre strutturata. Attraverso l’analisi di 1Cor 12, Rm 12 ed Ef 4 vengono messi in luce due aspetti complementari. Da un lato si evince da quei testi come, nutrendosi del corpo di Cristo, i cristiani percepiscono sé stessi quale ‘corporeità’ del Cristo, come ‘ospitati’ in lui – e così «incorporati pienamente nella vita divina» (p. 83). L’autore fa emergere dai testi la ricchezza della metafora paolina della chiesa come corpo di Cristo (tenendo conto della differenza tra lettere autoriali e lettere della tradizione). Il fatto di appartenere alla stessa realtà somatica di Cristo (cf. 1Cor 12,12) crea un’uguaglianza di fondo, una medesima dignità, che non toglie le differenze tra i suoi membri, bensì le esalta, ponendole in comunione e a servizio gli uni degli altri. Il percorso ha il suo apice nella lettura di Ef 4: lì si può vedere che la chiesa, corpo di Cristo che viene edificato (notevole, a proposito, l’analisi del rapporto tra ‘corpo’ e ‘edificio’) è in cammino «tendendo a lui, che è il capo, Cristo» (Ef 4,15), e ognuno è chiamato a contribuire personalmente alla sua edificazione: l’appartenere al corpo è un dono e un compito. E poi, il secondo aspetto che emerge dagli stessi testi, a mo’ di corollario: i carismi e i ministeri, doni di Dio fatti alla chiesa per la sua edificazione. L’autore fa notare che tutti i ‘cataloghi’ dei carismi e dei servizi, in un modo o nell’altro, finiscono col parlare dell’agapē: è lo Spirito che fa crescere questo corpo vivo e dinamico, che costruisce pian piano la comunione tra le sue membra. «In questo senso amare vuol dire essere chiesa» (R. Guardini, citato in nota a p. 111).

Se la chiesa è tutto questo, allora ciò coincide con la sua missione: è il quarto passo, la chiesa inviata. Attraverso l’esperienza di Paolo e l’invio degli apostoli nei quattro vangeli, l’autore mostra come l’opera evangelizzatrice non sia condotta ‘in solitaria’. Fin dai prescritti delle sue lettere si evince che la missione di Paolo è condivisa, in una sorta di ‘coralità apostolica’. Similmente, nei vangeli, gli apostoli sono inviati «a due a due» (Mc 6,7) e il mandato missionario non è per individui, ma per l’intero gruppo degli Undici (cf. Mt 28,16-20). Insomma, il compito di testimoniare è affidato non ai singoli, ma a tutti i discepoli, insieme – come a Pentecoste – e forse la missione è proprio il mostrare la verità e l’origine di questo ‘insieme’.

Infine, al modo di una sapiente inclusione biblica, la fine del libro riprende l’inizio. Fin dall’alba dei tempi la chiesa è convocata… in vista di un raduno: è la chiesa escatologicamente orientata. La parusia del Signore sarà anche il «nostro radunarci con lui» (2Ts 2,1). E se questo raduno universale è operato da Dio per mezzo di Cristo risorto, spetta all’uomo il camminare verso questa immensa (ri)unione. I credenti, benché qui si trovino in esilio, sono incamminati verso la patria, la Gerusalemme celeste, che scende «dal cielo, da Dio» (Ap 21,2) e, allo stesso tempo, è costruita dall’umanità, proprio in questo suo radunarsi e intrecciare i cammini di tutte le genti, coinvolgendo la creazione intera in questo cammino. «L’éschaton si profila, così, come il punto di approdo di un’imponente, grandiosa opera di unificazione cosmica» (p. 154).

In conclusione. Aldo Martin intitola il suo studio Sinodalità, perché, in effetti, è questo l’oggetto principale della ricerca. Ma è significativo che, per fare questo, il libro assuma i contorni di un’ecclesiologia tout court. E il motivo è questo: la sinodalità non è un’opzione aggiunta, «non si presenta come una strategia ecclesiale o come il frutto di una tattica pastorale, ma si presenta come dimensione strutturante, sorgiva» (p. 46). Ora, dove il mondo stesso ci ricorda giornalmente che tutto è interconnesso, anche la chiesa, aprendo di nuovo la Scrittura, può ritornare a vedere che tale connessione, tale «sinodalità è il modo di essere della chiesa fin dalle sue origini» (p. 161).


P. Rocca, in Gregorianum vol. 103 (2022/2), 427-428

La sinodalità appare come una questione attuale, eppure era presente fin dalle origini della storia della Chiesa. Nel tentativo di mettere in luce le radici bibliche di questo tema, un dato di cui si deve prendere atto è che il termine non ricorre nel canone neotestamentario. Aldo Martin, professore di esegesi del Nuovo Testamento presso l’Istituto superiore di scienze religiose di Vicenza, nel tentativo di mostrare che questo dato non deve sorprendere, intraprende un percorso esegetico attraverso il canone biblico, con l’intenzione di riscoprire le radici della sinodalità.

