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Pregare Dio insieme
Moshe Navon, Thomas Söding

Pregare Dio insieme

Un’interpretazione ebraico-cristiana del Padre nostro

Prezzo di copertina: Euro 25,00 Prezzo scontato: Euro 23,70
Collana: Spiritualità 201
ISBN: 978-88-399-3801-5
Formato: 13,2 x 19,3 cm
Pagine: 224
Titolo originale: Gemeinsam zu Gott beten. Eine jüdisch-christliche Auslegung des Vaterunsers
© 2021

In breve

«Il Padre nostro è una soglia tra cielo e terra. Ed è una soglia anche tra ebraismo e cristianesimo. È una preghiera che solo Gesù, come ebreo, poteva insegnare ai suoi discepoli, che erano tutti ebrei».

Descrizione

Nel Padre nostro scorre il sangue di Gesù, che gli ebrei possono riconoscere come loro fratello e i cristiani confessare come loro messia.
Il Padre nostro come preghiera dell’ebreo Gesù, che per i cristiani è sacra, può essere fatta propria anche dagli ebrei? E i cristiani possono recitarla assieme agli ebrei?
Il rabbino Moshe Navon e l’esegeta cattolico Thomas Söding, dialogando tra loro, sviluppano una lettura della “preghiera del Signore” che dà una risposta affermativa a queste domande. I due autori, ognuno a partire dalla propria competenza interpretativa, ricostruiscono il fondamento religioso e culturale originario del Padre nostro, ne illustrano le dense affermazioni, evidenziano la comune radice del testo.

Recensioni

Il volume è stato scritto a quattro mani da due autori: Moshe Navon, rabbino di Amburgo, e Thomas Söding, docente di Nuovo Testamento alla Facoltà teologica di Bochum, sollecitati e sostenuti da un movimento ecumenico e di dialogo tra ebraismo e cristianesimo. Nasce essenzialmente come risposta agli interrogativi riguardanti le radici ebraiche della preghiera del Padre nostro presente nei vangeli di Matteo e Luca.

La risposta a essi, come si può rilevare dalla lettura di questo singolare «contributo all’approfondimento dell’amore fraterno tra ebrei e cristiani» (p. 6), interesserà il legame storico e teologico tra la religione ebraica e quella cristiana. Quello storico proviene dalle comuni radici delle due religioni, il cui dialogo non può dimenticare, peraltro, il comune martirio di cristiani ed ebrei presente nella Shoah (p. 18). Quello teologico, invece, si evidenzia in modo esplicito nel fatto che Gesù chiama Padre il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe e istruisce i suoi discepoli a usare il nome di “padre”: così, la grande corrente delle preghiere di Israele continua a fluire nella tradizione cristiana.

L’introduzione e i primi tre capitoli offrono un orizzonte teologico della preghiera del Padre nostro: una visione ampia che ripropone il senso della preghiera ebraica come perenne rinnovamento della alleanza (p. 20) e il senso di quella cristiana come riflesso della nuova alleanza che si costituisce nella «sequela vivente di Gesù» (p. 24).

Seguono sette capitoli che riprendono le singole espressioni del Padre nostro. Alternandosi, i due A. espongono l’origine e la forma delle diverse parti secondo la tradizione propria.

In senso cristiano, Thomas Söding afferma che non si può pensare la parola di Gesù se non correlata all'An- tico Testamento. Così, la preghiera insegnata da Gesù è immaginabile solo come «preghiera ebraica, inse- gnata da un ebreo, insegnata a ebrei, recitata da ebrei» (p. 41), vissuta dal II secolo in poi anche da pagani che vi riconoscono e custodiscono le sue radici antiche.

Moshe Navon illustra con ampi riferimenti al mondo della tradizione ebraica le radici della preghiera del Padre nostro, facendo riferimento all’’amidâ, ossia alla preghiera principale del culto ebraico, o preghiera delle diciotto benedizioni. In essa possiamo ritrovare tutte le espressioni presenti nel Padre nostro, dall’appellativo di «padre nostro che sei nei cieli» (p. 70), al «sia santificato il tuo nome» (p. 100), al «venga il tuo Regno» (p. 111), e così via.

La lettura evangelica che Söding fa delle espressioni della preghiera è un riconoscimento della tradizione antica e insieme una lettura cristologica dell’Antico Testamento. Questo afferma la continuità dell’agire orante del popolo di Dio, i cui membri si riconoscono nella loro creaturalità, figliolanza e nell’umile adesione a un’Alleanza che trova nel Figlio Gesù Cristo l’espressione totale.

Perché pregare insieme, allora? La risposta è una sintesi del percorso offerto dai due A. e viene colta, in modo più esplicito, nella parte finale del testo.

Le radici comuni sono la prima motivazione: «il Gesù della chiesa deve essere allo stesso modo l’ebreo Gesù» (p. 208). Il riconoscimento dell’ebraismo, poi, permette di accedere anche a una cristologia “alta”, a una “giovinezza della teologia”, secondo un principio paolino che offre il suo robusto contributo alla teologia positiva di Israele.

