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L’in-quieta malinconia
Joke J. Hermsen

L’in-quieta malinconia

Prezzo di copertina: Euro 23,00 Prezzo scontato: Euro 21,85
Collana: Books
ISBN: 978-88-399-3234-1
Formato: 13,5 x 21 cm
Pagine: 192
Titolo originale: Melancholie van de onrust
© 2022

In breve

La malinconia rivalutata come stato d’animo positivo, andando oltre una sua medicalizzazione che la intende come “depressione” da curare.

«Rallentare il tempo è un buon proposito, ma come farlo in tempi di in-quietudine?» (Joke J. Hermsen).

Il libro è stato premiato come saggio per il 2017 dalla Fondazione Maand van de Filosofie di Woerden (Utrecht). È tra i primi 10 libri della Dutch Foundation for Literature di Amsterdam.

Descrizione

L’essere umano è homo melancholicus: consapevole delle perdite e della transitorietà di tutto, cerca di trasformare questa coscienza in speranza e creatività. In tempi tristi come i nostri, tuttavia, la malinconia è spinta sempre più in un angolo oscuro dall’in-quietudine e dalla paura, e così rischia di trasformarsi in depressione.
Accanto alla pace, all’amore e alla cura reciproca abbiamo bisogno di legami sociali qualificati e di un mondo politico-culturale esuberante per alleviare le nostre paure e mantenere “sano” quel sentimento complesso e ambivalente che è la malinconia e che è stato giudicato in modi estremamente diversi nel corso della storia occidentale.
In questo saggio lucido e necessario Hermsen interroga l’essere umano – prendendo spunto da pensatori come Hannah Arendt, Ernst Bloch e Lou Andreas-Salomé – per capire se ha sufficienti coraggio e forza per superare il senso della caducità e stabilire nuove relazioni con il mondo e sé stesso, trasformando in tal modo paura e depressione in creatività e speranza.

Recensioni

La malinconia dell’essere umano, consapevole della transitorietà di ogni cosa, è in realtà un sentimento positivo, che può far nascere creatività e speranza. Uno stato d’animo che va rivalutato e non confuso con la depressione: è questa attitudine che fa rinsaldare i legami, mentre la cura reciproca tiene a bada le paure.
L’autrice, ispirandosi a pensatori come Hannah Arendt, Ernst Bloch e Lou Andreas-Salomé, invita l’uomo a trovare il coraggio necessario per divenire motore di cambiamento, per se stesso e per gli altri.
In Jesus 3/2023, 92

Quando nel 1996-97, dopo un restauro pluriennale, si stava per allestire la nuova Pinacoteca aggregata dal cardinale Federico Borromeo alla Biblioteca Ambrosiana, come prefetto di quell'istituzione, coi miei collaboratori storici dell'arte avevo convenuto di inserire - accanto ai grandi capolavori di Leonardo, Botticelli, Raffaello, Tiziano e così via - un dipinto indecifrabile ma suggestivo. I critici non s'erano mai accordati sul titolo da assegnargli: una donna a busto nudo con la mano premuta su un seno e con un volto tenero eppurcupo stava china su un tavolo ove erano deposti un antico strumento musicale a corda e un astrolabio. L'autore era un pittore svizzero, Giovanni Serodine, nato ad Ascona nel 1600 e morto a Roma nel 1631, dove aveva appreso la lezione caravaggesca: infatti, nel quadro intensi squarci di luce si stemperavano in lievi chiaroscuri. Quella donna era forse l'emblema della Scienza o dell'Arte, dati gli oggetti che le stavano innanzi? A prevalere tra gli studiosi fu, invece, un altro soggetto: quella figura femminile sarebbe invece l'iconografia della Malinconia, un sentimento che l'etimo greco innesta nella corporeità - mélas chole, «bile nera» - ma che in realtà si ramifica nella psiche e nella mente, creando una sensazione dolce e amara al tempo stesso, qualcosa di simile all'intraducibile saudade brasiliana.