L’analisi si muove attraverso una sequenza storico-narrativa, articolata in cinque tappe: quelle di una Chiesa «convocata, attuata, strutturata, inviata ed escatologicamente orientata». Le singole sezioni non solo sono orientate a mostrare i luoghi biblici a cui fanno riferimento, ma a partire da questi aprono spazi del possibile, percorsi di quella sinodalità che nella sua radice greca significa «camminare insieme».

Il primo dato da acquisire per una comprensione dell’ecclesiologia sinodale è che la Chiesa si configura come realtà convocata: fin dal canone anticotestamentario è infatti Dio che chiama. La Chiesa è istituita da Dio come comunità, come popolo credente fra le genti (cfr Es 12,6). Ma quali sono le caratteristiche di questa sua dimensione sinodale? La Chiesa si realizza quando si raduna in assemblea per celebrare l’Eucaristia o per risolvere questioni teologiche e pastorali, mostrando la propria natura di comunità di persone che vivono un legame di fratellanza alla luce della Parola di Dio e sono un soggetto collettivo di un’iniziativa di salvezza (cfr Gal 3,26–28).

Da qui deriva un metodo: le modalità della celebrazione, come nella risoluzione delle problematiche, sono sempre corali (cfr At 15,6–29); richiedono la partecipazione di più persone in forza dei loro compiti specifici, e queste persone insieme cercano di giungere a una soluzione condivisa. «Questo processo di discernimento in atto non è solo un’illuminata strategia gestionale, ma è anche parte integrante del suo [della Chiesa] attuarsi» (p. 80).

Dietro l’aggettivo «sinodale» c’è questo preciso modello di Chiesa, la cui struttura si intende come «corpo di Cristo», è articolata in carismi e ministeri, con l’obiettivo comune di essere comunità di discepoli. Questa Chiesa è inviata, aperta verso l’esterno e si configura come proclamatrice del Vangelo (cfr Mt 10,9-14). La sua struttura comunionale si manifesta dunque anche nell’annuncio collettivo. Infine, la Chiesa sinodale è orientata escatologicamente a un futuro condiviso, che è «Dio tutto in tutti» (1 Cor 15,28). Secondo l’autore, è proprio questa meta comune che richiede il camminare insieme.

Le cinque tappe, che mostrano in primo luogo il costituirsi della Chiesa, rivelano come la sinodalità sia un elemento fondamentale della nascita della Chiesa e del suo cammino missionario. Nello scorrere delle pagine è possibile rinvenire alcune tensioni che caratterizzano la comunità ecclesiale. La prima è di tipo temporale: la Chiesa sinodale è primariamente un soggetto che vive il presente, consapevole del suo passato e in tensione verso il futuro escatologico. La seconda è relativa alla quotidianità della comunità: l’oggi di una Chiesa che vive la sua dimensione comunitaria, ma necessita anche di una dimensione missionaria, volta verso l’esterno. Proseguendo, è possibile notare, tra le altre, una tensione tra testo biblico e vita quotidiana, centro e periferia, autorità e comunità, Chiesa delle origini e Chiesa del futuro. Ecco allora che la Chiesa sinodale è una Chiesa che vive la sua realtà come tensione, costruendo ponti, aprendo spazi del possibile, e quindi relazioni.

La sinodalità viene così a configurarsi, a partire dalle sue radici bibliche, come un modello dell’essere Chiesa, un modello coerente con l’ecclesiologia del Concilio Vaticano II, in cui ogni membro ha un ruolo performativo all’interno della comunità credente ed è chiamato a svolgerlo in modo che la Chiesa sia Chiesa nella storia e Chiesa escatologicamente orientata.


M. Vicentini, in La Civiltà Cattolica 4119, 304-305

L’anno prossimo si celebrerà in Vaticano la XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi con il tema “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. In vista di quell’importante appuntamento papa Francesco ha voluto che tutta la Chiesa fosse coinvolta in un percorso sinodale, cominciato nell’ottobre del 2021. È la prima volta che un Sinodo si svolge in maniera “decentrata”, inserendo nel cammino direttamente le diocesi, che sono chiamate a consultare attivamente tutte le componenti del popolo di Dio. Due biblisti italiani hanno recentemente pubblicato dei testi che aiutano a focalizzare, come recita il sottotitolo di uno di essi, il fondamento biblico del camminare insieme.

