Nella prima domenica di Quaresima il rito romano prevede quest’anno la lettura dell’episodio evangelico delle tentazioni di Cristo, dal quarto capitolo del vangelo secondo Matteo. «Allora Gesù fu condotto nel deserto dallo Spirito per essere tentato dal diavolo. E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti alla fine ebbe fame». La narrazione si ritrova negli altri due vangeli sinottici (quelli di Marco e di Luca) ed è commentata da Benedetto XVI nel primo volume su Gesù di Nazaret. Con questa «discesa nei pericoli che minacciano l’uomo», Cristo – scrive Ratzinger – «deve entrare nel dramma dell’esistenza umana, attraversarlo fino in fondo, per ritrovare così “la pecorella smarrita”, caricarsela sulle spalle e ricondurla a casa», lottando con il demonio.
Proprio il diavolo è una figura che papa Francesco non teme di evocare continuamente, tanto da costituire un elemento di rilievo del suo insegnamento, anche se quasi mai i media ne danno conto perché questo tratto non rientra nel profilo moderno e progressista che gli è stato cucito addosso. Gesuita di formazione tradizionale, Bergoglio ha invece sempre presente la realtà del demonio.
Bruciare il diavolo
Emblematico è quanto il pontefice ha raccontato nel 2016, ricordando che da arcivescovo di Buenos Aires predicava ai bambini la prima domenica di Quaresima: «Il diavolo che cosa faceva con Gesù? Ha fatto questo perché voleva che Gesù si sottomettesse». Poi, insieme ai ragazzi più piccoli – nella loro festa e secondo un metodo teatrale da secoli proprio dei gesuiti – «bruciavamo il diavolo. Era un modo per fare con i bambini la meditazione delle due bandiere di sant’Ignazio. Da una parte c’era il diavolo e dall’altra un angelo. Preparavo un diavolo grande fatto di stoffa e dentro mettevo dei petardi. Si faceva una catechesi», quindi «si accendeva il fuoco. Tutti urlavano. Era un’esplosione di petardi! I bambini si divertivano. Era un teatro che li aiutava a imparare. Per me era un modo per far fare loro il terzo esercizio della prima settimana degli Esercizi spirituali. Sant’Ignazio in questo esercizio vuole stimolare la capacità di condannare il male e di suscitare odio verso il peccato».
Non basta però denunciare il male, bisogna «decidere una conversione» dirà un ventennio più tardi Bergoglio, ormai papa. Il 22 dicembre scorso, nel discorso natalizio ai cardinali e ai prelati di curia, Francesco ha scelto infatti di riferirsi a un detto di Gesù – nell’undicesimo capitolo del Vangelo di Luca – e ha spiegato ai curiali: «La nostra prima conversione riporta un certo ordine», ma il male si ripresenta, e allora sono dei «demoni educati» che rientrano in noi, «senza che io me ne accorga. Solo la pratica quotidiana dell’esame di coscienza può far sì che ce ne rendiamo conto», perché «il demonio, cacciato via, torna; travestito, ma torna. Stiamo attenti!».
Oltre le decine e decine di menzioni del diavolo, spesso improvvisate od occasionali, nel 2018 il pontefice lo ha presentato verso la fine dell’esortazione apostolica Gaudete et exsultate «sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo». Nella preghiera del Padre Nostro – si legge nel documento papale – «terminiamo chiedendo al Padre che ci liberi dal Maligno»: un’espressione che «non si riferisce al male in astratto», ma a «un essere personale che ci tormenta». Non bisogna dunque pensare «che sia un mito, una rappresentazione, un simbolo, una figura o un’idea». Chiarito questo punto, il papa gesuita torna però sulla coscienza individuale: il diavolo «non ha bisogno di possederci. Ci avvelena con l’odio, con la tristezza, con l’invidia, con i vizi. E così, mentre riduciamo le difese, lui ne approfitta per distruggere la nostra vita».
Caduta dal cielo
L’insegnamento di Francesco sul demonio è perfettamente in linea con quello della chiesa. In tempi recenti lo ha sintetizzato il Catechismo della chiesa cattolica, chiesto dal Sinodo dei vescovi nel 1985 e pubblicato nel 1992. Secondo il testo, voluto da Giovanni Paolo II e coordinato dal cardinale Ratzinger, dietro «la scelta disobbediente dei nostri progenitori» – il peccato originale narrato all’inizio della Genesi – c’è «un angelo caduto, chiamato Satana o il diavolo».
