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Óscar Romero
Michael E. Lee

Óscar Romero

L’eredità teologica di un santo rivoluzionario

Prezzo di copertina: Euro 30,00 Prezzo scontato: Euro 28,50
Collana: Giornale di teologia 411
ISBN: 978-88-399-3411-6
Formato: 12,3 x 19,3 cm
Pagine: 320
Titolo originale: Revolutionary Saint. The Theological Legacy of Óscar Romero
© 2018

In breve

«L’opera di Michael Lee ci permette di entrare nell’anima di un uomo di chiesa che è stato un testimone straordinario della misericordia di Dio in un mondo spietato, che ha incontrato il Dio della vita nei cuori di coloro che sono crocifissi oggi» Daniel G. Groody

Descrizione

A svariati anni dalla morte di Óscar Romero, stiamo ancora assimilando il lascito dell’arcivescovo di San Salvador reso martire per il suo impegno a favore dei poveri e della giustizia sociale. Michael Lee attinge documentazione dalla vita di Romero, dalle sue omelie e dai suoi scritti – oltre che dalla memoria delle comunità cristiane – per esaminare la sua testimonianza. Il martire salvadoregno ci sfida a reimmaginare una spiritualità cristiana vigorosa, nella quale l’incontro mistico con Dio si sposi con l’impegno profetico per la giustizia.
Il libro si spinge allora oltre il classico ritratto agiografico, per riflettere a fondo sulle implicazioni derivanti dal riconoscimento ecclesiale di questa persona come santa. Alla luce della canonizzazione, Michael Lee evidenzia così quale eredità teologica “rivoluzionaria” (esemplificata concretamente nell’immagine di conversione, nel modello di discepolato) mons. Romero offra alla chiesa universale oggi.
Un resoconto straordinario che delinea una memoria viva della testimonianza resa da mons. Romero.

Recensioni

Fin dall’introduzione, il testo presenta alcune coordinate intorno alla figura di Romero capaci di inquietare il lettore, fugando ogni dubbio intorno a un possibile taglio agiografico e rasserenante del confronto con la sua figura. Egli infatti appartiene nativamente a «comunità della memoria diverse e che si sovrappongono» (p. 10), evocato a simbolo tanto della lotta contro l’imperialismo Usa quanto del pericolo dell’irruzione comunista nell’occidente, o dei rischi che si corrono quando si mescolano religione e politica. Non è però solo tale dimensione politica, che si intreccia inestricabilmente con la sua vicenda personale, a divenire fonte di divisione e di letture contrastanti: anche la sua fede è oggetto di dibattito, tanto che l’A. sente il bisogno di specificare che, anche se Romero incarna il tipo di apertura al mondo e ai suoi problemi peculiare del concilio Vaticano II, «ciò non significa insinuare che questa posizione sia necessariamente contrapposta alla spiritualità pia e caratterizzata dalla preghiera» (p. 12). L’affermazione è piuttosto sconcertante: ancor oggi (anche in lingua originale il testo compare nel 2018) occorre precisare che assumere la prospettiva del Concilio non si contrappone a una spiritualità orante? Questo passaggio, insieme ad altri, contribuisce ad acuire la percezione della presenza attiva di strutture di peccato che nella storia di Romero, come nella nostra storia, non cessano di esercitare il proprio influsso. Il libro, quindi, «è una “memoria di memorie” che riconosce l’articolazione dell’identità di Romero in quanto processo in fieri. Partecipando a questa memoria collettiva, esso vuole porre la seguente domanda: “Chi è stato Oscar Arnulfo Romero, e perché è importante oggi?”» (p. 14).