Il primo volume è Sinodalità, edito da Queriniana nella prestigiosa collana “Giornale di teologia” (pp 183, euro 15, prefazione del cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato). L’autore è don Aldo Martin, Rettore del Seminario di Vicenza e docente all’Istituto Superiore di Scienze Religiose della città veneta. Prendendo come punto di riferimento un documento in materia della Commissione Teologica Internazionale del 2018, il libro spiega che le dimensioni sinodale e comunitaria manifestano in maniera speciale la natura della Chiesa: «una comunità di discepoli che sono oggetto di una iniziativa salvifica di Cristo, coltivano una visione universale e non selettiva della salvezza, cercando di favorire relazioni fraterne aperte a tutti» (p. 79). Lo Spirito Santo dona a ogni battezzato qualche risorsa, cosicché «da una parte, nessun credente riguardo ai doni da parte dello Spirito è escluso; e, dall’altra, nessuno ne ha una qualche concentrazione o, peggio, un monopolio» (p. 86). I vari ministeri «hanno come unica ragion d’essere l’abilitazione di tutti i fedeli alla diakonía: il servizio, infatti, è il vertice della vita cristiana» (p. 110). Per questo, conclude don Martin, «la sinodalità non è un attributo opzionale della comunità cristiana, ma ne è un elemento fondamentale» (p. 159).

Il secondo volume è Camminare insieme (San Paolo, pp 185, euro 18). Don Antonio Landi, dell’Arcidiocesi di Amalfi –Cava de’ Tirreni, docente alla Pontificia Università Urbaniana di Roma, si sofferma sugli Atti degli Apostoli mettendo in rilievo il ruolo nell’annuncio evangelico dello Spirito Santo. […]

Insomma, la sinodalità è una nota costitutiva della Chiesa e non dev’essere ridotta a uno slogan. I due libri qui presentati aiutano a porre fondamenta solide alla prassi ecclesiale.


F. Casazza, in La Voce Alessandrina 27 gennaio 2022, 14

Sinodo, sinodalità, sinodale: parole, categorie ecclesiologiche che nel Nuovo Testamento semplicemente non compaiono. Pur costatando tali assenze, è possibile rinvenire nei testi evangelici la loro presenza: l’a., infatti, ci guida nella loro scoperta evidenziando i momenti storico-narrativi più topici del dispiegarsi ecclesiale. Tenendo presente la tensione di una Chiesa strutturata tutta orientata verso l’éschaton e avendo come bussola il documento della Commissione teologica internazionale La sinodalità nella vita e nella missione della chiesa del 2018, il saggio ripercorre le tappe salienti del costituirsi della Chiesa e, al contempo, evidenzia come la sinodalità costituisca un elemento imprescindibile della comunità cristiana.


D. Segna, in Il Regno Attualità 22/2021, 710

Qual è l’argomento affrontato in questo libro?

Nelle attuali riflessioni a ogni livello sulla “Sinodalità” della Chiesa nel contesto dell’importante Sinodo indetto da papa Francesco (ottobre 2021-ottobre 2023), questo libro offre un contributo fondamentale per i riferimenti alla Sacra Scrittura e per ottenere chiarezza sulla realtà sinodale della Chiesa.

Quali sono gli elementi di maggior originalità che presenta?

L’autore, noto biblista, afferma che la dimensione sinodale è presente nella Chiesa sin dalle prime comunità apostoliche e trova espressioni e radici nelle fonti bibliche. Il card. Parolin nella Prefazione si congratula con l’autore per aver lavorato su un argomento «tanto nuovo, ma pure tanto antico, e di averlo fatto con l’attenzione dello studioso e dell’esegeta e anche con la passione di un figlio della Chiesa».

Come può essere utile per l’attività dei catechisti?

Nei mesi in cui tutte le comunità ecclesiali saranno coinvolte nel tema della sinodalità, l’argomento dovrà trovare preparati sia i parroci che i catechisti degli adulti e delle famiglie. È il sussidio giusto per documentarsi.


In Dossier Catechista 2/2022, 62

Il cinquantaduenne docente di Esegesi del NT presso l’ISSR di Vicenza amplia in questo volume un suo contributo pensato come illustrazione del fondamento biblico della sinodalità a commento allo studio della Commissione teologica internazionale (CTI) pubblicato nel 2018: La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa (SVMC). A lavoro ultimato, l’autore mostra la propria gioia per l’annuncio fatto da papa Francesco dell’assemblea generale del Sinodo dei vescovi avente come tema “Per un Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. Inaugurato il 9 ottobre 2021, esso si concluderà nell’ottobre del 2023 dopo aver percorso le tre tappe delle singole diocesi, delle conferenze episcopali e della Chiesa universale. Martin scopre nel documento della CTI una sorta di ecclesiologia biblica sinodale e, nel suo lavoro, intende cogliere nel testo biblico – in cui i termini sinodo/sinodalità non compaiono – «le dinamiche e le linee di fondo della realtà ecclesiale primitiva che supportano l’odierna visione sinodale della Chiesa» (p. 19). Le linee fondative di un’ecclesiologia sinodale (“sinodo = cammino insieme”) saranno esplicitate secondo una sequenza storico-narrativa, articolata in varie tappe: una Chiesa che è convocata, attuata, strutturata, inviata ed escatologicamente orientata.

