Il cinquantaduenne docente di Esegesi del NT presso l’ISSR di Vicenza amplia in questo volume un suo contributo pensato come illustrazione del fondamento biblico della sinodalità a commento allo studio della Commissione teologica internazionale (CTI) pubblicato nel 2018: La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa (SVMC). A lavoro ultimato, l’autore mostra la propria gioia per l’annuncio fatto da papa Francesco dell’assemblea generale del Sinodo dei vescovi avente come tema “Per un Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. Inaugurato il 9 ottobre 2021, esso si concluderà nell’ottobre del 2023 dopo aver percorso le tre tappe delle singole diocesi, delle conferenze episcopali e della Chiesa universale. Martin scopre nel documento della CTI una sorta di ecclesiologia biblica sinodale e, nel suo lavoro, intende cogliere nel testo biblico – in cui i termini sinodo/sinodalità non compaiono – «le dinamiche e le linee di fondo della realtà ecclesiale primitiva che supportano l’odierna visione sinodale della Chiesa» (p. 19). Le linee fondative di un’ecclesiologia sinodale (“sinodo = cammino insieme”) saranno esplicitate secondo una sequenza storico-narrativa, articolata in varie tappe: una Chiesa che è convocata, attuata, strutturata, inviata ed escatologicamente orientata.
Chiesa convocata
La Chiesa si avverte sin dall’inizio come realtà viva convocata. Il fondamento ultimo della dimensione sinodale della Chiesa poggia sulla volontà creatrice di Dio che chiama l’uomo alla comunione. Nell’AT ci sono le premesse della Chiesa in quanto Dio attua l’iniziativa di convocare un popolo che gli appartenga, per poi far culminare la sua azione nel radunarlo attorno al messia, secondo le testimonianze del NT.
Per quanto riguarda l’AT, Martin studia i termini che esprimono il fatto che il popolo di Dio è convocato in unità: qahal “assemblea” (tradotto nel greco della LXX con ekklesia o con synagogē); ‘edah “assemblea, adunanza, comunità” generale dell’intero popolo o assemblea qualificata in un contesto giudiziario e liturgico; il verbo “raccogliere” (impiegato per la raccolta postesilica (Ez 34,12) e per quella escatologica (Ez 20,34-37); ‘am “popolo” liberato dall’Egitto e che diventa nazione, il popolo di Dio, legato a YHWH nell’alleanza, fondato sulla fedeltà di Dio e anche assemblea religiosa e cultuale consacrata al Signore (Nm 11,29; Is 62,12; Dt 7,6). Il popolo di Israele è una nazione convocata-radunata da Dio da un motivo prettamente religioso. La ‘edah/qahal è la forma originaria in cui si manifesta la vocazione sinodale del popolo di Dio.
Ekklēsia indica i cristiani come schiera eletta di Dio, convocata da Dio nei tempi ultimi come credenti attorno al messia). Sussiste come realtà locale e come Chiesa universale, vivente nella comunione. Sono impiegati i verbi synagagein (radunare, con accezione giuridica in 1Cor 5,4) e synerchomai (radunarsi, per la cena del Signore in 1Cor 11,17-20.33s). La concezione funzionale è unita a una più teologica, in cui è chiaro che Gesù riunisce i figli di Dio dispersi (Gv 11,52). Anche il prefisso syn- (“insieme”) tradisce il fatto che la sinodalità del popolo di Dio, il camminare insieme, è una dimensione strutturante, sorgiva, che nasce dall’iniziativa di Dio che, volendo mettere gli uomini in comunione tra di loro e con sé, desidera che nella comunità cristiana essi facciano strada insieme, camminando non da soli ma con gli altri.
Nel NT è presente anche il termine laos “popolo”, “gente”, “grande folla” ecc. Esso designa la nuova comunità dei credenti che provengono dal giudaismo e dalle nazioni (cf. Rm 9,25). Paolo e le lettere della tradizione paolina usano invece preferenzialmente i termini “Chiesa”, “corpo”, “tempio”. Una realtà sovraetnica, costituita in stretta unità (cf Ef 2,14-18). Nel NT non emerge l’idea di un nuovo Israele che sostituisca il precedente. La dimensione comunitaria della Chiesa del NT ne connota indelebilmente l’identità.
Chiesa attuata
I testi del NT mostrano come il momento iniziale della convocazione si esplichi poi nel cammino sinodale, fatto insieme. I gesti concreti che lo esprimono sono innanzitutto la celebrazione dell’eucaristia, che dà alla Chiesa la forza di farne altri, di affrontare cioè i vari problemi che si pongono (servizio alle mense in At 6 e il problema della circoncisione in At 15). La dimensione sinodale della Chiesa scaturisce dalla sua identità eucaristica (cf. i racconti dell’istituzione dell’eucaristia).
