All’interno delle tematiche che in tempi recenti hanno interessato il panorama teologico, quella del pluralismo religioso ha esercitato un’attrattiva che difficilmente potrebbe essere sopravvalutata. Tra i protagonisti di un simile dibattito un posto di primo piano spetta al teologo gesuita Jacques Dupuis (1923-2004): missionario in India e quindi docente presso l’Università Gregoriana, egli ha dedicato le sue energie a ripensare il ruolo della mediazione di Cristo in ordine alla rivelazione e alla salvezza difendendo contemporaneamente un pluralismo religioso non solo de facto ma anzi de iure.
Alla sua riflessione, snodo obbligato per chi voglia cimentarsi con simili problematiche, è dedicata l’eccellente monografia di Alberto Caccaro, pubblicata dall’editrice Queriniana al n. 464 del Giornale di teologia (editoriale di A. Cozzi). Teologo e missionario del PIME in Cambogia, l’autore è in grado di rendere efficacemente la complessità e le tensioni che attraversano il pensiero di Dupuis, offrendo un lavoro sistematico e globale che organizza senza semplificare né immobilizzare il vivo movimento della meditazione del pensatore gesuita.
La prima parte (Dupuis attraverso Dupuis) accompagna il lettore lungo l’itinerario teologico di Dupuis, scandito in tre tappe rappresentate dai suoi lavori maggiori, vale a dire Gesù Cristo incontro alle religioni del 1989, Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso del 1997, e infine Il cristianesimo e le religioni. Dallo scontro all’incontro del 2001. Se tale cammino è dominato dalla questione cristologica nel suo rapporto con la molteplicità delle tradizioni religiose (che si può ulteriormente approfondire con l’appendice documentale relativa alla ricezione critica del pensiero cristologico dell’A. scaricabile gratuitamente tramite il QR Code di p. 107), la seconda parte del volume (Dupuis attraverso lo sguardo della ricerca accademica) dà spazio alle tensioni irrisolvibili tra le quali Dupuis ha saputo soggiornare senza cedere a facili semplificazioni, oltre che alla problematicità degli esiti cui lo stesso è giunto. Così, se Dio Padre si è rivelato e ha operato sempre con le sue «due mani», come è possibile salvaguardare allo stesso tempo la mediazione unica e insuperabile del Figlio e l’azione universale dello Spirito nell’ambito di un’unica economia di salvezza universale? Come mantenere la tensione tra Verbo eterno e Verbo incarnato senza compromettere la singolarità di Gesù il Cristo, e come distinguere l’opera dello Spirito di Dio dall’effusione dello Spirito di Cristo attraverso la sua umanità glorificata senza introdurre un’economia distinta da quella del Verbo?
Se in Dupuis simile complessità ha spesso preso la forma del riconoscimento del carattere costitutivo e relazionale della mediazione di Cristo, a questa è tuttavia negato l’attributo dell’assolutezza, spettante solo a un Dio Padre che, in talune circostanze, rischierebbe di assumere l’aspetto della realtà ultima cara al teocentrismo di Hick; possiamo concordare sul fatto che il teologo gesuita abbia inteso mantenersi fedele a un approccio cristocentrico, ma Caccaro nota puntualmente come a ciò si sia sovente accompagnata una certa svalutazione dell’umanità e della storicità di Gesù, le quali, probabilmente in omaggio al pensiero indiano, comporterebbero inevitabilmente una limitazione della rivelazione divina. Sia chiaro: tali tensioni e ambiguità non compromettono affatto quello che rimane un grandioso tentativo teologico, ma permettono al lettore di immergersi in un campo di ricerca quanto mai aperto e vivo.
L’apporto più originale dello studio di Caccaro è contenuto nella terza parte dell’opera (Dupuis «verso una teologia cristiana degli impossibilia Dei») e nella conclusione; qui infatti le questioni cristologiche affrontate da Dupuis, alla luce del Documento sulla fratellanza umana di Abu Dhabi, trapassano in una riflessione su un’autentica teologia della rivelazione in prospettiva trinitaria, capace di presentare Gesù il Cristo come quella «“storicità singolare o assoluta” nella quale accade la vicenda di colui che è il Figlio e che rivela – e in questo “fa una differenza in Dio” – ciò che infine Dio è da sempre» (p. 210). L’offerta di Dio che si fa evento in Gesù richiama il singolo uomo a condividere la vita divina, uomo la cui unicità è del pari mantenuta e salvaguardata, tanto che non solo Cristo ma l’uomo stesso «fa una differenza in Dio».
M. Bergamaschi, in Archivio teologico torinese 1/2025 pp. 220-222