Chiesa convocata

La Chiesa si avverte sin dall’inizio come realtà viva convocata. Il fondamento ultimo della dimensione sinodale della Chiesa poggia sulla volontà creatrice di Dio che chiama l’uomo alla comunione. Nell’AT ci sono le premesse della Chiesa in quanto Dio attua l’iniziativa di convocare un popolo che gli appartenga, per poi far culminare la sua azione nel radunarlo attorno al messia, secondo le testimonianze del NT.

Per quanto riguarda l’AT, Martin studia i termini che esprimono il fatto che il popolo di Dio è convocato in unità: qahal “assemblea” (tradotto nel greco della LXX con ekklesia o con synagogē); ‘edah “assemblea, adunanza, comunità” generale dell’intero popolo o assemblea qualificata in un contesto giudiziario e liturgico; il verbo “raccogliere” (impiegato per la raccolta postesilica (Ez 34,12) e per quella escatologica (Ez 20,34-37); ‘am “popolo” liberato dall’Egitto e che diventa nazione, il popolo di Dio, legato a YHWH nell’alleanza, fondato sulla fedeltà di Dio e anche assemblea religiosa e cultuale consacrata al Signore (Nm 11,29; Is 62,12; Dt 7,6). Il popolo di Israele è una nazione convocata-radunata da Dio da un motivo prettamente religioso. La ‘edah/qahal è la forma originaria in cui si manifesta la vocazione sinodale del popolo di Dio.

Ekklēsia indica i cristiani come schiera eletta di Dio, convocata da Dio nei tempi ultimi come credenti attorno al messia). Sussiste come realtà locale e come Chiesa universale, vivente nella comunione. Sono impiegati i verbi synagagein (radunare, con accezione giuridica in 1Cor 5,4) e synerchomai (radunarsi, per la cena del Signore in 1Cor 11,17-20.33s). La concezione funzionale è unita a una più teologica, in cui è chiaro che Gesù riunisce i figli di Dio dispersi (Gv 11,52). Anche il prefisso syn- (“insieme”) tradisce il fatto che la sinodalità del popolo di Dio, il camminare insieme, è una dimensione strutturante, sorgiva, che nasce dall’iniziativa di Dio che, volendo mettere gli uomini in comunione tra di loro e con sé, desidera che nella comunità cristiana essi facciano strada insieme, camminando non da soli ma con gli altri.

Nel NT è presente anche il termine laos “popolo”, “gente”, “grande folla” ecc. Esso designa la nuova comunità dei credenti che provengono dal giudaismo e dalle nazioni (cf. Rm 9,25). Paolo e le lettere della tradizione paolina usano invece preferenzialmente i termini “Chiesa”, “corpo”, “tempio”. Una realtà sovraetnica, costituita in stretta unità (cf Ef 2,14-18). Nel NT non emerge l’idea di un nuovo Israele che sostituisca il precedente. La dimensione comunitaria della Chiesa del NT ne connota indelebilmente l’identità.

Chiesa attuata

I testi del NT mostrano come il momento iniziale della convocazione si esplichi poi nel cammino sinodale, fatto insieme. I gesti concreti che lo esprimono sono innanzitutto la celebrazione dell’eucaristia, che dà alla Chiesa la forza di farne altri, di affrontare cioè i vari problemi che si pongono (servizio alle mense in At 6 e il problema della circoncisione in At 15). La dimensione sinodale della Chiesa scaturisce dalla sua identità eucaristica (cf. i racconti dell’istituzione dell’eucaristia).

Martin studia i gesti e le parole di Gesù nell’Ultima cena: la vita del messia viene donata ai discepoli. L’eucaristia (e, conseguentemente, la Chiesa) rivela una forte dimensione recettiva (gli imperativi “prendete, “bevete” ecc.), inclusiva (non è riservata solo ai Dodici/Undici), avente come finalità la salvezza dell’intera umanità, con una chiara dimensione conviviale-comunionale ed escatologica. L’eucaristia può essere ferita da atteggiamenti che tradiscono il suo carattere comunionale (cf. 1Cor 11,20-22).