Martin studia i gesti e le parole di Gesù nell’Ultima cena: la vita del messia viene donata ai discepoli. L’eucaristia (e, conseguentemente, la Chiesa) rivela una forte dimensione recettiva (gli imperativi “prendete, “bevete” ecc.), inclusiva (non è riservata solo ai Dodici/Undici), avente come finalità la salvezza dell’intera umanità, con una chiara dimensione conviviale-comunionale ed escatologica. L’eucaristia può essere ferita da atteggiamenti che tradiscono il suo carattere comunionale (cf. 1Cor 11,20-22).
L’episodio dei discepoli di Emmaus è la migliore icona delle tappe della celebrazione eucaristica: Gesù accompagna e sostiene il cammino della Chiesa, spezza la Parola e il pane, spinge all’annuncio del kerygma. La Parola è discernimento in atto e la fractio panis è uno degli elementi costitutivi della Chiesa (cf. At 2,42.46; 20,7.11). La sinassi eucaristica «è la sorgente e il paradigma della spiritualità di comunione. In essa si esprimono gli elementi specifici della vita cristiana chiamati a plasmare l’affectus sinodalis (SVMC 109)» (p. 67).
Oltre che per la celebrazione eucaristica, la comunità primitiva si raduna per superare le difficoltà e i problemi. L’elezione dei sette (At 6) e il problema della circoncisione (At 15) sono affrontati e risolti col contributo di tutti, sotto la guida del collegio apostolico. Il metodo sinodale è sostanza: in esso la Chiesa rivela se stessa. In At 6 le tappe sono: convocazione da parte dell’autorità, esposizione del problema, proposta di una soluzione, plauso unanime, elezione dei Sette, presentazione agli apostoli, imposizione delle mani con il conferimento dell’incarico.
Lo spartiacque del concilio apostolico di Gerusalemme (At 15,6-29) segue un itinerario simile: problema, raduno, ascolto delle testimonianze, intervento dell’apostolo Pietro e di Giacomo che discernono la situazione alla luce della Scrittura e dell’azione del regista occulto che è lo Spirito. Tutti partecipano alla decisione. Luca mostra un modello ecclesiale e la trafila delle tappe è “conciliare”, ma definibile anche come “sinodale”. Nel celebrare l’eucaristia e nella soluzione delle difficoltà, l’assemblea ecclesiale rivela la propria identità e la propria natura. Essa cammina insieme come comunità di discepoli che sono oggetto di una iniziativa salvifica di Cristo, coltivano una visione universale e non selettiva della salvezza, cercando di favorire relazioni fraterne aperte a tutti. L’intervento corale di tutti i soggetti, ciascuno in forza del suo compito specifico, cerca di giungere insieme a una soluzione condivisa, sotto la guida della Parola e dello Spirito.
Dietro a questo modello di Chiesa sta l’aggettivo “sinodale” impiegato ai nostri giorni.
Chiesa strutturata
Nel NT la Chiesa si manifesta come compagine strutturata quale corpo di Cristo, animata da carismi e ministeri, e bisognosa per sopravvivere anche di alcune figure di autorità, anche se inizialmente con configurazione fluida e non uniforme. Dal corpo sacramentale di Cristo (l’eucaristia) matura molto presto la metafora del corpo ecclesiale. La Chiesa è incorporata nella vita divina che, nella persona del Risorto, permette di vivere in unità senza che venga mortificata l’originalità di ciascuno. Nel corpo esistono e interagiscono varie membra, con compiti e ruoli diversi che interagiscono fra loro. Martin analizza la metafora somatica presente in 1Cor 12, Rm 12 ed Ef 4. In 1Cor 12 c’è l’esplicita identificazione cristologica del corpo ecclesiale, con la reciproca appartenenza delle varie membra. In Rm 12 la Chiesa è vista invece come «un solo corpo in Cristo». L’appartenenza è più radicale: quella alla morte e risurrezione di Cristo, realizzatasi nel battesimo. In Efesini ci si rivolge alla Chiesa intera. Tutta intera essa è corpo di Cristo, con il capo distinto dal corpo. Cristo è centro direttivo e fonte vitale della Chiesa, unita e distinta dal suo capo. La metafora somatica si integra con quella architettonica, con il concetto di edificazione. Costituita sulla pietra angolare di Cristo e sul fondamento degli apostoli, la Chiesa tende a Cristo, suo capo, con un cammino sinodale condiviso e orientato a lui, condotto da ogni cristiano e finalizzato alla crescita del corpo ecclesiale nell’amore. La Chiesa è un edificio ben ordinato e i cristiani sono edificati insieme (syn-) dal Signore.
