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Questa è la nostra fede
Luis González-Carvajal Santabárbara

Questa è la nostra fede

Una introduzione per non addetti ai lavori

Prezzo di copertina: Euro 36,00 Prezzo scontato: Euro 34,20
Collana: Books
ISBN: 978-88-399-3238-9
Formato: 13,5 x 21 cm
Pagine: 368
Titolo originale: Esta es nuestra fe. Teología para quienes no leen teología
© 2024

In breve

200.000 copie vendute in Spagna: giunto alla 25a edizione, si presenta ora con una organizzazione tematica rielaborata, contenuti aggiornati e molti capitoli completamente nuovi.

Un testo estremamente valido, tradotto in sette lingue

Pensato per la formazione personale e di gruppo, è utilizzabile nelle parrocchie (per l’iniziazione cristiana), nei centri educativi, negli istituti di vita consacrata e in molti altri ambiti ecclesiali.

Descrizione

La fede cristiana espressa in modo piacevole e accessibile, senza mai perdere in incisività

Riuscire a spiegare la fede cristiana parlando alla cultura dei nostri giorni, cioè in una maniera che sappia porsi in dialogo con le realtà in cui viviamo, è senz’altro una sfida enorme. Perché è decisivo farlo senza rinunciare alla profondità e alla ricchezza spirituale dei concetti teologici, dei simboli, delle tradizioni.
Questo volume riesce nell’impresa: ottimo compendio della fede dei cristiani, è una “teologia” per non addetti ai lavori, che presenta con assoluta serietà e con grande chiarezza di linguaggio i capitoli fondamentali del credo cristiano. È anche un libro di formazione, rivolto a chi va in cerca di una consapevolezza critica nel proprio credere.
L’autore sa essere molto convincente anche quando, nell’esposizione, affronta aspetti difficili del cristianesimo (la spiegazione del peccato originale, per esempio). Le sue pagine si leggono con interesse e piacere, perché non annoiano mai, ma anzi stimolano a pensare.

Recensioni

Questa è la nostra fede. Una introduzioneper non addetti ai lavori di Luis González-Carvajal Santabárbara, edito dalla Queriniana, è un best-seller mondiale. Parlare di best-seller in teologia, lo sanno i teologi che scrivono, è un fenomeno raro, anzi, rarissimo. Quest’opera si propone come ambiziosa e accessibile, mirando a demistificare la teologia e democratizzarla, rendendola comprensibile a un pubblico non specialistico. L'a., che si definisce «ingegnere prima che teologo», sottolinea come la sua mancanza di un «pedigree» teologico tradizionale gli abbia permesso di sviluppare un linguaggio più comprensibile, privilegiando la chiarezza anche a costo di barbarismi pur di farsi capire. Il libro, giunto alla 24ª edizione spagnola, ha avuto un notevole successo, vendendo quasi 200.000 copie e venendo tradotto in sette lingue, a testimonianza della sua capacità di colmare un'evidente «ignoranza teologica» e, allo stesso tempo, un bisogno di comprensione. 

L'opera, come dichiarato nel sottotitolo, è una «introduzione per non addetti ai lavori». Da docente di teologia, sono rimasto piacevolmente sorpreso dalla capacità dell’autore di creare un’atmosfera reader-non-addetto-friendly per introdurre la riflessione sui concetti teologici. Facendo così, l’a. incoraggia il lettore a non tirarsi indietro di fronte alla teologia, definendola giustamente come la «riflessione di un credente che cerca di capire meglio la propria fede».

Il testo si propone sia come primo approccio che come aggiornamento, utile per la lettura personale o di gruppo, e soddisfa sia studenti universitari (con un numero molto moderato note a piè di pagina per le citazioni) sia lettori abituati a testi più leggeri, che possono tranquillamente ignorare le note.

Venendo ai temi trattati, Il testo affronta i principali dogmi cristiani e le questioni fondamentali della fede, spesso riconsiderando interpretazioni tradizionali alla luce delle moderne conoscenze e sensibilità. Spesso, l'autore non esita a riformulare con termini poco abituali per i teologi le dottrine e le questioni complesse.