L’episodio dei discepoli di Emmaus è la migliore icona delle tappe della celebrazione eucaristica: Gesù accompagna e sostiene il cammino della Chiesa, spezza la Parola e il pane, spinge all’annuncio del kerygma. La Parola è discernimento in atto e la fractio panis è uno degli elementi costitutivi della Chiesa (cf. At 2,42.46; 20,7.11). La sinassi eucaristica «è la sorgente e il paradigma della spiritualità di comunione. In essa si esprimono gli elementi specifici della vita cristiana chiamati a plasmare l’affectus sinodalis (SVMC 109)» (p. 67).

Oltre che per la celebrazione eucaristica, la comunità primitiva si raduna per superare le difficoltà e i problemi. L’elezione dei sette (At 6) e il problema della circoncisione (At 15) sono affrontati e risolti col contributo di tutti, sotto la guida del collegio apostolico. Il metodo sinodale è sostanza: in esso la Chiesa rivela se stessa. In At 6 le tappe sono: convocazione da parte dell’autorità, esposizione del problema, proposta di una soluzione, plauso unanime, elezione dei Sette, presentazione agli apostoli, imposizione delle mani con il conferimento dell’incarico.

Lo spartiacque del concilio apostolico di Gerusalemme (At 15,6-29) segue un itinerario simile: problema, raduno, ascolto delle testimonianze, intervento dell’apostolo Pietro e di Giacomo che discernono la situazione alla luce della Scrittura e dell’azione del regista occulto che è lo Spirito. Tutti partecipano alla decisione. Luca mostra un modello ecclesiale e la trafila delle tappe è “conciliare”, ma definibile anche come “sinodale”. Nel celebrare l’eucaristia e nella soluzione delle difficoltà, l’assemblea ecclesiale rivela la propria identità e la propria natura. Essa cammina insieme come comunità di discepoli che sono oggetto di una iniziativa salvifica di Cristo, coltivano una visione universale e non selettiva della salvezza, cercando di favorire relazioni fraterne aperte a tutti. L’intervento corale di tutti i soggetti, ciascuno in forza del suo compito specifico, cerca di giungere insieme a una soluzione condivisa, sotto la guida della Parola e dello Spirito.

Dietro a questo modello di Chiesa sta l’aggettivo “sinodale” impiegato ai nostri giorni.

Chiesa strutturata

Nel NT la Chiesa si manifesta come compagine strutturata quale corpo di Cristo, animata da carismi e ministeri, e bisognosa per sopravvivere anche di alcune figure di autorità, anche se inizialmente con configurazione fluida e non uniforme. Dal corpo sacramentale di Cristo (l’eucaristia) matura molto presto la metafora del corpo ecclesiale. La Chiesa è incorporata nella vita divina che, nella persona del Risorto, permette di vivere in unità senza che venga mortificata l’originalità di ciascuno. Nel corpo esistono e interagiscono varie membra, con compiti e ruoli diversi che interagiscono fra loro. Martin analizza la metafora somatica presente in 1Cor 12, Rm 12 ed Ef 4. In 1Cor 12 c’è l’esplicita identificazione cristologica del corpo ecclesiale, con la reciproca appartenenza delle varie membra. In Rm 12 la Chiesa è vista invece come «un solo corpo in Cristo». L’appartenenza è più radicale: quella alla morte e risurrezione di Cristo, realizzatasi nel battesimo. In Efesini ci si rivolge alla Chiesa intera. Tutta intera essa è corpo di Cristo, con il capo distinto dal corpo. Cristo è centro direttivo e fonte vitale della Chiesa, unita e distinta dal suo capo. La metafora somatica si integra con quella architettonica, con il concetto di edificazione. Costituita sulla pietra angolare di Cristo e sul fondamento degli apostoli, la Chiesa tende a Cristo, suo capo, con un cammino sinodale condiviso e orientato a lui, condotto da ogni cristiano e finalizzato alla crescita del corpo ecclesiale nell’amore. La Chiesa è un edificio ben ordinato e i cristiani sono edificati insieme (syn-) dal Signore.

Per un’ecclesiologia sinodale, la dottrina della Chiesa corpo di Cristo appare a Martin come imprescindibile. La «con-corporeità che la Chiesa gode con Cristo presuppone che tutte le membra concorrano, pur a titolo diverso e ciascuna con la specificità che le è propria, alla vita dell’intero corpo, e che tutte traggano la vita dalla medesima fonte, Cristo capo, sotto la cui autorità sottostanno» (p. 97). Nell contesto della metafora somatica si assiste nel NT all’esposizione dei diversi carismi e ministeri, di cui si danno vari elenchi esemplificativi, tendenti però a mettere ai primi posti gli apostoli, i profeti e i maestri (1Cor 12,8-10; 12,28; Rm 12,6b-8; Ef 4,11). Martin ne sottolinea l’origine trascendente (Dio, 1Cor 12,28; Cristo risorto, Ef 4,11; lo Spirito, 1Cor 12,4-6), ne esamina la varietà, la destinazione universale e il fine del bene personale e comunitario, la costituzione della Chiesa come corpo ben strutturato e compaginato.

