>«Il Padre nostro è una soglia fra tra cielo e terra. È una soglia anche tra ebraismo e cristianesimo» (p. 5). Questa convinzione ha sostenuto il rabbino di Amburgo, Moshe Navon – nato nell’allora Unione Sovietica, poi trasferitosi in Israele e infine in Germania –, e il docente cattolico di Esegesi del NT a Bochum, Thomas Söding, nell’impegno di dialogare insieme in modo fraterno e fecondo. Profondi conoscitori del retroterra biblico e storico delle rispettive tradizioni religiose, si sono confrontati su ciascun punto della preghiera che solo l’ebreo Gesù poteva insegnare ai suoi discepoli.
I due autori arriveranno a constatare la profonda vicinanza dei contenuti teologici essenziali del Padre nostro alle due tradizioni religiose che si sono andate progressivamente separando, ma che fondano il proprio vissuto spirituale e teologico nella ricchezza delle Scritture e delle tradizioni religiose sorte successivamente da un ceppo comune.
Una preghiera, due letture
Ogni capitolo del libro riporta un intervento dei due autori. Nell’Introduzione Söding spiega come il Padre nostro sia la preghiera cristiana fondamentale, con la voce del cuore; Navon vede, da parte sua, il Padre nostro come certificato di nascita ebraica del cristianesimo, ponendosi sulle orme dei martiri.
Meditando sullo sfondo, Navon presenta lo spirito della preghiera ebraica come perenne rinnovamento dell’alleanza; Söding illustra invece lo spirito della preghiera cristiana come sequela vivente di Gesù. Sotto il titolo dal capitolo “Terra madre”, Söding riflette sul Padre nostro come preghiera dell’ebreo Gesù secondo la testimonianza dei vangeli. Considerando il Padre nostro come preghiera ebraica, Navon la vede personalmente inserita nell’amore del Dio di Israele. Navon descrive l’appellativo “Padre” recuperando la testimonianza del popolo circa Dio come Padre nell’ebraismo. Söding prende in esame, a sua volta, il tema di Dio come Padre nel cristianesimo a partire dalla testimonianza del Figlio. Circa la santificazione del nome di Dio, Söding approfondisce la vita di Gesù considerandola come il dialogo della fede. Navon, da parte sua, tratta del tema del nome di Dio come è vissuto nel popolo di Dio a partire dal tesoro presente nelle sue preghiere.
Circa la venuta del regno di Dio, Navon descrive l’accettazione ebraica del regno di Dio come una traiettoria dal cielo alla terra; Söding illustra da parte sua l’annuncio del regno di Dio come irrompente al momento opportuno. Il compimento della volontà di Dio vede Söding sottolineare il fatto che la volontà di Dio è come il “canone” di Gesù, compiuta in misericordia e giustizia; Navon descrive invece la volontà di Dio come è espressa nella preghiera ebraica: nella pace del Signore. Circa il dono del pane, Navon medita sul pane dal cielo per ogni giorno a partire dalle esperienze ebraiche della benedizione di Dio; Söding si sofferma invece sul pane degli affamati, a partire dalle esperienze cristiane della grazia di Dio. Circa il perdono della colpa, Söding ricorda la realtà del perdono con responsabilità: amore divino e umano; Navon descrive, a sua volta, la riconciliazione nei rapporti di vita ebraici: mitezza e amore per i nemici.
Sulla tentazione e sulla liberazione dal male i due autori espongono i rispettivi punti di vista. Il pensiero ebraico circa la prova e la liberazione degli uomini (Navon), e lo scandalo della tentazione e la speranza della salvezza nel pensiero cristiano (Söding).