Ad esempio, il peccato originale viene descritto come una «dottrina-talpa» che molti cristiani hanno nascosto per vergogna a causa di formulazioni «vulnerabili». L'autore critica l'idea di un «fatale errore gastronomico» o la trasmissione genetica della colpa, alla luce della moderna sensibilità per la giustizia e della paleontologia. L'autore sottolinea che la Bibbia non è una cronaca storica, ma una narrazione sapienziale, e il racconto della caduta di Adamo ed Eva è un «mito nel senso più nobile del termine: qualcosa che non è mai accaduto, ma che succede sempre». Viene introdotto il concetto di «responsabilità collettiva» e l'«amartiosfera» (il groviglio di responsabilità e colpe che costituisce la realtà umana), spiegando che si nasce già situati in un mondo danneggiato dai peccati di chi ci ha preceduto.

Dove troviamo le tracce del peccato originale nella nostra vita? Il capitolo descrive il «cuore di pietra» come la natura umana danneggiata che ci impedisce di fare il bene che distinguiamo, e chiarisce che il «peccato originale» è un peccato in senso analogico, senza responsabilità personale. Infine, si conclude che il peccato originale rivela una profonda alienazione umana, che non ha l'ultima parola grazie alla sovrabbondanza della grazia di Cristo.

Guardando alle primizie della rivelazione, l’a. guarda tra l’altro alla rivelazione di Dio nell'Esodo, che è una storia di liberazione in cui Dio si manifesta «a fianco dei poveri e dei piccoli, delle minoranze e dei meno forti». L’a. attira l’attenzione dei suoi lettori al fatto storico in sé e alla successiva rielaborazione midrashica (rabbinica) della Bibbia. Quest’ultima enfatizza il significato teologico degli eventi più che la cronaca precisa, mostrando come Israele comprendesse ogni evento come linguaggio e gesto di Dio.

Guardando al NT, l’a. riflette naturalmente sulla figura di Gesù, partendo dalla domanda di base: l’esistenza storica di Gesù. L’esistenza storica di Gesù è attestata anche da fonti non cristiane. Similmente alla natura midrashica appena accennata, i vangeli non sono biografie nella concezione moderna del termine, ma sono testimonianze che privilegiano la teologia sulla storia.

Venendo alla Redenzione. L'autore critica duramente le teorie della «soddisfazione vicaria» di sant'Anselmo e della «sostituzione penale» di Lutero, che presentano un Dio che chiede per donare e per perdonare. e che tormenta il proprio Figlio per soddisfare la sua ira contro il peccato umano. L’a. definisce tale lettura come una «bestemmia intollerabile» e un «crudele meccanismo». La redenzione è, invece, un «mistero d'amore» di Dio che si manifesta nella vita di Cristo donata per gli altri, non nella sofferenza fine a sé stessa.

L’a. si avventura anche in una spiegazione per non addetti del dogma della Santissima Trinità. Il monoteismo ebraico è stato un processo storico, passando dalla monolatria al monoteismo. La fede trinitaria non è una rottura con questa fede monoteista, perché il Nuovo Testamento mantiene la fede nell'unicità di Dio ma esperisce Dio come Padre, Figlio e Spirito Santo intimamente uniti. L’a. si addentra leggermente nelle dispute teologiche attorno ad alcune eresie – come il modalismo (Sabellio) e il subordinazionismo (Arianesimo) – che negavano la distinzione delle persone o la piena divinità del Figlio e dello Spirito. L’analisi panoramica dell’a. che non tradisce l’intento del libro, mostra come il dogma trinitario non è frutto di speculazione filosofica, ma di un desiderio di comprendere l'esperienza di fede. La dottrina della Trinità non afferma l'assurdo 1=3. Dio è non è uno e tre allo stesso tempo. Dio è uno quanto alla natura, ma è trino quanto alle ipostasi. I cristiani non hanno teorizzato un Dio così, ma hanno solo cercato di esprimere con le parole, sebbene il linguaggio umano sia sempre inadeguato, la loro esperienza di Dio. È interessante che l’a. tiri fuori alcune conseguenze pratiche della fede trinitaria. Essendo immagine della Trinità, Dio ci ha creati per formare una famiglia unita, a sua immagine e somiglianza, incoraggiando la comunione e la pace. L’a. afferma che Dio è anche «Madre», valorizzando i tratti femminili e materni della divinità biblica.