La tesi di fondo è che la sua storia rappresenti un tornante significativo per il pensiero cristiano, e abbia contribuito nel far evolvere la comprensione di concetti come quello di conversione, discepolato, martirio. La ricerca si dipana lungo cinque capitoli, che abbracciano l’arco temporale che va dall’inizio della formazione presbiterale di Romero alla morte, cercando di documentarne l’eredità teologica attraverso la vita, gli scritti e la predicazione. Il primo capitolo, Romero nel contesto. Una maturità teologica, si apre delineando brevemente il suo percorso verso il sacerdozio, a partire dal suo ingresso nel seminario minore a tredici anni, nel 1930. Verrà ordinato nel 1942, a Roma, dove aveva conseguito la licenza in teologia, e subito richiamato nel proprio paese. La sua formazione teologica avviene quindi in Europa, e ha alcune caratteristiche tipiche della teologia preconciliare, di impronta neoscolastica e profondamente tradizionale. Nel contesto sudamericano, questi tratti assumevano però una connotazione specifica, informando «una visione tragica e fatalistica del mondo come caduto e pericoloso, qualcosa da superare sperando nel contempo di essere ricompensati nell’aldilà» (p. 45); una simile impostazione costituiva uno strumento agevolmente utilizzabile, in ambiente ecclesiale e civile, a difesa dello status quo. Su queste coordinate si sviluppa il ministero di Romero, dal tratto neoscolastico e spiritualista; egli entrerà spesso in tensione, negli anni vissuti come ausiliare a San Salvador e poi vescovo a Santiago de Maria, con il clero progressista, pur manifestando sempre una profonda compassione per la difficile situazione dei poveri del suo paese.

La svolta, analizzata nel secondo capitolo, Romero e la conversione. Occhi nuovi e una casa nuova, avviene quando egli è vescovo titolare di San Salvador da appena diciotto giorni. Il 12 marzo 1977 viene assassinato un suo grande amico, il sacerdote gesuita Rutilio Grande. L’omicidio, a cui ne seguiranno molti altri – durante l’episcopato a San Salvador, pur così breve (muore il 24 marzo 1980), Romero celebrerà i funerali di sei dei suoi preti – rappresenta un momento di shock e di ripensamento della propria vita, della propria fede, del proprio ministero, fattore generativo di quella che viene appunto definita la sua ‘conversione’. Nel terzo capitolo viene delineato il carattere di tale conversione, avvicinando La fede e la politica di Romero. Fare un’opzione preferenziale per i poveri. Durante i tre anni da arcivescovo, Romero sarà sempre alle prese con le implicazioni politiche della fede, ossia con il modo in cui un cristiano dovrebbe rispondere alle sfide della storia. La sua scelta sarà espressa in forma definitiva a Lovanio, cinquanta giorni prima della morte quando, nel ricevere il dottorato honoris causa, pronuncerà il proprio discorso su La dimensione politica della fede e l’opzione preferenziale per i poveri. A tale opzione era rimasto sempre fedele, divenendo un paladino dei poveri e dei diritti umani, scelta alla radice del suo assassinio.

Gli ultimi due capitoli propongono una lettura più direttamente teologica dell’intera vicenda. Nel quarto, Romero e il martirio. Testimone della solidarietà, viene approfondito il significato del martirio e il motivo per il quale la morte di Romero è stata riconosciuta come sua espressione. Nel quinto capitolo, Oscar Romero, la teologia della liberazione e un santo rivoluzionario, vengono affrontate le questioni intorno all’appartenenza o meno dell’arcivescovo alle posizioni teologiche nate in Sudamerica intorno alle conferenze di Puebla e Medellín, ai noti sospetti che hanno suscitato e a come questi abbiano influito sul processo di canonizzazione: «Negli ultimi tre decenni si è molto discusso sulla sua eredità. Chiunque abbia dimestichezza con la santità si rende conto che la canonizzazione ufficiale non mette fine a queste discussioni. Al contrario, la santità è una forma esemplare delle dinamiche della memoria – dà inizio a un processo continuo di discussione sul significato del santo e sul modo in cui ciò riflette l’autoidentità della chiesa più ampia in momenti specifici» (p. 21).

Il lavoro, di agile e stimolante lettura, aiuta a tratteggiare un ritratto vivido di san Oscar Arnulfo Romero, contestualizza la sua figura e mantiene desta la memoria intorno alle vicende e alle sofferenze dei poveri in questa periferia del mondo, geografica ma non ancora temporale (basti pensare ad accadimenti molto recenti, in Cile, in Nigeria, in Siria o a Hong Kong), mostrando anche il modo peculiare in cui i santi danno a questa storia voce e vita – spesso fisicamente, diventando “martiri della giustizia e della solidarietà”. Viene inoltre offerta al lettore la possibilità di assumere almeno in parte la prospettiva di papa Francesco, il quale afferma che «la realtà si capisce meglio dalle periferie» (Francesco a Prima Porta, 27 maggio 2013).

La bibliografia, essenziale, indica i testi principali sul tema in lingua inglese e spagnola (poche le traduzioni in italiano), tra cui vanno sottolineate la raccolta delle omelie, delle lettere pastorali e delle dichiarazioni ufficiali, e i diari.


