Una continua ricerca della felicità, attraverso piccole o grandi scelte quotidiane, da rinnovare o, più spesso, da ribaltare: è questo che caratterizza la nostra esistenza di umani. E per i cristiani non sembra fare differenza. E dire che il Vangelo “brulica” delle promesse di Gesù: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11). È l’Evangelii gaudium che ci ricorda spesso papa Francesco, ma forse non ci crediamo ancora abbastanza. Eppure, la felicità di cui si parla supera di gran lunga le promesse che incontriamo nelle riviste di benessere o nei bestseller sul tema. Il Vangelo dà ad essa parecchi nomi – regno di Dio, gioia, comunione – ma soprattutto, contrariamente a quanto pensano alcuni, non la promette per l’aldilà, magari dopo una vita segnata dalla sofferenza e dal sacrificio, ma ci assicura che essa ci viene donata oggi, qui, non domani.
Ed è una felicità – pensiamo alle Beatitudini – di cui si avverte il profumo lungo tutto il Vangelo: un po’ come il profumo del buon pane fresco quando passiamo davanti a una panetteria, un implicito invito ad entrare. Accade però che, per molti, il profumo resti solo un qualcosa che si dissolve rapidamente, lasciando una struggente nostalgia, velata da profonda mestizia. “Ma chi può pensare di mettere in pratica gli inviti del Vangelo? Altri ci riusciranno, non io”.
«Eppure non c’è niente da temere. Perfino questa voglia è la grazia che opera. È il regno di Dio che si ritaglia il suo posto» scrive Adrien Candiard, domenicano francese, classe 1982 – attualmente al Cairo e, dopo studi teologici e linguistici impegnato nel dialogo con l’islam – nel suo ultimo libro ora tradotto da Queriniana (presentato a Roma a inizio novembre). E continua: «Il peccato, il vero peccato, sarebbe di abbandonare la partita per strada o, ancora, di andare a cercare altrove la soddisfazione di questo bisogno di eternità, di andare a cercarla in ciò che non può darla. La vita cristiana significa avere il coraggio di non rinunciare alla gioia… poiché la felicità è ciò che Dio vuole per noi; poiché la felicità è la nostra vocazione». Una chiamata alla felicità: ecco la vita di ciascuno di noi. Un’avventura personale che non può essere quella di nessun altro, perché «è solo l’altro nome della vita spirituale, della vita cristiana, della vita tout court che Dio vuole proporci».
La chiamata di Natanaele paradigma di tutte le vocazioni
Da qui la scelta dell’autore – entrato nell’ordine nel 2006 dopo lauree e dottorato in storia e scienze politiche – di partire da una delle molte “vocazioni” raccontate nel Vangelo, precisamente quella di Natanaele: «Ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi» (Gv 1,48) dice Gesù a Natanaele, e questi inizia a credere in lui. Un personaggio rimasto sconosciuto, ma che rappresenta un po’ tutti noi costantemente alla ricerca di una realizzazione, in pienezza, della nostra vita o – per dirla con Candiard – alla ricerca continua della felicità.
E quell’albero di fico, misteriosamente piantato al centro della scena, diventa il filo rosso che guida il discorso, perché, proprio come la pianta di cui si parla inaspettatamente e che ci sollecita per la sua ombra o il profumo dei suoi frutti, rappresenta la vocazione di ciascuno di noi, sempre autentica, ma altrettanto incomprensibile solo poco prima.
È quanto accaduto a Filippo di Betsaida cui Gesù ha detto, senza mezzi termini: «Seguimi» (Gv 1,43). Una scelta che alcuni animatori vocazionali si augurerebbero immediata (invece di sprecar tempo in ritiri, discernimento ecc.), ma non può essere così, commenta Candiard: il modello non può essere riportato, perché nessuno può permettersi di giocare con l’entusiasmo, se pure lodevolissimo, di un giovane.
Quello che è più significativo è invece “l’effetto domino”, quel «Vieni e vedi» (Gv 1,46), perché la fede dei testimoni è di fondamentale importanza e da lì nasce la nostra vocazione alla felicità.
“L’unico fallimento è avere paura di vivere”
Come fare? Candiard, forte della missione caratteristica del suo Ordine, spiega che le persone occorre andarle a «cercare là dove sono e parlare di ciò che suscita il loro interesse, non delle nostre manie personali».
Ecco allora che la riflessione si snoda fluida, talvolta illuminata da alcuni ricordi personali, con l’intento di offrire al lettore solo dei semplici “discorsi intempestivi sulla vita cristiana”, come recita il sottotitolo.
Diversi i temi affrontati, sempre con immediatezza, spesso con una buona dose di umorismo: la difficoltà della preghiera, la (apparente) contraddizione del perdono, il nodo della fraternità, l’amore umano manifestazione di quello di Dio e, ancora, la felicità della relazione, il peccato che, contro ogni aspettativa, ci avvicina alla misericordia di Dio…
Quasi alle ultime battute, arriva la tesi: «L’unico fallimento è avere paura di vivere, vivere per sé, risparmiando se stessi, facendo attenzione a non donarsi troppo», eppure «donarsi, donare il proprio talento, donare la propria personalità, il proprio sorriso, il proprio entusiasmo, anche la propria sensibilità, è fare fortuna nel Regno». E questo accade nella vita religiosa, così come nel matrimonio: molti vanno dicendo che occorre uno sforzo sovrumano per mantenere l’entusiasmo iniziale, ma non è affatto così, rivela Candiard. La realtà che ci aspetta è molto più bella di ciò che possiamo immaginare e l’avvenire è ciò che ci sorprenderà sempre, a patto che restiamo aperti all’inatteso, al nuovo, a tutto quanto magari ci destabilizza, ma che sarà comunque un dono che ci renderà felici.
Del resto, come diceva nel XIII secolo Giordano di Sassonia, Maestro dell’Ordine: «Ridete perché siete salvati! Ridete, perché il regno di Dio è vicinissimo a voi!».
M.T. Pontara Pederiva, in
SettimanaNews.it 10 novembre 2018