Per un’ecclesiologia sinodale, la dottrina della Chiesa corpo di Cristo appare a Martin come imprescindibile. La «con-corporeità che la Chiesa gode con Cristo presuppone che tutte le membra concorrano, pur a titolo diverso e ciascuna con la specificità che le è propria, alla vita dell’intero corpo, e che tutte traggano la vita dalla medesima fonte, Cristo capo, sotto la cui autorità sottostanno» (p. 97). Nell contesto della metafora somatica si assiste nel NT all’esposizione dei diversi carismi e ministeri, di cui si danno vari elenchi esemplificativi, tendenti però a mettere ai primi posti gli apostoli, i profeti e i maestri (1Cor 12,8-10; 12,28; Rm 12,6b-8; Ef 4,11). Martin ne sottolinea l’origine trascendente (Dio, 1Cor 12,28; Cristo risorto, Ef 4,11; lo Spirito, 1Cor 12,4-6), ne esamina la varietà, la destinazione universale e il fine del bene personale e comunitario, la costituzione della Chiesa come corpo ben strutturato e compaginato.
In Ef 4 i doni non sono dati ai singoli (cf. traduzione CEI 2008), ma alla Chiesa. Martin suggerisce infatti di tradurre con maggior precisione Ef 4,11: «Ed è lui che ha donato [alla Chiesa] alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri». Nella Chiesa ci sono dunque ruoli di governo, di esortazione e di discernimento, di annuncio, di guida e di insegnamento autorevoli, tutti orientati all’unico scopo di rendere i credenti capaci di servire. L’autore traduce Ef 4,12 in modo semplice: «per preparare i fratelli all’opera del servizio», ossia per renderli capaci di servire (non tanto a compiere il ministero, CEI 2008).
Tutti gli elenchi parlano dell’agape, l’amore. La strutturazione interna delle funzioni della Chiesa non ha un’intenzionalità puramente gestionale. Carismi e ministeri, senza l’amore non darebbero vita alla Chiesa, ma a qualcos’altro. A monte dei carismi e ministeri sta l’origine trascendente, e a valle il loro orientamento all’amore fraterno. I carismi e i ministeri ricordati nel NT si situano in una situazione chiaramente “fluida” e i ruoli non sono formalizzati in modo definitivo (cf. i vari nomi dati alle guide). Nel NT compare una pluralità costitutiva di carismi e ministeri. Nella Chiesa è necessario comunque che «ci sia qualcuno in grado di svolgere il ruolo di garante della radice apostolica della Chiesa e dell’autenticità del suo annuncio» (p. 114).
Il ministero ordinato, ossia il compito della presidenza fin dalle origini garantisce alla Chiesa di essere ciò che è. Nessuna figura singola, secondo Martin, può assumersi in toto il ruolo dell’animazione e della guida della Chiesa. Ci sono figure differenziate per il servizio di governo della comunità e per l’annuncio del vangelo.
La struttura della Chiesa non è monolitica e rigida, ma l’unità organica trasmette anche figurativamente l’idea di una unione vitale, sempre in divenire, che continuamente cresce verso la sua pienezza. La Chiesa è per costituzione perennemente in cammino, avendo l’agape/amore un ruolo centrale e strategico. La ricerca del bene comune, la collaborazione e la cura non sono solo atteggiamenti esistenziali dipendenti solo dall’amore fraterno. Derivano dal fatto che i credenti si appartengono reciprocamente, sono «membra gli uni degli altri», innestati nel corpo stesso di Cristo. Nelle relazioni ecclesiali fluisce la vita stessa del Risorto. Nel NT esistono quindi in nuce le dimensioni della Chiesa che oggi chiamiamo “sinodali”.
Chiesa inviata
La Chiesa è convocata, radunata, strutturata e realizzata con lo scopo di annunciare il vangelo al mondo intero. Senza la missione, la Chiesa non è ciò che è. «La storia del cristianesimo primitivo è in gran parte storia della missione» (J. Gnilka, cit. a p. 117). Nel NT questa realtà è testimoniata dall’attività missionaria di Paolo e dei suoi collaboratori (cf. le lettere autoriali, quelle della tradizione paolina e gli Atti). L’annuncio missionario ha un «carattere prettamente condiviso e comunitario» (p. 122). I Vangeli di Marco e di Matteo testimoniano l’invio dei Dodici e dei discepoli in missione prepasquale e postpasquale (questa con la potenza del Risorto e a dimensione universale).