A. Steccanella, in Studia Patavina 2/2020, 361-363

La «comunità della memoria»: una nozione elaborata da Héctor Lindo-Fuentes e dai suoi collaboratori per indicare quel continuo, costante negoziato che sottende ogni memoria storica; coloro che appartengono a tale comunità devono continuamente negoziare il «significato» di una memoria in modi articolati. Ciò è tanto più vero quando si tratta di approfondire una materia incandescente come il «caso Romero», l’arcivescovo cattolico di San Salvador assassinato, per il suo impegno pastorale volto verso una maggiore giustizia sociale, il 24 marzo del 1980 dagli squadroni della morte mentre celebrava messa. L’a., teologo statunitense, evidenzia l’eredità teologica «rivoluzionaria» di un cristiano salito agli onori degli altari.
D. Segna, in Il Regno Attualità 2/2019, 32

Un resoconto straordinario che delinea una memoria viva della testimonianza resa da mons. Romero. Nello spiriro del Concilio Vaticano II mons. Romero ha evidenziato una spiritualità incarnata nel mondo, ha immaginato una chiesa al servizio del mondo, capace di portare al mondo la buona notizia del Vangelo. Ha provato ad operare affinché il mondo diventasse somigliante al regno di Dio predicato da Gesù. La fede oggi è sforzo per la pace e per la giustizia. Dalla sua memoria e dalla sua testimonianza scaturiscono effetti sulla coscienza e sull'azione del popolo, sulla memoria e sulla visione culturale della nazione di El Salvador.


In Consacrazione e Servizio 6/2018, 88

Ho appena terminato di leggere, con interesse ed emozione, un nuovo libro dedicato alla grande figura di Óscar Arnulfo Romero, il vescovo martire di El Salvador, assassinato in odium fidei il 24 marzo 1980, che sarà santificato domenica prossima 14 ottobre da papa Francesco. Il libro, dal titolo Óscar Romero – L’eredità teologica di un santo rivoluzionario (Queriniana 2018), ha come autore un giovane teologo statunitense, nato da genitori portoricani, Michael Edward Lee, docente di cristologia e spiritualità alla Fordham Universitydi New York, padre di due figli e marito di una donna di origini italiane.

Intento della pubblicazione: delineare la visione teologica di Romero attraverso l’analisi della sua vita, dei suoi scritti e delle sue omelie. «Non è possibile capire Óscar Romero senza capire la sua teologia» (p. 273). L’eredità che il nuovo santo lascia alla Chiesa intera, infatti, «ha un contenuto profondamente teologico che non può essere ignorato» (p. 20). «Romero è una risorsa importante per il pensiero e per l’azione cristiana nel mondo di oggi» (p. 274).

Michael Edward Lee, dopo aver svolto per oltre quindici anni ricerche in El Salvador, illustra l’eredità teologica di san Romero delle Americhe sviluppando in particolare tre temi: la conversione, il discepolato e il martirio. Non per una mera finalità accademica, ma essenzialmente in funzione della risposta da dare ad alcune stringenti domande. Perché Óscar Arnulfo Romero, «modello della fede-che-fa-giustizia» (p. 12), è importante oggi? Come, in pieno clima di globalizzazione, i cristiani possono pensare e vivere in modo diverso (p. 24) sull’esempio del cristiano, presbitero e vescovo Óscar Romero? In che modo la scelta preferenziale per i poveri, che è all’origine del suo martirio (p. 302), può essere di stimolo per i cristiani del XXI secolo, per incarnare e testimoniare l’Evangelo di Gesù di Nazareth nella vita di ogni giorno, così da contribuire a produrre storia di salvezza e di liberazione per tutti, umanizzando la società e cristianizzando la Chiesa?

«Nella teologia di Romero, la proclamazione del regno di Dio, la chiamata alla conversione e la denuncia del peccato sono le componenti chiave del ministero di Gesù che tutti i credenti devono imitare; sono i criteri su cui si misura il discepolato cristiano autentico» (p. 170). Questi tre elementi, caratteristici della persona di Gesù, come hanno plasmato l’approccio pastorale di Romero al ruolo della Chiesa nel mondo, così dovrebbero caratterizzare l’impegno – anche a livello politico – nella società di ogni persona battezzata (p. 299). L’impegno a trasformare e ad umanizzare il mondo, a lottare contro il peccato non solo personale ma anche sociale e strutturale, a tutelare la dignità conferita da Dio e insita in ogni essere umano, a guardare la realtà delle cose dall’ottica dei poveri non è frutto di una personale sensibilità sociale ovvero un’aggiunta o un effetto collaterale della fede, ma piuttosto la dimensione necessaria di una fede viva e autentica (p. 148).