Infine, «i mondi paralleli dell’ebraismo storico e del cristianesimo storico si incontrano nell’eternità, ma questo “punto di incontro”, questo incontrarsi lo abbiamo già nel nostro amore, qui e ora» (p. 211).

Ed ecco l’invito finale: «Preghiamo, dunque, insieme, ognuno di noi nel proprio modo unico, che abbiamo ricevuto dal Padre celeste per scambiarci i nostri doni celesti sulla terra. La preghiera principale dell’’amidâ e il Padre nostro cristiano sono i doni più importanti al servizio di questo scopo» (p. 211).


A. Bertazzo, in Studia Patavina 1/2022, 174-175

Il Padre nostro è la preghiera che l’ebreo Gesù insegnò ai suoi seguaci ebrei: è la preghiera per eccellenza del mondo cristiano, è una preghiera intrinsecamente ebraica. Gli ebrei possono riconoscerla come tale vedendo in Gesù stesso un loro fratello, confessato, invece, come messia dai cristiani? Tale invocazione, dunque, può essere recitata da ebrei e cristiani? Un rabbino e un esegeta cattolico affermano di sì. Entrambi gli aa., muovendo ognuno di loro dalla propria specifica prospettiva, delineano il retroterra culturale e religioso della «preghiera del Signore», evidenziando la comune radice del testo che significa essenzialmente porsi come fratelli «sulla soglia tra cielo e terra».
D. Segna, in Il Regno Attualità 6/2021, 167

>«Il Padre nostro è una soglia fra tra cielo e terra. È una soglia anche tra ebraismo e cristianesimo» (p. 5). Questa convinzione ha sostenuto il rabbino di Amburgo, Moshe Navon – nato nell’allora Unione Sovietica, poi trasferitosi in Israele e infine in Germania –, e il docente cattolico di Esegesi del NT a Bochum, Thomas Söding, nell’impegno di dialogare insieme in modo fraterno e fecondo. Profondi conoscitori del retroterra biblico e storico delle rispettive tradizioni religiose, si sono confrontati su ciascun punto della preghiera che solo l’ebreo Gesù poteva insegnare ai suoi discepoli.

I due autori arriveranno a constatare la profonda vicinanza dei contenuti teologici essenziali del Padre nostro alle due tradizioni religiose che si sono andate progressivamente separando, ma che fondano il proprio vissuto spirituale e teologico nella ricchezza delle Scritture e delle tradizioni religiose sorte successivamente da un ceppo comune.

Una preghiera, due letture

Ogni capitolo del libro riporta un intervento dei due autori. Nell’Introduzione Söding spiega come il Padre nostro sia la preghiera cristiana fondamentale, con la voce del cuore; Navon vede, da parte sua, il Padre nostro come certificato di nascita ebraica del cristianesimo, ponendosi sulle orme dei martiri.

Meditando sullo sfondo, Navon presenta lo spirito della preghiera ebraica come perenne rinnovamento dell’alleanza; Söding illustra invece lo spirito della preghiera cristiana come sequela vivente di Gesù. Sotto il titolo dal capitolo “Terra madre”, Söding riflette sul Padre nostro come preghiera dell’ebreo Gesù secondo la testimonianza dei vangeli. Considerando il Padre nostro come preghiera ebraica, Navon la vede personalmente inserita nell’amore del Dio di Israele. Navon descrive l’appellativo “Padre” recuperando la testimonianza del popolo circa Dio come Padre nell’ebraismo. Söding prende in esame, a sua volta, il tema di Dio come Padre nel cristianesimo a partire dalla testimonianza del Figlio. Circa la santificazione del nome di Dio, Söding approfondisce la vita di Gesù considerandola come il dialogo della fede. Navon, da parte sua, tratta del tema del nome di Dio come è vissuto nel popolo di Dio a partire dal tesoro presente nelle sue preghiere.

Circa la venuta del regno di Dio, Navon descrive l’accettazione ebraica del regno di Dio come una traiettoria dal cielo alla terra; Söding illustra da parte sua l’annuncio del regno di Dio come irrompente al momento opportuno. Il compimento della volontà di Dio vede Söding sottolineare il fatto che la volontà di Dio è come il “canone” di Gesù, compiuta in misericordia e giustizia; Navon descrive invece la volontà di Dio come è espressa nella preghiera ebraica: nella pace del Signore. Circa il dono del pane, Navon medita sul pane dal cielo per ogni giorno a partire dalle esperienze ebraiche della benedizione di Dio; Söding si sofferma invece sul pane degli affamati, a partire dalle esperienze cristiane della grazia di Dio. Circa il perdono della colpa, Söding ricorda la realtà del perdono con responsabilità: amore divino e umano; Navon descrive, a sua volta, la riconciliazione nei rapporti di vita ebraici: mitezza e amore per i nemici.

