Lo scopo della pubblicazione è espresso molto chiaramente nella Prefazione, scritta dallo stesso A., Hans Kessler, classe 1938 e professore emerito di teologia fondamentale e sistematica all'Università "J.W Goethe" di Francoforte: «Mi ha spinto a scrivere questo libro tutto ciò che di recente mi è capitato di leggere e di ascoltare sulla Pasqua e sulla resurrezione [...] Siamo di fronte a una moltitudine sconcertante di punti di vista contraddittori, che devono essere tutti esaminati criticamente per le loro giustificazioni [...] E niente su Gesù è così frainteso ed erroneamente interpretato come la resurrezione».
L'obiettivo che si prefigge Kessler, pertanto, è mettersi in dialogo con gli uomini e le donne del nostro tempo per fare chiarezza su un aspetto centrale della fede cristiana: "come" si deve (o si può) intendere oggi l'enunciato di fede "Cristo è risorto". Va detto che la pubblicazione rinvia a un più articolato studio dello stesso A., sempre dedicato alla resurrezione, i cui principali frutti, attraverso un testo ben più agile, vengono così messi a disposizione di un pubblico più ampio: La resurrezione di Gesù Cristo. Uno studio biblico, teologico-fondamentale e sistematico, pubblicato sempre da Queriniana nel 1990 e poi nel 2010 (l'originale tedesco è del 1985, con successive riedizioni notevolmente ampliate).
La tesi che Kessler propone in merito al modo di intendere la resurrezione è molto chiara e ritorna in più punti del testo. Secondo l'A. vanno smascherate due rappresentazioni inadeguate. La resurrezione, innanzi tutto, non va intesa in termini puramente esistenziali, piscologici o interpretativi: la resurrezione non è il frutto della semplice rilettura della vita di Gesù, da parte dei suoi discepoli, all'indomani della sua morte in croce. Su questa posizione, anche se con sottolineature e sfumature diverse, si collocano diversi autori contemporanei e, tra questi, Lüdemann e Müller (pp. 137-140). Allo stesso tempo, secondo Kessler, la resurrezione non va neppure considerata in un'ottica fisico-materiale, come se l'enunciato della resurrezione di Cristo richiedesse necessariamente anche il coinvolgimento del corpo materiale (Körper) di Gesù e, conseguentemente, la verità e la realtà della tomba vuota. Qui il riferimento è principalmente alla posizione cattolica (ma non solo): sono citati Ratzinger e Kasper (passim), ma anche teologi protestanti come Moltrnann (p; 6) e Pannenberg (p. 104).
La proposta di Kessler si colloca a metà ("in medio stat virtus"?)tra queste due posizioni che egli considera estreme e "fuorvianti". La resurrezione di Cristo è stata, davvero, un evento sconvolgente e reale - un "fattore X" (p. 83), una "svolta" (p. 156) - che i discepoli hanno subito (contro l'interpretazione "riduttiva" della prima posizione), ma si può configurare come esperienza di visione o apparizione, sulla linea di quanto ha sperimentato Paolo nel suo personalissimo incontro con il Cristo glorioso sulla via di Damasco (contro la lettura ''materialistica" della seconda posizione). Un evento reale, quindi, che ha toccato in profondità e cambiato radicalmente la vita dei discepoli di Gesù, ma configurabile come un'apparizione o una visione, senza che il "corpo fisico" di Cristo sia coinvolto.
Anzi, per Kessler il corpo di Cristo, senza alcun dubbio, è perito nel sepolcro, come il corpo di qualsiasi altro uomo. A chi lo accusa di cadere in una forma di docetismo, Kessler non ha riguardi ad affermare che doceta è piuttosto chi pone Cristo in una condizione diversa da quella della nostra umanità: se i nostri corpi si decompongono, perché a Cristo dovrebbe essere toccata una sorte diversa (p. 112, nota 48)? Non sarebbe stata, in questo modo, un'incarnazione imperfetta e quindi solo "apparente"? Inoltre - altra motivazione che egli accampa - se Dio ha posto delle leggi nel Creato, perché avrebbe dovuto preservare dalla corruzione della morte il corpo di Gesù, sovvertendo così le leggi della natura (cf. p. 194)?