«Anche se il Credo di Calcedonia del V secolo afferma che Gesù è pienamente divino e pienamente umano, molta spiritualità cattolica della fine del XIX secolo e dell’inizio del XX ha finito col focalizzare l’incarnazione in termini di affermazione della divinità di Gesù. L’incarnazione, intesa in modo particolare come uno dei misteri cristologici insieme alla crocifissione e alla risurrezione, diceva molto sul Dio che è divenuto umano in Gesù, ma non si è soffermata realmente su che tipo di essere umano Dio sia divenuto» (p. 208). E ancora. «Una fede che cerca la trascendenza di Dio non guarda lontano dal mondo e dai suoi problemi. Fa l’opposto. Esamina a fondo il cuore del mondo e vi vede la presenza di Dio. Questa presenza radicalmente misteriosa di Dio si rivela più chiaramente nel mondo dei poveri, con coloro che sono marginalizzati» (p. 210).

Nel delineare l’evoluzione del pensiero teologico del nuovo santo, Michael Edward Lee sembra condividere (p. 34) sostanzialmente quanto ama affermare il vescovo Vincenzo Paglia, postulatore della causa di beatificazione: «Óscar Romero è il primo martire del concilio Vaticano II, nel senso che è morto per aver reso concreta con la sua vita, nella sua carne, l’opzione preferenziale per i poveri». A questo proposito è interessante rilevare come sia dello stesso parere Bartolomeo Sorge, già direttore de La Civiltà Cattolica, che aveva avuto l’occasione di conoscere personalmente Romero a Puebla nel gennaio 1979, in occasione della 3ª Conferenza generale dell’episcopato latino-americano. Su Aggiornamenti Sociali (ottobre 2018), padre Sorge riporta quanto esplicitamente scritto il 31 gennaio 1980 da Romero nel suo diario: «Chi segue questa linea progressista di una Chiesa autenticamente fedele ai postulati del Vaticano II, deve soffrire molto e persino essere considerato con sospetto, ma la coscienza e la soddisfazione di servire Dio e la Chiesa valgono molto più di qualsiasi persecuzione».

L’evoluzione del pensiero teologico di Romero potrebbe essere sinteticamente espressa così: dalla teologia neoscolastica che dominò il cattolicesimo latinoamericano dall’inizio alla metà del XX secolo caratterizzata dal dualismo fra l’ordine umano e l’ordine divino, fra naturale e soprannaturale, fra corpo e anima, natura e grazia, materiale e spirituale, mondo e Chiesa, alla svolta antropologica caratterizzante la teologia del concilio Vaticano II riletta dalla Chiesa latinoamericana a Medellin (1968) e a Puebla (1979) che, da un lato, insegna con coraggio che la speranza escatologica offre nuovi motivi a sostegno dell’attuazione degli impegni terreni, dall’altro, crede fermamente che il riconoscimento del Dio rivelatosi in Gesù di Nazareth implica la tutela della dignità di ogni essere umano, in particolare dei poveri.

Il regno di Dio, annunciato da Gesù, «non è semplicemente il paradiso dell’aldilà, ma un modo riconfigurato di vedere l’esistenza umana sulla terra, in cui gli esseri umani prosperano in comunione gli uni con gli altri e con Dio» e «coloro che sono emarginati rappresentano più chiaramente il punto in cui tale comunione è spezzata, e in tal modo forniscono una missione alla Chiesa e a tutti i credenti su quella che dovrebbe essere la loro via di azione» (p. 300). Nove mesi dopo la nomina ad arcivescovo di El Salvador, nell’omelia del 4 dicembre 1977 Romero affermò: «Una religione di messe domenicali, ma di settimane ingiuste, non piace al Signore. Una religione piena di preghiere, ma con ipocrisia nel cuore, non è cristiana. Una Chiesa che si insediasse solo per trovarsi a suo agio, per possedere denaro, agio e comodità, ma che dimentichi di denunciare le ingiustizie, non sarebbe la vera Chiesa del nostro Divino Redentore». Nel febbraio 1980, un mese e mezzo prima di essere assassinato, dichiarò nel corso di una conferenza tenuta a Lovanio sul tema «Fede e politica»: «C’è una spiritualità pericolosa nel nostro tempo che dice alla Chiesa: tu devi predicare solo un mondo spirituale, devi parlare solo di Dio, del regno dei cieli e non ti devi preoccupare della terra. Così stiamo dividendo il Vangelo. Cristo è venuto a salvare gli uomini facendo attenzione anche ai loro corpi. Perciò non ci può essere una dicotomia fra i diritti di Dio e i diritti dell’uomo… Peccato è ciò che ha dato la morte al Figlio di Dio e peccato continua a essere ciò che dà la morte ai figli di Dio».