Attorno ad essa è fiorito un arcobaleno letterario, filosofico e psicologico coi più diversi colori che sfumano dal violetto della depressione al rosso della genialità e intensità sentimentale. Un'esperienza che già si intuiva in filigrana nella delusione di Gilgamesh, l'eroe dell'omonima epopea sumerica, spogliato da quell'immortalità a cui si era aggrappato, ma che si ritrova persino nelle pagine di un romanzo recente, la Fisica della malinconia di Georgi Gospodinov (Voland 2013). A guidarci tra le penombre di questo status interiore è ora un saggio affascinante (se l'aggettivo può connettersi con quella sensazione), intitolato con un aggettivo ossimorico In-quieta malinconia, ove appunto s'intrecciano tra loro in contrappunto due sensazioni, una serena e sospesa tranquillità e una tesa e sotterranea inquietudine.

L'autrice è una studiosa olandese che vive tra Amsterdam e Parigi, Joke J. Hermsen, e il suo scritto ha registrato un successo inatteso, anche perché apre orizzonti spirituali sorprendenti, coniugando la malinconia con l'arte, con l'infanzia e la stessa nascita che è già in dialettica con la morte, ma anche convocando l'ansia, la catarsi e la speranza, la nostalgia del passato e l'amarezza del presente. Nelle sue pagine Hermsen fa brillare una sorta di stella polare, la citatissima Hannah Arendt coi suoi molteplici testi, in particolare la nota Vita activa (Bompiani 2017). A lei, però, è accostata una costellazione di altri autori fondamentali, a partire dall'antica (1621) Anatomy of Melancholy di Robert Burton (Malinconia d'amore, Rizzoli 1981), scendendo fino a Kierkegaarde al suo Concetto d'angoscia {Bompiani-RCS 2013) e a Freud con Lutto e malinconia (Boringhieri 1976), e aggiungendo il corollario di varie pagine di Lou von Salomé.

Ovviamente la nostra attenzione punta alla dimensione religiosa che in questo saggio è solo accennata o tenuta in sottofondo. Viene, ad esempio, ignorato il Ritratto della malinconia {Morcelliana 1990) dell'importante teologo e filosofo tedesco Romano Guardini, nato però a Verona nel 1885 e morto a Monaco di Baviera nel 1968. In quel libro egli confessava: «Mi sento sprofondare nel tormento della malinconia più cupa; i pensieri si aggrovigliano talmente che non so più districarmene... Fin che la sofferenza dura, è un tormento immane. Ma poi il bubbone scoppia e vi si scopre al di sotto la più ricca e attraente fecondità... A mano a mano con l'aiuto di Dio si impara a restare fiduciosi, attaccati a Dio, anche nell'istante della sofferenza; si impara a ritornare a Dio in modo veloce».

Agli occhi di quel teologo la malinconia è, certo, una voragine in cui si scivola sprofondando sotto il cielo tenebroso dell'esistenza ferita. Ci si sente come prigionieri di un groviglio inestricabile. Eppure questo luogo oscuro dell'anima non è solo negativo, può divenire un grembo fertile che genera luce, a patto che non ci si rinchiuda in sé stessi ma ci si aggrappi a una mano trascendente. È interessante notare che lo scrittore ebreo Elle Wiesel, Nobel della pace nel 1986, in un suo testo sulla mistica del giudaismo dei Chassidim mitteleuropei intitolato Contro la malinconia, ricordava che per quel movimento spirituale essa aveva una dimensione religiosa perché era alimentata dall'anelito alla venuta del Messia che ancora non si profilava all'orizzonte.

Nella Bibbia non esiste un vocabolo specifico per designarla, ma si usa ka'as che indica pena, tensione, afflizione, in greco lype, come, ad esempio, Qohelet suggerisce al giovane: «Caccia la malinconia dal tuo cuore» (11,10). E riconosce che la malinconia-sofferenza è uno stato proprio delle persone profonde e sagge: «Molta sapienza, molto ka'as. Chi più sa, più soffre» (1,18). Tuttavia esiste anche - come insegnavano gli antichi maestri spirituali - l'akedia o acedia, che non è la nostra accidia oziosa; ne può essere però una ramificazione, ed è la spossatezza malinconica inerte che si avviluppa attorno all'anima, come il calore snervante del pomeriggio estivo si avvinghia al corpo.


G. Ravasi, in Il Sole 24 Ore 19 febbraio 2023