Questa credenza di una creatura angelica in origine buona ma poi ribellatasi a Dio si trova all’origine in testi giudaici apocrifi ed è appena accennata nella Bibbia, poi viene riaffermata in ambito cristiano in età tardoantica e nel medioevo. Contro le dottrine dualiste che vedono nel demonio il principio autonomo del male, si pronunciano il sinodo di Braga del 561 e soprattutto il concilio Lateranense IV, tenutosi nel 1215: «Il diavolo infatti e gli altri demoni sono stati creati da Dio naturalmente buoni, ma da sé stessi si sono trasformati in malvagi». I teologi domenicani e francescani, da Tommaso d’Aquino a Duns Scoto, discuteranno poi sulla creazione e sulla caduta di questi esseri spirituali, con speculazioni che arrivano all’inizio dell’età moderna fino al gesuita Francisco Suárez.
Ma la storia del diavolo è molto più antica e complicata, come racconta Satana di Ryan Stokes, un libro innovativo e chiaro appena tradotto dalla Queriniana. Il biblista statunitense indaga le trasformazioni delle diverse figure sataniche che compaiono nelle scritture sacre ebraiche databili intorno al sesto secolo avanti l’èra cristiana o più tardi. All’origine compare un aggressore sovrumano che per conto di Dio diviene giustiziere, come nel ventiduesimo capitolo dei Numeri e nel terzo di Zaccaria. Poi, nella redazione definitiva del libro di Giobbe, «il Satana» inizia a trasformarsi in accusatore e in avversario dell’essere umano.
Queste entità dai tratti indefiniti si moltiplicano. Sono demoni e spiriti maligni – dai nomi e profili diversi, come Principe di Mastema, Belial, Angelo delle Tenebre – che affollano le riscritture e gli sviluppi apocrifi della Bibbia per arrivare ai manoscritti di Qumran scoperti tra il 1947 e il 1956 sulle rive del mar Morto. Centinaia di testi che in parte sono conservati nelle lingue originarie (ebraico e aramaico) ma anche in etiopico o in slavo antico, oltre il greco e il latino.
Spesso sono racconti sull’origine del mondo e sul suo destino che – dopo la distruzione del Secondo Tempio nell’anno 70 – entrano a far parte delle due correnti in cui si divide il giudaismo antico: l’ebraismo rabbinico e il cristianesimo. Basta sfogliare gli Apocrifi dell’Antico Testamento curati da Paolo Sacchi (Utet e Paideia), le Leggende degli ebrei raccolte da Louis Ginzberg un secolo fa (Adelphi) o anche solo i libri del Nuovo Testamento per rendersi conto della presenza inquietante del diavolo.
Vigilanti e forti
Il problema del male incombe su questo ribollire di pensiero. Sono gli spiriti maligni a ingannare gli esseri umani? È Dio che li ha creati? A questi interrogativi rispondono affermativamente il Libro dei vigilanti e la rilettura biblica nei Giubilei. Altri scritti, come la Lettera di Enoch e la Lettera di Giacomo nel Nuovo Testamento, sottolineano la libertà e la responsabilità dell’uomo, mentre nei testi di Qumran si profila la guerra senza quartiere tra luce e tenebre che segna gli ultimi tempi. Ed è Giovanni, nel primo secolo, a identificare il diavolo con «il serpente antico», il seduttore di tutta la terra, nel dodicesimo capitolo della sua Apocalisse, che conclude la Bibbia cristiana.
Mezzo secolo fa, il 15 novembre 1972, un cristiano aperto alla modernità come Paolo VI parlava del demonio. Reazioni e critiche si scatenavano contro il papa, considerato retrogrado e fuori del tempo, perché Montini apriva la lunga riflessione – scritta di suo pugno – in modo sorprendente: «Quali sono oggi i bisogni maggiori della chiesa? Non vi stupisca come semplicista, o addirittura come superstiziosa e irreale la nostra risposta: uno dei bisogni maggiori è la difesa da quel male, che chiamiamo il Demonio».
Il male e il peccato, «perversione della libertà umana, e causa profonda della morte», sono infatti anche «occasione ed effetto d’un intervento in noi e nel nostro mondo d’un agente oscuro e nemico, il Demonio», dice Montini. Che descrive questa realtà come «un essere vivo spirituale, pervertito e pervertitore», e afferma che «esce dal quadro dell’insegnamento biblico ed ecclesiastico chi si rifiuta di riconoscerla esistente». E di fronte ai segni della presenza del diavolo – «là dove la negazione di Dio si fa radicale, sottile ed assurda, dove la menzogna si afferma ipocrita e potente» – il papa ricorda le parole attribuite all’apostolo Pietro: il cristiano «dev’essere vigilante e forte».
G.M. Vian, in
Domani 26 febbraio 2023