Romero santo è un dono straordinario non solo per la Chiesa cattolica, che, dal 1993, celebra il 24 marzo, data dell’assassinio di Óscar Romero, la Giornata mondiale di preghiera e digiuno per i missionari martiri. Lo è anche per ogni confessione cristiana e per gli uomini e le donne che operano a favore della tutela dei diritti umani e della dignità di chi è vittima della loro violazione. Basti pensare alla scelta della Chiesa anglicana di porre la statua del martire Romero sopra l’ingresso ovest – dedicato ai martiri del XX secolo – dell’abbazia di Westminster, accanto a quella di Martin Luther King, di Dietrich Bonhoeffer e di Massimilano M. Kolbe (e altri), o alla risoluzione A/RES/65/196 del 21 dicembre 2010 delle Nazioni Unite di celebrare, a partire dal 2011, il 24 marzo la Giornata internazionale per il diritto alla verità sulle gravi violazioni dei diritti umani e per la dignità delle vittime. È significativo che, nella risoluzione delle Nazioni Unite, si faccia riferimento in particolare al «lavoro importante ed estremamente utile di mons. Óscar Arnulfo Romero, di El Salvador, che si è attivamente impegnato in favore della promozione e della protezione dei diritti umani nel suo paese, e la cui attività è stata riconosciuta a livello internazionale grazie ai suoi appelli nei quali denunciava la violazione dei diritti umani delle persone più vulnerabili». Così come è emblematico che vengano richiamati i «valori difesi da mons. Romero»: la «dedizione al servizio dell’umanità, nel contesto di conflitti armati»; la sensibilità umana a «difesa dei diritti umani, alla protezione della vita e alla promozione della dignità umana»; gli «appelli costanti al dialogo e la sua opposizione a tutte le forme di violenza al fine di evitare scontri armati». Valori che hanno «portato di conseguenza alla sua morte il 24 marzo 1980». «In tutto il mondo, coloro che lottano per la giustizia, che cercano di difendere i diritti umani e cercano soluzioni pacifiche ai conflitti violenti, possono guardare a Óscar Romero per esserne ispirati» (pp. 24-25).

Nell’esortazione apostolica Gaudete et exsultate, papa Francesco ricorda che una delle caratteristiche della santità nel mondo attuale è la parresia, cioè l’audacia, l’entusiasmo e il fervore apostolico che sollecita a mai fermarsi su «comode rive» e a vincere la tentazione di fuggire in luoghi sicuri che possono avere molti nomi: «individualismo, spiritualismo, chiusura in piccoli mondi, dipendenza, sistemazione, ripetizione di schemi prefissati, dogmatismo, nostalgia, pessimismo, rifugio nelle norme». Il santo sorprende e spiazza, perché la sua vita ci chiama ad uscire dalla mediocrità tranquilla e anestetizzante. Il santo ci ricorda che «Dio è sempre novità, che ci spinge continuamente a ripartire e a cambiare posto per andare oltre il conosciuto, verso le periferie e le frontiere. Ci conduce là dove si trova l’umanità più ferita e dove gli esseri umani, al di sotto dell’apparenza, della superficialità e del conformismo, continuano a cercare la risposta alla domanda sul senso della vita… Per questo, se oseremo andare nelle periferie, là lo troveremo: Lui sarà già lì. Gesù ci precede nel cuore di quel fratello, nella sua carne ferita, nella sua vita oppressa, nella sua anima ottenebrata. Lui è già lì».

Presentandoci in modo davvero magistrale l’eredità teologica di san Romero delle Americhe, il libro di Michael Edward Lee offre stimoli preziosi per «far risuonare ancora una volta la chiamata alla santità, cercando di incarnarla nel contesto attuale, con i suoi rischi, le sue sfide e le sue opportunità».