La natura sinodale della Chiesa è testimoniata anche dalla vocazione di coppie di fratelli e dall’invio missionario a due a due. La Chiesa riconosce la sua natura missionaria come una dimensione costitutiva e avverte l’accompagnamento cooperante, efficace e “miracoloso” del Risorto (cf. Mc 16,15-20). Luca esprime la missione come un compito di testimonianza di Gesù risorto e di tutte le cose dette e fatte da lui (Lc 24,46-49; At 1,8). Momento missionario per eccellenza è la Pentecoste (At 21,1-3), in cui si insiste sulla nota onnicomprensiva dei soggetti annunzianti e di quelli recettivi dell’annuncio (tutto, tutti, ciascuno, ogni nazione ecc.). Il dono dello Spirito è indirizzato alla totalità dei presenti e crea la comunione fra “tutti” e “ciascuno” nel rispetto dell’originalità di ciascuno. Si prefigura il raduno di tutte le genti nell’unico popolo di Dio.
Lo Spirito rende possibile e fruttuosa l’esperienza sinodale: fonde anima e anima, cuore e cuore, facendo sperimentare l’essere insieme nel modo più profondo. La testimonianza ha una forma prettamente comunitaria: i discepoli ricevono insieme, come soggetto ecclesiale, lo Spirito e insieme parlano facendosi capire da tutti. Comunità e individui sono articolati in un cammino sinodale nel raccordo operato dallo Spirito. Nella letteratura giovannea l’invio ecclesiale è fatto risalire alla sua radice ultima, la fonte divina. La missione della Chiesa è il prolungarsi della missione del Figlio ricevuta dal Padre. Non ci sono due missioni, ma quella ecclesiale dipende totalmente dalla prima. Anche per Giovanni l’invio ha un carattere comunitario, collettivo, non individuale. Il compito di perdonare viene conferito all’intero gruppo dei discepoli (cf. Gv 20,22s). Il compito dato al solo Pietro (cf. Mt 16,19) va coniugato insieme, sinodalmente, con quello conferito a molti altri. Testimoniare e annunciare l’esperienza concreta fatta di Gesù (i discepoli hanno udito, veduto, contemplato, toccato) conduce i credenti alla comunione fraterna e allo scopo finale: la comunione con il Padre e il Figlio (cf. 1Gv 1,1-4). Il “noi ecclesiale”, il soggetto collettivo della comunità giovannea fa da tramite tra Gesù sperimentato nella prima ora e coloro che approdano alla fede in un secondo tempo.
Il soggetto inviato è un soggetto testimoniale sinodale, non dei singoli individui. «Se per “sinodale” si intende una modalità comunionale e condivisa di essere Chiesa, allora anche la missione può, a ragion veduta, dirsi tale» (p. 140). Il noi e l’insieme precedono l’io e l’individuo. Il vangelo appartiene alla comunità nella sua interezza, e in quanto tale la Chiesa viene costantemente inviata dal Risorto ad annunciarlo a tutti. L’annuncio è un compito che i credenti accolgono insieme dal Risorto e condividono tra di loro. A nessuno viene affidato un compito isolato dagli altri.
Chiesa escatologicamente orientata
L’itinerario sinodale della Chiesa è orientato verso il compimento escatologico, alla gloria finale, unitamente all’intera creazione (cf. LG 48). Nella Bibbia il destino finale è trattato quasi sempre in forme declinate al plurale (cf. 1Cor 15). La condizione di risurrezione, già realizzatasi per Cristo, viene assicurata nel futuro escatologico non a singoli, ma all’intera umanità (cf. 1Cor 15,22). Il linguaggio è immaginifico. Si parla di trasformazione e di cambio d’abito (cf. 1Cor 15,51-54 e 2Cor 5,1-4). Esplicite sfumature ecclesiali e sinodali sono quelle del raduno, del cammino, la Gerusalemme celeste e l’unificazione universale.