In Ef 4 i doni non sono dati ai singoli (cf. traduzione CEI 2008), ma alla Chiesa. Martin suggerisce infatti di tradurre con maggior precisione Ef 4,11: «Ed è lui che ha donato [alla Chiesa] alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri». Nella Chiesa ci sono dunque ruoli di governo, di esortazione e di discernimento, di annuncio, di guida e di insegnamento autorevoli, tutti orientati all’unico scopo di rendere i credenti capaci di servire. L’autore traduce Ef 4,12 in modo semplice: «per preparare i fratelli all’opera del servizio», ossia per renderli capaci di servire (non tanto a compiere il ministero, CEI 2008).

Tutti gli elenchi parlano dell’agape, l’amore. La strutturazione interna delle funzioni della Chiesa non ha un’intenzionalità puramente gestionale. Carismi e ministeri, senza l’amore non darebbero vita alla Chiesa, ma a qualcos’altro. A monte dei carismi e ministeri sta l’origine trascendente, e a valle il loro orientamento all’amore fraterno. I carismi e i ministeri ricordati nel NT si situano in una situazione chiaramente “fluida” e i ruoli non sono formalizzati in modo definitivo (cf. i vari nomi dati alle guide). Nel NT compare una pluralità costitutiva di carismi e ministeri. Nella Chiesa è necessario comunque che «ci sia qualcuno in grado di svolgere il ruolo di garante della radice apostolica della Chiesa e dell’autenticità del suo annuncio» (p. 114).

Il ministero ordinato, ossia il compito della presidenza fin dalle origini garantisce alla Chiesa di essere ciò che è. Nessuna figura singola, secondo Martin, può assumersi in toto il ruolo dell’animazione e della guida della Chiesa. Ci sono figure differenziate per il servizio di governo della comunità e per l’annuncio del vangelo.

La struttura della Chiesa non è monolitica e rigida, ma l’unità organica trasmette anche figurativamente l’idea di una unione vitale, sempre in divenire, che continuamente cresce verso la sua pienezza. La Chiesa è per costituzione perennemente in cammino, avendo l’agape/amore un ruolo centrale e strategico. La ricerca del bene comune, la collaborazione e la cura non sono solo atteggiamenti esistenziali dipendenti solo dall’amore fraterno. Derivano dal fatto che i credenti si appartengono reciprocamente, sono «membra gli uni degli altri», innestati nel corpo stesso di Cristo. Nelle relazioni ecclesiali fluisce la vita stessa del Risorto. Nel NT esistono quindi in nuce le dimensioni della Chiesa che oggi chiamiamo “sinodali”.

Chiesa inviata

La Chiesa è convocata, radunata, strutturata e realizzata con lo scopo di annunciare il vangelo al mondo intero. Senza la missione, la Chiesa non è ciò che è. «La storia del cristianesimo primitivo è in gran parte storia della missione» (J. Gnilka, cit. a p. 117). Nel NT questa realtà è testimoniata dall’attività missionaria di Paolo e dei suoi collaboratori (cf. le lettere autoriali, quelle della tradizione paolina e gli Atti). L’annuncio missionario ha un «carattere prettamente condiviso e comunitario» (p. 122). I Vangeli di Marco e di Matteo testimoniano l’invio dei Dodici e dei discepoli in missione prepasquale e postpasquale (questa con la potenza del Risorto e a dimensione universale).

La natura sinodale della Chiesa è testimoniata anche dalla vocazione di coppie di fratelli e dall’invio missionario a due a due. La Chiesa riconosce la sua natura missionaria come una dimensione costitutiva e avverte l’accompagnamento cooperante, efficace e “miracoloso” del Risorto (cf. Mc 16,15-20). Luca esprime la missione come un compito di testimonianza di Gesù risorto e di tutte le cose dette e fatte da lui (Lc 24,46-49; At 1,8). Momento missionario per eccellenza è la Pentecoste (At 21,1-3), in cui si insiste sulla nota onnicomprensiva dei soggetti annunzianti e di quelli recettivi dell’annuncio (tutto, tutti, ciascuno, ogni nazione ecc.). Il dono dello Spirito è indirizzato alla totalità dei presenti e crea la comunione fra “tutti” e “ciascuno” nel rispetto dell’originalità di ciascuno. Si prefigura il raduno di tutte le genti nell’unico popolo di Dio.