Sulla tentazione e sulla liberazione dal male i due autori espongono i rispettivi punti di vista. Il pensiero ebraico circa la prova e la liberazione degli uomini (Navon), e lo scandalo della tentazione e la speranza della salvezza nel pensiero cristiano (Söding).

“Non abbandonarci alla tentazione”

Söding definisce non conforme alla richiesta presente nel Padre nostro la traduzione: «Non abbandonarci alla tentazione». Riportiamo più ampiamente il suo pensiero. È una richiesta sensata – afferma Söding – ma non è quella del Padre nostro. «La prospettiva è piuttosto spostata: dalla santità dal regno e dalla volontà di Dio alla debolezza, al bisogno e alla colpa degli uomini»… «La tentazione dalla quale i discepoli chiedono di essere preservati è esattamente il fascino del male a cui sono continuamente esposti. Il male… diventa tentazione perché sembra essere il bene… il Dio, che mette alla prova e porta a una tentazione, espone gli uomini alle conseguenze delle proprie azioni. Questo è giusto, ma non è misericordioso e quindi non è la piena giustizia celeste. È questa, tuttavia, che nella preghiera chiedono coloro che recitano il Padre nostro – afferma Söding –. Perciò chiedono, con fiducia, di essere esauditi: “Non indurci in tentazione”. Questo, parafrasato significa: non far cadere su di noi la tua giusta ira; preservaci, o Dio, dall’allontanarci da te; non essere il giusto giudice che ci inchioda alla nostra colpa; sii per noi, Dio, il Padre» (pp. 191-192).

Söding approva la nuova traduzione tedesca «liberaci “von dem Bösen”» rispetto a «liberaci “von dem Übel”» come più precisa, perché si collega alla richiesta di non essere indotti in tentazione e, inoltre, ha anche il vantaggio di lasciare aperto se si tratti del male o del Maligno».

Il diavolo è una «non-persona» (J. Ratzinger), perciò «la sua figura rappresenta l’inesplicabilità, l’immoralità, l’irrazionalità del male»… «La redenzione è una liberazione. Il male rende schiavi, Dio dona la libertà. … Qui si tratta semplicemente del pericolo della morte, cioè di essere strappati dalle grinfie del male – di essere allontanati da esso, di modo che non possa afferrarci. Questo è ciò che qui s’intende. Il male o il maligno portano la morte. Dio dona la vita. La dona a tutti coloro che devono morire – e con la loro cattiva condotta procurano la morte ad altri, ma consegnano anche la propria vita alla morte, non solo quando dovessero commettere un crimine capitale. Non resistono alla tentazione in cui cadono perché vogliono rendere Dio il mezzo per i propri scopi. Solamente Dio li preserverà dal soccombere alla tentazione. Egli li salverà, redimendoli e liberandoli» (pp. 194-195).

Una preghiera fonte di pace

I due autori riflettono, infine, sull’onore di Dio, visto che alcuni manoscritti del Vangelo di Matteo riportano l’espressione: «Perché tuo è il regno, tua la potenza e la gloria nei secoli».

Söding afferma che questa variante è un evento ecumenico di primaria importanza. Entrata nella Bibbia di Lutero, venne recitata come aggiunta in parentesi fino all’ultima revisione del 2017. Fu ripresa anche dalla Chiesa cattolica e approfondisce i rapporti con l’ebraismo. La fonte della dossologia del Padre nostro è infatti la preghiera di ringraziamento di Davide all’apice del suo potere prima di consegnare gli affari di stato a Salomone (cf. 1Cr 29,10-11) (cf. pp. 197-198).

Söding illustra nel suo intervento la preghiera a Dio come adorazione, riportando voci cristiane di lode a Dio, mentre Navon descrive il riconoscimento della signoria di Dio sul mondo con alcune voci ebraiche di lode a Dio. Nel capitolo finale, scritto a capoversi distinti secondo l’autore, si esprime la compiacenza del pregare insieme, avvertendo il Padre nostro come fonte di pace.

In Appendice (pp. 212-218) viene riportata dapprima la preghiera di Gesù in varie lingue: aramaico-siriaco, ebraico, greco, latino, italiano, mentre le ultime pagine illustrano il Padre nostro nello specchio ebraico. Su due colonne si dispongono a sinistra le distinte espressione del Padre nostro, mentre a destra vengono riportate letteralmente le espressioni di preghiera che rivela il medesimo humus religioso comune: la preghiera dell’’Amida e il Qaddish.

Il volume è un’opera di spiritualità di profonda ricchezza, che ai cristiani permette di apprendere e chiarire il contenuto apparentemente semplice del Padre nostro e di venire a conoscenza, nello stesso tempo, della profonda ricchezza interpretativa propria dell’ebraismo, vera «civiltà del commento», con una ricca Torah she be’al peh (istruzione orale) di qualità prescrittiva pari a quella scritta (Torah she biktav).


R. Mela, in SettimanaNews.it 22 febbraio 2021