“Non abbandonarci alla tentazione”
Söding definisce non conforme alla richiesta presente nel Padre nostro la traduzione: «Non abbandonarci alla tentazione». Riportiamo più ampiamente il suo pensiero. È una richiesta sensata – afferma Söding – ma non è quella del Padre nostro. «La prospettiva è piuttosto spostata: dalla santità dal regno e dalla volontà di Dio alla debolezza, al bisogno e alla colpa degli uomini»… «La tentazione dalla quale i discepoli chiedono di essere preservati è esattamente il fascino del male a cui sono continuamente esposti. Il male… diventa tentazione perché sembra essere il bene… il Dio, che mette alla prova e porta a una tentazione, espone gli uomini alle conseguenze delle proprie azioni. Questo è giusto, ma non è misericordioso e quindi non è la piena giustizia celeste. È questa, tuttavia, che nella preghiera chiedono coloro che recitano il Padre nostro – afferma Söding –. Perciò chiedono, con fiducia, di essere esauditi: “Non indurci in tentazione”. Questo, parafrasato significa: non far cadere su di noi la tua giusta ira; preservaci, o Dio, dall’allontanarci da te; non essere il giusto giudice che ci inchioda alla nostra colpa; sii per noi, Dio, il Padre» (pp. 191-192).
Söding approva la nuova traduzione tedesca «liberaci “von dem Bösen”» rispetto a «liberaci “von dem Übel”» come più precisa, perché si collega alla richiesta di non essere indotti in tentazione e, inoltre, ha anche il vantaggio di lasciare aperto se si tratti del male o del Maligno».
Il diavolo è una «non-persona» (J. Ratzinger), perciò «la sua figura rappresenta l’inesplicabilità, l’immoralità, l’irrazionalità del male»… «La redenzione è una liberazione. Il male rende schiavi, Dio dona la libertà. … Qui si tratta semplicemente del pericolo della morte, cioè di essere strappati dalle grinfie del male – di essere allontanati da esso, di modo che non possa afferrarci. Questo è ciò che qui s’intende. Il male o il maligno portano la morte. Dio dona la vita. La dona a tutti coloro che devono morire – e con la loro cattiva condotta procurano la morte ad altri, ma consegnano anche la propria vita alla morte, non solo quando dovessero commettere un crimine capitale. Non resistono alla tentazione in cui cadono perché vogliono rendere Dio il mezzo per i propri scopi. Solamente Dio li preserverà dal soccombere alla tentazione. Egli li salverà, redimendoli e liberandoli» (pp. 194-195).
Una preghiera fonte di pace
I due autori riflettono, infine, sull’onore di Dio, visto che alcuni manoscritti del Vangelo di Matteo riportano l’espressione: «Perché tuo è il regno, tua la potenza e la gloria nei secoli».
Söding afferma che questa variante è un evento ecumenico di primaria importanza. Entrata nella Bibbia di Lutero, venne recitata come aggiunta in parentesi fino all’ultima revisione del 2017. Fu ripresa anche dalla Chiesa cattolica e approfondisce i rapporti con l’ebraismo. La fonte della dossologia del Padre nostro è infatti la preghiera di ringraziamento di Davide all’apice del suo potere prima di consegnare gli affari di stato a Salomone (cf. 1Cr 29,10-11) (cf. pp. 197-198).
Söding illustra nel suo intervento la preghiera a Dio come adorazione, riportando voci cristiane di lode a Dio, mentre Navon descrive il riconoscimento della signoria di Dio sul mondo con alcune voci ebraiche di lode a Dio. Nel capitolo finale, scritto a capoversi distinti secondo l’autore, si esprime la compiacenza del pregare insieme, avvertendo il Padre nostro come fonte di pace.
In Appendice (pp. 212-218) viene riportata dapprima la preghiera di Gesù in varie lingue: aramaico-siriaco, ebraico, greco, latino, italiano, mentre le ultime pagine illustrano il Padre nostro nello specchio ebraico. Su due colonne si dispongono a sinistra le distinte espressione del Padre nostro, mentre a destra vengono riportate letteralmente le espressioni di preghiera che rivela il medesimo humus religioso comune: la preghiera dell’’Amida e il Qaddish.
Il volume è un’opera di spiritualità di profonda ricchezza, che ai cristiani permette di apprendere e chiarire il contenuto apparentemente semplice del Padre nostro e di venire a conoscenza, nello stesso tempo, della profonda ricchezza interpretativa propria dell’ebraismo, vera «civiltà del commento», con una ricca Torah she be’al peh (istruzione orale) di qualità prescrittiva pari a quella scritta (Torah she biktav).
R. Mela, in
SettimanaNews.it 22 febbraio 2021