Dunque, l’auspicio formulato da papa Francesco il 23 maggio 2015 in occasione della beatificazione di Óscar Arnulfo Romero Galdamez, non può non che essere, alla vigilia della sua santificazione, anche il nostro: «Quanti hanno mons. Romero come amico nella fede, quanti lo invocano come protettore e intercessore, quanti ammirano la sua figura, trovino in lui la forza e il coraggio per costruire il regno di Dio e impegnarsi per un ordine sociale più equo e degno».


A. Lebra, in SettimanaNews.it 13 ottobre 2018

Alla vigilia della canonizzazione di Óscar Romero un nuovo volume fa memoria in modo originale dell’arcivescovo martire di San Salvador. Con pagine che vogliono ricordarlo specialmente ricorrendo a chiavi e categorie teologiche. Michael E. Lee, infatti, nel suo Óscar Romero. L’eredità teologica di un santo rivoluzionario, si prefigge di comprendere il contesto e la via seguiti dalla sua fede, anche per permettere a questa storia straordinaria di rendere ragione della sua attrattiva universale. L’autore è convinto che il vero impatto di Romero si misuri nel modo in cui i cristiani accettino la sfida di reimmaginare una spiritualità che, nella vita, nelle lettere pastorali, nei diari, nella predicazione del vescovo salvadoregno, fu al contempo incontro con Dio e impegno per la giustizia sociale. Lee tiene presente sullo sfondo la disgregazione di quella teologia neoscolastica e di quella spiritualità dominanti il cattolicesimo romano a inizio XX secolo, con i dualismi fra l’ordine umano e l’ordine divino, sulle quali lo stesso Romero – seminarista a Roma – si era formato restandone segnato forse in modo indelebile. Ecco perché l’autore inizia da qui il suo lavoro per poi fermarsi sulla teologia della liberazione alle prese con le affermazioni della fede in contesti di povertà: teologia che, dopo il Vaticano II e la seconda assemblea della Celam, indicò nuovi modi di pensare e di agire abbracciati da Romero nel decennio ’70, con il raggiungimento di una sua personale maturità teologica.

Non poche le domande alle quali Lee cerca di dare risposte. Fu davvero, quella del primate della Chiesa salvadoregna, vera conversione? E in che modo l’opzione preferenziale per i poveri ne costituì una dimensione? Lungo i binari di fede e politica, insomma, come connotare i gesti di Romero riferiti a situazioni di conflittualità? E ancora, analizzando il martirio del presule come interpretare quel criterio di morte in odium fidei? Quesiti che Lee affronta alla luce soprattutto del corpus omiletico del vescovo «santo rivoluzionario, in tempi rivoluzionari», interprete di quella rivoluzione descritta da Luca, in cui «i potenti sono rovesciati dai troni e gli umili sono innalzati». Sino a cogliere così il filo di Arianna di un’evoluzione graduale: «un’evoluzione del desiderio che ho sempre avuto di essere fedele a ciò che Dio mi chiedeva», per usare le parole ribadite con veemenza da Romero a chi lo accusava di considerarsi un profeta. Insomma, scrive Lee, Romero non si trovò dall’oggi al domani a sperimentare una fede nuova, ma la sua fede «assunse dimensioni che non aveva in precedenza». Detto meglio: «Il suo frame teologico si evolvette da un frame dualistico (che separa il coinvolgimento nel mondo dall’essenza del discepolato cristiano) in una teologia incarnazionale in cui l’azione nel mondo è centrale per la fede». Così spiega Lee, pur indicando una tappa cruciale di questo percorso nell’omicidio dell’amico gesuita Rutilio Grande perché serviva i poveri. Da qui la progressiva assunzione di responsabilità di un pastore che davanti alla stragrande maggioranza del suo gregge tenuto in schiavitù da un’oligarchia violenta, non poteva che fare suo l’atteggiamento di Gesù.

Un approccio, quello di Lee, che oltre i ritratti agiografici o distorti, restituisce i tratti di un testimone della misericordia di Dio stretto in un reticolo di strutture di peccato. Un uomo – ha scritto Daniel G. Groody – «che ha incontrato il Dio della vita nei cuori di coloro che sono crocifissi oggi».


M. Roncalli, in Avvenire 11 ottobre 2018