Il momento finale è paragonato a un grande raduno di massa (cf. 1Ts 4,14; 2Ts 2,1). Dio guida la storia, in Cristo Gesù, con una modalità esodale: un’uscita di liberazione per il raduno di un popolo unito (cf. Mt 24,30s). La partecipazione alla parusia e al giudizio universale riguarderà non soggetti che arrivano isolati all’appuntamento, ma camminando insieme – sinodalmente –, lasciandosi guidare come popolo. Al raduno da parte di Dio corrisponde il mettersi in cammino da parte dell’uomo e dell’intera creazione. 2Cor 5,6-10 esprime chiaramente la situazione di itineranza che, da una lontananza dal Signore, conduce in un cammino comune nella fede all’incontro escatologico con lui. L’approssimarsi all’approdo finale è descritto non con le idee dell’attesa e della perseveranza, ma con quella del cammino verso un traguardo preciso: «Abitare presso il Signore» (2Cor 5,8).
Da tutta la terra gli uomini verranno ad abitare nella dimora grandiosa della Gerusalemme celeste. In Ap 21 essa è descritta come discendente dal cielo, magnificamente vestita da sposa pronta per le nozze, luogo di alleanza tra Dio e tutti i popoli. Essa è un Santo dei Santi dilatato a dismisura. È di origine trascendente, ma in quanto “città” essa è costruita dagli uomini. Il futuro escatologico del mondo non può prescindere dall’apporto che l’umanità saprà offrire. La “tenda” è tessuta dalle mani dell’uomo. Così le nozze tra Dio e l’umanità si realizzeranno nell’incontro tra due soggetti diversi, dove ognuno fa la sua parte.
La città non ha una sola porta, chiusa di notte, e neppure quattro, ma ben dodici e sempre aperte per accogliere a tutto campo non solo un unico popolo eletto ma la convivenza di tutte le nazioni (cf. Ap 21,3: «saranno suoi popoli»). La Gerusalemme celeste è inclusiva, solamente ospitale. La città-sposa è il traguardo di un pellegrinaggio corale, immenso e variegato, proveniente da ogni dove. La fede di Israele lo prospettava già (cf. Tb 13, 13.15; Sal 22,28; Is 2,3; Mi 4,2, Zc 8,20-22).
Il pellegrinaggio universale abbraccia idealmente anche il cammino delle singole Chiese locali. La Chiesa è straniera e pellegrina, perennemente in cerca di una terra migliore (cf. 1Pt 1,17; 2,11; Eb 3,4; 11,8). La «sinodalità è la forma storica del suo camminare in comunione sino al riposo finale (SVCM 50)». «La sinodalità […] si qualifica come la riscoperta di una dimensione del misterium salutis che si svolge sinodalmente, ossia nella comunione storica fra gli uomini e nel pellegrinaggio verso la Città eterna: il cammino sinodale che qui comincia finisce in Cielo» (M.G. Masciarelli, cit. alle pp. 151-152). La città celeste è il traguardo escatologico della Chiesa sinodale e di tutte le genti. In altri testi si legge dell’aspirazione del cosmo intero alla medesima unità. Cristo, pacificatore universale, co-creatore di tutte le cose con il Padre, attua un’azione unificatrice senza limiti nello spazio e nel tempo. Secondo T. de Chardin, Cristo risorto è l’orizzonte e l’obiettivo preciso del cammino travagliato della creazione. In Cristo Gesù, Dio riconcilia, pacifica e conduce al Cristo, unico capo, tutte le cose, sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli (cf. Col 1,20; Ef 1,10).
Martin fa notare come una umile concretizzazione dell’immenso e misterioso movimento della storia e dell’universo sussiste nella Chiesa. In essa convivono nella comunione molte realtà etniche diverse che camminano insieme. La fraternità e la convivenza ecclesiali sono la punta più esplicita e avanzata del grande e imperscrutabile itinerario che coinvolge esseri umani, popoli, elementi della natura e l’universo intero. Essi camminano insieme in una “sinodalità cosmica”, che misteriosamente avvolge ogni cosa e le orienta a un destino di pienezza (cf. Laudato si’100).
Dal libro di Martin si evince quindi che la sinodalità della Chiesa ha un solido fondamento biblico, anche se nella Bibbia manca il termine “sinodo/sinodalità”. L’autore sottolinea come il camminare insieme nella vita e nella missione della Chiesa, con il coinvolgimento di tutte le sue componenti, ognuna col proprio compito, è una nota costitutiva della comunità cristiana fin dall’inizio. Secondo lui, “Chiesa sinodale” non è uno
slogan, ma scaturisce dalla natura stessa dell’evento ecclesiale fin dalle origini e «l’orizzonte entro il quale la Chiesa deve muovere i suoi passi per il futuro» (p. 160). Il volume è corredato dalla Bibliografia (pp. 163-170), dalle Sigle e abbreviazioni (pp. 171-172 e da un prezioso Indice biblico (pp. 173-180).
R. Mela, in
SettimanaNews.it 30 ottobre 2021