Altri temi che il lettore troverà nel testo sono la sofferenza e il male, la presenza del cristiano nel mondo, la Chiesa, i sacramenti, la vita eterna, la vergine Maria, ecc. Il tutto in uno stile accessibile, ma non banale. Insomma, un buon aperitivo che, si spera, costituisca un invito a gustare piatti teologici più impegnativi e approfonditi.


R. Cheaib, in Theologhia.com 18 agosto 2025

Nel numero dell'aprile scorso di un vivace mensile cattolico, «Jesus», sono stati convocati quattro esperti di materie differenti – una teologa (Stella Morra), un filosofo (Gaetano Piccolo), una scrittrice (Mariapia Veladiano) e una studiosa di retorica (Flavia Trupia) – attorno a un comune interrogativo: quali parole nuove per dire la fede? Il punto di partenza era un po' sconsolato: omelie spersonalizzate, liturgie incomprensibili e sciatte, documenti ecclesiali verbosi, testi teologici esoterici, libri religiosi noiosi e così via. In sintesi, il tema è sempre lo stesso verso il quale anche chi ora scrive queste righe è spesso strattonato, ossia la sfida del linguaggio e della comunicazione nella Chiesa del XXI secolo.

Non è il caso di offrire ora il succo di quel dialogo che alla fine si annodava attorno a spunti metodologici efficaci ma la cui declinazione sbandava di fronte all'esercizio concreto. È facile identificare le carenze: parole non più connesse a una cultura in evoluzione incessante, termini astratti privi del mordente simbolico-narrativo-figurativo, assenza di tecnica comunicativa (ovviamente senza scimmiottare gli influencer), ricorso a stereotipi pur nobili ma ormai desueti o equivoci all'orecchio del fedele (ad esempio, "redenzione" e persino "salvezza"), distanza dalla sostanza e dallo stesso patrimonio biblico, più coinvolgente di quanto sembri (le parabole di Gesù insegnano), l'uso di ramificazioni nel discorso invece della chiarezza triadica delle parole-chiave, strategia tipica della retorica ma persino del rap, e così via.

Non si dica che oramai i praticanti diminuiscono e che, quindi, l'annuncio diventa solo settoriale ed esclusivo, perché in realtà stanno aumentando le persone in ricerca spiritulale che potrebbero rilanciare la protesta del profeta Isaia: «Guardai, ma non c'era nessuno, tra costoro nessuno capace di consigliare, nessuno da interrogare per avere una risposta» (41,28). I tentativi di agganciare costoro ma soprattutto di stimolare i credenti ad essere coscienti della loro fede e – come già suggeriva san Pietro nella sua Prima Lettera – ad essere «pronti a rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che è in loro» (3,15), non mancano al livello bibliografico, anche se non sempre in maniera rigorosa e decorosa.

Segnaliamo ora un testo suggestivo, passibile forse di qualche critica – come è ovvio che sia in simili sperimentazioni – giunto nell'originale spagnolo nientemeno che alla 24a edizione con un totale di duecentomila copie vendute, senza contare le altre sette lingue in cui è stato tradotto. Apparso per la prima volta nel 1982, è stato ripetutamente rielaborato dal suo autore, un ingegnere minerario divenuto sacerdote, parroco a Madrid, dedito soprattutto alla divulgazione teologica. Il suo nome, un po' ispanicamente pomposo, è Luis Gonzalez-Carvajal Santabarbara, ed è già stato presentato al pubblico italiano nel 2021 col Credo spiegato ai cristiani un po' scettici (Dehoniane).

Ora si propone la versione italiana della sua opera più fortunata che vorrebbe essere un'introduzione alla sostanza della fede cristiana «per non addetti ai lavori», con lo sforzo di articolare tutti i capisaldi e gli snodi teologici in un linguaggio comprensivo e un po' colorito.

Se uno scorre l'indice degli autori citati, scopre infatti che di scena non sono solo Padri della Chiesa, autori medievali o teologi contemporanei ma anche una piccola folla di scrittori e testimoni "laici". L'arco dei terni si espande dal peccato originale nel suo vero significato, confrontato anche con la scienza moderna, fino alla risurrezione di Cristo coinvolgendo la reinterpretazione della triade escatologica paradiso-inferno-purgatorio.