Lo Spirito rende possibile e fruttuosa l’esperienza sinodale: fonde anima e anima, cuore e cuore, facendo sperimentare l’essere insieme nel modo più profondo. La testimonianza ha una forma prettamente comunitaria: i discepoli ricevono insieme, come soggetto ecclesiale, lo Spirito e insieme parlano facendosi capire da tutti. Comunità e individui sono articolati in un cammino sinodale nel raccordo operato dallo Spirito. Nella letteratura giovannea l’invio ecclesiale è fatto risalire alla sua radice ultima, la fonte divina. La missione della Chiesa è il prolungarsi della missione del Figlio ricevuta dal Padre. Non ci sono due missioni, ma quella ecclesiale dipende totalmente dalla prima. Anche per Giovanni l’invio ha un carattere comunitario, collettivo, non individuale. Il compito di perdonare viene conferito all’intero gruppo dei discepoli (cf. Gv 20,22s). Il compito dato al solo Pietro (cf. Mt 16,19) va coniugato insieme, sinodalmente, con quello conferito a molti altri. Testimoniare e annunciare l’esperienza concreta fatta di Gesù (i discepoli hanno udito, veduto, contemplato, toccato) conduce i credenti alla comunione fraterna e allo scopo finale: la comunione con il Padre e il Figlio (cf. 1Gv 1,1-4). Il “noi ecclesiale”, il soggetto collettivo della comunità giovannea fa da tramite tra Gesù sperimentato nella prima ora e coloro che approdano alla fede in un secondo tempo.

Il soggetto inviato è un soggetto testimoniale sinodale, non dei singoli individui. «Se per “sinodale” si intende una modalità comunionale e condivisa di essere Chiesa, allora anche la missione può, a ragion veduta, dirsi tale» (p. 140). Il noi e l’insieme precedono l’io e l’individuo. Il vangelo appartiene alla comunità nella sua interezza, e in quanto tale la Chiesa viene costantemente inviata dal Risorto ad annunciarlo a tutti. L’annuncio è un compito che i credenti accolgono insieme dal Risorto e condividono tra di loro. A nessuno viene affidato un compito isolato dagli altri.

Chiesa escatologicamente orientata

L’itinerario sinodale della Chiesa è orientato verso il compimento escatologico, alla gloria finale, unitamente all’intera creazione (cf. LG 48). Nella Bibbia il destino finale è trattato quasi sempre in forme declinate al plurale (cf. 1Cor 15). La condizione di risurrezione, già realizzatasi per Cristo, viene assicurata nel futuro escatologico non a singoli, ma all’intera umanità (cf. 1Cor 15,22). Il linguaggio è immaginifico. Si parla di trasformazione e di cambio d’abito (cf. 1Cor 15,51-54 e 2Cor 5,1-4). Esplicite sfumature ecclesiali e sinodali sono quelle del raduno, del cammino, la Gerusalemme celeste e l’unificazione universale.

Il momento finale è paragonato a un grande raduno di massa (cf. 1Ts 4,14; 2Ts 2,1). Dio guida la storia, in Cristo Gesù, con una modalità esodale: un’uscita di liberazione per il raduno di un popolo unito (cf. Mt 24,30s). La partecipazione alla parusia e al giudizio universale riguarderà non soggetti che arrivano isolati all’appuntamento, ma camminando insieme – sinodalmente –, lasciandosi guidare come popolo. Al raduno da parte di Dio corrisponde il mettersi in cammino da parte dell’uomo e dell’intera creazione. 2Cor 5,6-10 esprime chiaramente la situazione di itineranza che, da una lontananza dal Signore, conduce in un cammino comune nella fede all’incontro escatologico con lui. L’approssimarsi all’approdo finale è descritto non con le idee dell’attesa e della perseveranza, ma con quella del cammino verso un traguardo preciso: «Abitare presso il Signore» (2Cor 5,8).

Da tutta la terra gli uomini verranno ad abitare nella dimora grandiosa della Gerusalemme celeste. In Ap 21 essa è descritta come discendente dal cielo, magnificamente vestita da sposa pronta per le nozze, luogo di alleanza tra Dio e tutti i popoli. Essa è un Santo dei Santi dilatato a dismisura. È di origine trascendente, ma in quanto “città” essa è costruita dagli uomini. Il futuro escatologico del mondo non può prescindere dall’apporto che l’umanità saprà offrire. La “tenda” è tessuta dalle mani dell’uomo. Così le nozze tra Dio e l’umanità si realizzeranno nell’incontro tra due soggetti diversi, dove ognuno fa la sua parte.

La città non ha una sola porta, chiusa di notte, e neppure quattro, ma ben dodici e sempre aperte per accogliere a tutto campo non solo un unico popolo eletto ma la convivenza di tutte le nazioni (cf. Ap 21,3: «saranno suoi popoli»). La Gerusalemme celeste è inclusiva, solamente ospitale. La città-sposa è il traguardo di un pellegrinaggio corale, immenso e variegato, proveniente da ogni dove. La fede di Israele lo prospettava già (cf. Tb 13, 13.15; Sal 22,28; Is 2,3; Mi 4,2, Zc 8,20-22).

