Parlare delle virtù oggi sembra anacronistico. «Devono essere stimolanti, insegnabili, trasmissibili: in altre parole, esemplari. Per questo motivo hanno bisogno sia di parole che di immagini; di maestri, di eroi e di santi. Focalizzano l’attenzione, uniscono una comunità, raccolgono il consenso delle coscienze, stimolano le energie», scrive la 64enne filosofa e giornalista francese Françoise Le Corre nel volume L’umiltà, un dono nascosto, pubblicato da Queriniana. E argomenta: «In un certo senso, l’umiltà è introvabile. Troppo rumore la spaventa. Ha bisogno di silenzio, di calma e di apparente indifferenza. Non si può veramente volerla per se stessi, e neanche aspettarsela da questo o quello. Essa non si nota, si prende solo al volo, come una possibilità, un’occasione, un dono, una grazia. Avanza protetta solo da un velo di ignoranza. Contrariamente alle virtù abituali, la pubblicità non le si addice».
Quindi in un tempo sovraesposto come il nostro, in cui sembra contare soltanto apparire, essere guardati e riconosciuti, questa attitudine dell’anima con «quella leggera e trasparente innocenza a cui appartiene» si ritrova forse davanti al Presepe e riascoltando quel versetto evangelico in cui Gesù invita a imparare da lui, «mite e umile di cuore», per trovare l’autentico riposo, la pace interiore. Perché la vera umiltà trova qui la vera sorgente: se esibita, invece, è negata e falsa.
Al netto delle immagini e delle parole, dunque, implica un viaggio introspettivo di ascolto attento: «Al di sotto dei rumori della propria vita, forse piena, spesso troppo piena, cerchino di ritrovare il mormorio della memoria. E all’origine della propria esperienza personale, si ascolti ancora... Forse (senza dubbio!) nel fruscio dei ricordi, nella durezza del presente, se ne sentirà qualche eco». Ma bisogna vigilare per non confondere banalmente umiltà con umiliazione «che, in un primo tempo, rinchiude, avvilisce e impedisce».
Già caporedattrice di “Études”, la nota rivista dei gesuiti francesi, l’autrice suggerisce un percorso umano e spirituale, innervato da tratti meditativi e talora mistici, per chiarire che l’umiltà conduce fuori da sé stessi, «placa la tensione di voler essere compresi e riconosciuti. Scioglie i nodi. È nemica di tutti i bozzoli, di tutte le protezioni, ride dei bastioni e i bastioni si incrinano. Essa è ciò che apre: occhi, orecchie, intelligenza, cuore. Si pone risolutamente davanti a ciò che esiste; offerto, anche se opaco».
D’altronde la parola stessa, che deriva da humus/terra, spinge a un bagno di realismo. Imparando a vedere, «inesauribile scoperta, piena di speranza e di infinite prospettive». Perché, argomenta l’autrice alla luce di diverse esperienze personali, «i più grandi progressi si fanno nella fiducia, senza che ce se ne accorga, sotto la guida dell’umiltà che a volte si sposa così bene con l’umorismo! È la possibilità di andare l’uno incontro all’altro». Disarmata e disarmante, «la grazia dell’umiltà che contempliamo in certi sguardi ci porta a questo abbandono fiducioso, con dolcezza, con amicizia. La loro contagiosa semplicità ha del miracolo».
L. Badaracchi, in
Avvenire 12 gennaio 2024