Accadeva anche prima che qualche bambino ti domandasse dove fosse mai andato il suo gattino appena morto, e se prima o poi, da qualche parte, lo avrebbe ritrovato. Al giorno d'oggi, tra una più corretta sensibilità di tipo ecologico che non relega gli animali al rango di banali comprimari, se non proprio di "carne da cucina", e la solitudine di tanti, mitigata ormai solo da alcuni affettuosi animali da compagnia, domande simili si fanno persino più insistenti. E probabilmente persino più corrette. Al di là di esagerazioni da una parte e dall'altra, chiedersi se anche gli animali (tutta la creazione) siano in qualche modo destinati a una risurrezione finale, se cioè, come si domanda il domenicano francese autore di questo libro, ci sia o meno una sorta di giardino zoologico in paradiso, non è davvero un interrogativo così inutile. E del resto, come si dice, solo le domande meritano il nostro “inchino”, intellettuale: aprono percorsi, sollecitano pensieri, provocano anche sane inquietudini spirituali, o teologiche… A prescindere dalle risposte, più o meno definitive, ma che non possono che essere anch'esse un work in progress.
In fin dei conti, è proprio così che Perché le mucche risuscitano ci accompagna, pagina dopo pagina, nei meandri teologici dell'escatologia, che già di per sé non è quella che si può dire una tematica granché di moda, ma con necessarie incursioni nell'antropologia, nell'esegesi, nella dogmatica. Perché, ed è forse la scoperta più gradita scorrendo queste pagine, porsi il dubbio se anche le mucche risuscitino, beh, ha molto a che fare con la nostra di risurrezione: che cosa intendiamo davvero per essa? La nostra fede in ciò, è fede in che cosa? Dando per scontato che, come direbbe san Paolo, se Cristo non è risorto, allora anche la nostra fede è vana.
Insomma, non ha senso essere e dirci cristiani, non lo saremmo neanche ontologicamente (cf. 1 Cor 15,12-20). E se l'autore il dubbio lo esprime da subito, «prendere in considerazione la possibilità di una vita per i Ciceroni (il coniglio della mamma [ndr]),le mucche e le piante in un mondo a venire, è un'opinione alquanto marginale, ma che vale la pena esplorare» (p. 10), la conclusione è positiva, pur con tutte le cautele che il tema esige, visto che né Bibbia né chiesa sembrerebbero aver preso decisamente posizione per l'una o per l'altra soluzione.
Forse chi è in cerca di certezze incontrovertibili o principi non negoziabili potrà essere deluso dal non trovarne di espliciti nel testo, ma l'autore è coerente con il suo stile che potremmo definire maieutico e dialogico: che affronta tutte le ipotesi, nessuna scartandone a priori, si pone tutte le domande, scandaglia tutte le risposte date, ascolta tutte le tesi confezionate nei secoli. Ancora più delusi si potrebbe essere dal tono sbarazzino, qua e là quasi social, annunciato già dal titolo, con un linguaggio distante dal teologhese, ma che non è semplice concessione a quello dei giovani (a parte che, sia detto anche solo tra parentesi, potrebbe essere pure una salutare provocazione ai teologi di professione e al loro stile di scrittura, diciamoci la verità, a volte alquanto criptico e autoreferenziale…).
E così, tra racconto della creazione (Gen 1), salmi (Sal 36,7: «Uomini e bestie tu salvi»), Lettera ai Romani (Rm 8, 19-21), Apocalisse (Ap 21,5: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose»), ma non solo, citando anche l'orsa vegana di Is 11,7 («La mucca e l'orsa pascoleranno insieme»), la legge dell'incarnazione, le funi intrecciate di Gregorio di Nissa (IV secolo), il predicatore anglicano John Wesley che già nel XVIII secolo non aveva dubbi in proposito («l'intera creazione animale sarà quindi, senza dubbio, restaurata»), e soprattutto papa Francesco, che con l'enciclica Laudato si' (2015) ci ha esortati a un nuovo paradigma anche spirituale di rapporto tra uomo e creazione, il nostro giovane domenicano una sua conclusione ha da proporci: «In senso stretto, se si vuole essere precisi, le mucche non risuscitano: solo gli umani risuscitano. Ma ciò non toglie che la salvezza di uomini e donne possa portare con sé la salvezza del resto delle creature, allo stesso modo in cui la caduta dei progenitori aveva comportato quella delle altre creature» (p. 27).
E noi, ridendo e scherzando, letta anche l'ultima pagina di un testo per altro godibilissimo, forse ci saremo fatti qualche idea più chiara anche su che cosa sia quella risurrezione «in corpo e anima» che invochiamo per i nostri defunti, già ora, e per noi, nel futuro. Che anch'essa non riguarderà solo noi presi (persi?) nella nostra individualità…
F. Scarsato, in
CredereOggi 253 (1/2023), 153-155