Uno dei temi che Leone XIV ha posto al centro della sua agenda pastorale è il confronto con le sfide che lo sviluppo dell’intelligenza artificiale e dei new media stanno ponendo all’umanità e alla comunità ecclesiale. Tutte le innovazioni profonde come questa inquietano e spaventano e inducono non pochi ad assumere l’atteggiamento denunciato in quel famoso proverbio che invita a sedersi sul greto del fiume tanto prima o poi passerà il cadavere, nel nostro caso culturale, del proprio nemico. È così per le innovazioni che stiamo vivendo, il cambio di epoca, la postmodernità ecc. Le innovazioni non sono un ostacolo, ma uno stimolo potente per comprendere più a fondo il grande tesoro contenuto nella Rivelazione.
Si muove in questa linea il documentato testo del sacerdote padovano Lorenzo Voltolin, docente presso la Facoltà teologica del Triveneto: L’algoritmo dell’anima. Corpo, coscienza e trascendenza nella rivoluzione digitale (Queriniana 2025, Prefazione di Federico Faggin).
Una delle principali conseguenze della rivoluzione digitale che stiamo vivendo, che ha come suo terreno di espansione la pervasività dei nuovi media e come punta emergente tutti i temi che ruotano attorno all’intelligenza artificiale, è – a giudizio di Voltolin – il cambio di paradigma antropologico che essa implica. In relazione soprattutto alla trasmissione e comprensione dei temi legati alla fede, i nuovi media hanno imposto un modello comunicativo non più «monomediale», per cui «la tradizione teologica occidentale, soprattutto a partire dall’epoca scolastica, ha privilegiato un approccio che tende a concettualizzare la rivelazione come trasmissione di contenuti proposizionali e la fede come assenso intellettuale a tali contenuti. Questo modello, pur avendo il merito di garantire una formulazione chiara e coerente della dottrina, rischia di ridurre l’atto di fede a un’adesione meramente razionale, trascurando le sue dimensioni esistenziali, esperienziali e relazionali». Così come in altre stagioni il fedele poteva fare un’esperienza immersiva totale ad esempio entrando nello spazio di una cattedrale, in cui nello slancio delle colonne verso l’alto, nelle vetrate in cui venivano illustrate la storia della salvezza e soprattutto nel contatto reale con il corpo di Gesù presente nell’eucarestia, così oggi la realtà virtuale consente di riprodurre le stesse sensazioni, attraverso la tecnologia ormai a disposizione di tutti, almeno nel mondo occidentale.
I media funzionano attraverso l’elettricità che consente un’espansione tendenzialmente illimitata di tutti i sensi corporei «concedendo al soggetto esperiente azioni che simulano la trascendenza e l’onnipresenza, seppur confinate nel solo ambito della percezione». Certamente non si tratta di sostituire le esperienze reali con le potenzialità offerte dai nuovi media, ma di cominciare a considerare i nuovi media come un’opportunità per tracciare innovativi percorsi pastorali e di annuncio.
L’analisi di Voltolin si è poi concentrata sul tema della coscienza, punto di incrocio della storia della morale fondamentale, della relazione con Dio, ma anche terreno di studio delle neuroscienze e da ultimo dell’approccio delle ricerche sull’intelligenza artificiale. In particolare, sono state esaminate nel testo le teorie che sostengono la possibilità di poter arrivare a creare una «coscienza artificiale» in grado di emulare in tutto la coscienza umana. Ciò sarebbe reso possibile dall’interazione tra i fenomeni descritti dalla fisica quantistica e le teorie sull’informazione che organizzano e gestiscono sistemi sempre più complessi.
A giudizio di Voltolin queste teorie però non tengono in debito contro il rapporto che ha la coscienza con il corpo, in particolare con le interazioni che si vengono a creare tra cervello, mente e corpo nella sua interezza. La coscienza umana ha dunque una base biologica molto antica che trattiene le esperienze accumulate lungo tutto l’arco evolutivo e che ne costituiscono la base preconscia. A questa si aggiunge poi il momento riflessivo dell’autocoscienza, che non può prescindere dal contesto culturale in cui gli individui si trovano a vivere. Questa articolata struttura non ha come sua conseguenza il relativismo morale, perché anche il bene e il male si radicano in una serie di percezioni profonde e comuni alla coscienza umana.
In definitiva, lo stesso si può dire per la percezione di Dio che alcuni vorrebbero essere un prodotto della coscienza, mentre Voltolin ricorda che «le neuroscienze mostrano come l’esperienza religiosa si manifesti, ma non possono rispondere al perché o al significato profondo di tale esperienza. Dio può rivelarsi all’uomo attraverso la struttura neuronale e del cervello, senza che ciò implichi una riduzione materialistica dell’esperienza divina».
A conclusione del prezioso lavoro, per stimolare la riflessione che resta da compiere, il nostro propone una serie di stimolanti domande del tipo: «Cosa succede quando un algoritmo fa una scelta moralmente discutibile? Chi paga il conto? Noi, l’ingegnere che l’ha programmato o… l’algoritmo stesso? (...) E se un giorno potessimo partecipare a una messa in realtà virtuale, con sensazioni tattili, visive e uditive perfettamente simulate, sarebbe davvero meno autentico?».
M. Tibaldi, in
L’Osservatore Romano 23 luglio 2025, 6