Prima di valutare l'opzione-Kessler in merito alla resurrezione, va presa sul serio e apprezzata l'intenzione di fondo. Egli non intende affatto negare la fede nel Cristo risorto, né tanto meno Dio (le pp. 159-179 sono dedicate a mostrare come Dio sia il "presupposto fondamentale" della realtà). Anzi, egli è animato dal sincero desiderio di proporre la fede nel Risorto in modo ragionevole, in un contesto culturale e sociale come quello attuale. Evidente l'assonanza con il pensiero di Bultmann, il quale - con il suo progetto di "demitizzazione" - non intendeva demolire i contenuti della Scrittura, quanto piuttosto decriptarli e renderli comprensibili, e quindi fruibili, da parte dell'uomo contemporaneo. Così per Kessler, in "un mondo diventato adulto", per usare un'espressione riconducibile al pensiero di Bonhoeffer (p. 212), è necessario trovare un linguaggio nuovo per rendere comprensibile, e pertanto accettabile, il mistero della resurrezione di Cristo. Oggi nessuno più accetterebbe l'idea di una rianimazione di un cadavere e, pertanto, il dogma della resurrezione di Gesù va letto in modo nuovo: un evento vero, e non inventato dai discepoli, ma che non coinvolge la materiale corporeità di Cristo. Per Kessler questo modo di interpretare la resurrezione di Cristo potrebbe risultare più comprensibile agli occhi degli uomini e delle donne di oggi.
Per certi versi - aggiungiamo noi, che pur apprezziamo il tentativo - quella di Kessler è una sorta di lectio facilior dell'evento fondamentale del cristianesimo: la resurrezione di Gesù. Tuttavia, proprio per la sua apparente semplicità rischia di sacrificare un dato che non è affatto marginale: l'intera corporeità di Cristo, non solo il Leib ma anche il Körper - distinzione su cui Kessler indugia (pp. 185-190) -, è direttamente coinvolta nel mistero della salvezza, degna di essere salvata integralmente e di partecipare alla redenzione, primizia e anticipo di quello che sarà il destino di ogni uomo e di ogni donna. Sacrificare questo dato per rendere più "moderno" il messaggio cristiano è davvero rispettoso del "kerigma" della prima comunità cristiana? Kessler tenta di dimostrare che l'affermazione della tomba vuota non è presente nelle primitive professioni di fede (pp. 85-92) ed è stata introdotta, come una "messa in scena narrativa" (sic!), piuttosto tardivamente, in dipendenza esclusiva dal racconto di Mc 16,1-8 (pp. 96-120). Viene da chiedersi perché, se il corpo è stato ritrovato nella tomba il giorno di Pasqua, i discepoli non lo abbiano subito detto. Se il dato del cadavere non era così decisivo, come afferma Kessler, perché non hanno narrato di aver trovato il corpo? Perché le narrazioni del sepolcro - per Kessler "tardive" - hanno inteso "fuorviare" i lettori (come fuorviante continua a essere - a sua detta - anche il dipinto del Caravaggio che ritrae Tommaso che mette il dito nelle piaghe del Risorto [p. 121])? Se il corpo fosse stato presente nella tomba, anche il kerigma non sarebbe stato formulato in modo diverso? Forse, proprio nel caso della resurrezione, la lectio difficilior - quella che i padri della chiesa hanno ribadito nei grandi concili cristologici dei primi secoli contro ogni risorgente gnosticismo (e docetismo) - sembra ancora la più plausibile.
Ci sono anche altri aspetti del testo di Kessler che meritano di essere discussi. Ad esempio: il refrain secondo il quale la maggiore affidabilità storica va accordata all'evangelista Marco e la minore, invece, all'evangelista Giovanni (pp. 21-25); la perentorietà con cui si afferma che i "fratelli e sorelle di Gesù" erano figli carnali di Maria (p. 27, nota 21, e p. 68); il fatto che, secondo Kessler, il messaggio autenticamente "gesuano" si può sintetizzare nell'affermazione che «Dio si rivolge a tutti e perdona senza condizioni» (p. 33), mentre le parabole che parlano dell'impegno richiesto al credente e di castigo da parte di Dio sono frutto della mentalità degli evangelisti (e non di Gesù); Gesù non si sarebbe mai definito "messia" (p. 58) o "figlio di Dio" (p. 66), ma ciò nonostante Kessler parla di una "coscienza del tutto unica e singolare" da parte di Gesù della sua relazione con Dio (Abbà) e della sua missione (p. 35 et passim)...Ci sembrano, invece, molto interessanti le considerazioni con cui Kessler cerca di attualizzare il significato della resurrezione per noi oggi, affermando che il cristianesimo, proprio in virtù dell'evento della resurrezione di Cristo, è una "religione di elevazione", cioè «non lascia che sulla terra tutto continui ad andare come è e come va. Ci rende capaci di compassione, incoraggia a intervenire per una convivenza più giusta, alla sollevazione della bontà [...]» (p. 215).
Quello di Kessler, in definitiva, è un volume che non passa inosservato e che, se letto in modo critico, può contribuire in modo costruttivo a un vivace dibattito - non solo tra esperti e accademici! - sulla figura di Gesù Cristo oggi.
A. Magoga, in
Studia Patavina 3/2024, 553-556