All'interno di questi due poli estremi s'allarga il ventaglio delle questioni che innervano la fede, ovviamente con uno spazio vasto riservato alla cristologia che, di sua natura, rimanda al discorso sul Dio trinitario (la "teo-logia" specifica), con le sue ricadute sul mistero del male e della sofferenza. Si affaccia, così, l'antropologia che esige l'elaborazione di un ritratto completo del cristiano nella sua genesi battesimale, nella sua esistenza morale, nel suo essere parte viva del corpo della Chiesa e dei suoi sacramenti. L'elenco, per molti versi scontato, che abbiamo ora delineato, non rende ragione della vivacità del dettato, ma anche degli imprevisti a cui si trova esposto il lettore quasi in ogni pagina. […]


G. Ravasi, in Il Sole 24 Ore 1 settembre 2024

Il compito più difficile per l’evangelizzazione è riuscire a spiegare con semplicità i contenuti della fede cristiana – e in particolare di quella cattolica – alla cultura del nostro tempo, apparentemente dominata da un’apatia strisciante nei confronti delle credenze religiose, quando non dalla presunzione di conoscere già tutto quello che conta sulla religione all’interno della quale si è cresciuti. Si tratta al tempo stesso di un problema di rinnovamento del proprio linguaggio comunicativo e di ripensamento teologico della fede tradizionale per attualizzarla alla contemporaneità.

È una questione ben presente nella Chiesa dal Concilio Vaticano II in poi, e non a caso sono numerosi gli autori che si sono impegnati nel produrre testi di divulgazione-attualizzazione della religione cristiana dagli ultimi decenni del Novecento ai primi decenni del nuovo millennio.

Nel 2021, in Spagna è stata pubblicata una nuova edizione di un saggio intitolato Esta es nuestra fe, che ha venduto oltre 200.000 copie in lingua spagnola e che ora è stato finalmente tradotto in italiano. Si tratta di un’esposizione teologica per non specialisti particolarmente chiara e gradevole da leggere, certamente adatta alla mentalità del nostro tempo. Questo buon risultato è probabilmente dovuto al fatto che l’A. possiede singolarmente una doppia formazione: una di ingegnere minerario e l’altra di teologo e di pastore. Si tratta infatti di un sacerdote che è stato parroco nella città di Madrid e per molti anni attivo nelle opere di carità come segretario generale della Caritas spagnola.

Come scrive lui stesso, il successo del suo libro è dovuto al fatto che non è prodotto da «un teologo di razza»: per questo egli tende a utilizzare un linguaggio divulgativo, comprensibile anche dai non teologi, ovvero dai semplici credenti che vogliono approfondire i contenuti della propria fede, oppure da non credenti in ricerca o comunque desiderosi di conoscere meglio la dottrina cristiana. A questo proposito, l’A. non esita a richiamare un celebre sermone di sant’Agostino, nel quale si afferma: «Che ci importa di ciò che esigono i grammatici? È meglio che comprendiate il nostro barbarismo piuttosto che con l’eloquenza restiate abbandonati» (Enarrationes in psalmos, 3,6). Ne discende così un testo di teologia che altro non è se non la riflessione di un credente messa a disposizione dei confratelli dentro e fuori dalla fede, da apprezzare particolarmente per la sua organicità e compiutezza.

Il saggio di Santabárbara inizia affrontando un tema oggi spesso tralasciato dai teologi: il peccato originale. Questo snodo cruciale per la fede – Si Adam non peccasset, Filius Dei homo non factus esset – viene trattato con serietà e chiarezza, tenendo pure conto delle conoscenze acquisite nell’ambito della paleontologia umana e dei problemi che quest’ultima ha posto alla teologia. Gli altri 22 capitoli ripropongono lo stesso stile e seguono una sorta di percorso paracatechetico, nel quale non si trascurano le tematiche relative al Gesù storico, alla cristologia, alla Trinità, al rovello del male nel mondo, all’identità del cristiano, all’importanza della Chiesa nel progetto salvifico e alla vita dopo la morte.


R. Timossi, in La Civiltà Cattolica 4178, 198-199