Il pellegrinaggio universale abbraccia idealmente anche il cammino delle singole Chiese locali. La Chiesa è straniera e pellegrina, perennemente in cerca di una terra migliore (cf. 1Pt 1,17; 2,11; Eb 3,4; 11,8). La «sinodalità è la forma storica del suo camminare in comunione sino al riposo finale (SVCM 50)». «La sinodalità […] si qualifica come la riscoperta di una dimensione del misterium salutis che si svolge sinodalmente, ossia nella comunione storica fra gli uomini e nel pellegrinaggio verso la Città eterna: il cammino sinodale che qui comincia finisce in Cielo» (M.G. Masciarelli, cit. alle pp. 151-152). La città celeste è il traguardo escatologico della Chiesa sinodale e di tutte le genti. In altri testi si legge dell’aspirazione del cosmo intero alla medesima unità. Cristo, pacificatore universale, co-creatore di tutte le cose con il Padre, attua un’azione unificatrice senza limiti nello spazio e nel tempo. Secondo T. de Chardin, Cristo risorto è l’orizzonte e l’obiettivo preciso del cammino travagliato della creazione. In Cristo Gesù, Dio riconcilia, pacifica e conduce al Cristo, unico capo, tutte le cose, sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli (cf. Col 1,20; Ef 1,10).

Martin fa notare come una umile concretizzazione dell’immenso e misterioso movimento della storia e dell’universo sussiste nella Chiesa. In essa convivono nella comunione molte realtà etniche diverse che camminano insieme. La fraternità e la convivenza ecclesiali sono la punta più esplicita e avanzata del grande e imperscrutabile itinerario che coinvolge esseri umani, popoli, elementi della natura e l’universo intero. Essi camminano insieme in una “sinodalità cosmica”, che misteriosamente avvolge ogni cosa e le orienta a un destino di pienezza (cf. Laudato si100).

Dal libro di Martin si evince quindi che la sinodalità della Chiesa ha un solido fondamento biblico, anche se nella Bibbia manca il termine “sinodo/sinodalità”. L’autore sottolinea come il camminare insieme nella vita e nella missione della Chiesa, con il coinvolgimento di tutte le sue componenti, ognuna col proprio compito, è una nota costitutiva della comunità cristiana fin dall’inizio. Secondo lui, “Chiesa sinodale” non è uno slogan, ma scaturisce dalla natura stessa dell’evento ecclesiale fin dalle origini e «l’orizzonte entro il quale la Chiesa deve muovere i suoi passi per il futuro» (p. 160). Il volume è corredato dalla Bibliografia (pp. 163-170), dalle Sigle e abbreviazioni (pp. 171-172 e da un prezioso Indice biblico (pp. 173-180).
R. Mela, in SettimanaNews.it 30 ottobre 2021

L’ossatura di una ecclesiologia biblica sinodale: una chiesa che è convocata, attuata, strutturata, inviata, orientata. La prestigiosa casa editrice Queriniana pubblica un nuovo volume nella nota collana «Giornale di teologia» (n. 434) a firma di don Aldo Martin, docente stabile di esegesi del Nuovo Testamento all’ISSR di Vicenza e Rettore del Seminario diocesano.
«Il 22 aprile 2019 – racconta don Martin nell’Introduzione – quando nella sede centrale della Facoltà teologica del Triveneto (Padova) si celebrava un convegno promosso da diverse facoltà teologiche d’Italia, dedicato precisamente al tema della sinodalità, Piero Coda sollecitò pubblicamente la trasformazione di quel mio contributo in una pubblicazione autonoma». Ecco come e da dove nasce questo nuovo testo di don Aldo Martin.
Il testo è strutturato in 5 capitoli (e relativi sottoparagrafi): 1. Chiesa convocata; 2. Chiesa attuata; 3. Chiesa strutturata; 4. Chiesa inviata; 5. Chiesa escatologicamente orientata
«L’obiettivo del presente studio – evidenzia don Martin – rimane quello di evidenziare come la sinodalità, messa in luce dal documento della Commissione teologica internazionale La sinodalità nella vita e nella missione della chiesa, abbia un solido fondamento biblico. Chiesa sinodale, dunque – prosegue l’Autore vicentino – non può essere ridotto a un banale slogan contemporaneo o ad una passeggera moda ecclesiastica, ma scaturisce dalla natura stessa dell’evento ecclesiale, così come emerge dalla lettura attenta della testimonianza del Nuovo Testamento. È una dimensione costitutiva della comunità cristiana».


G. Ruggeri, in Recensionedilibri.it 5 ottobre 2021