In un’epoca in cui l’intelligenza artificiale sembra promettere risposte a ogni interrogativo, persino quelli più intimi dell’umano, il libro di Lorenzo Voltolin, sacerdote e docente della Facoltà Teologica del Triveneto, si addentra nelle questioni più profonde che la rivoluzione digitale pone. Il titolo, provocatorio e poetico al tempo stesso, invita a riflettere: esiste davvero un “algoritmo” capace di catturare l’anima? O, al contrario, è proprio l’anima a sfuggire a ogni calcolo?
Lo scritto mette in dialogo neuroscienze e filosofia, teologia e spiritualità, e si sviluppa in 11 capitoli (dal numero 0 al numero 10: E se non fosse proprio come ce la raccontiamo?; Il corpo pensa; Una coscienza artificiale; La forma del significato: un viaggio nella teologia; Le radici neurofisiologiche: tra corpo e spirito; Per comprendere il reale: immersione nella complessità; Il corpo agente: materia vivente, tra coscienza e conoscenza; Linguaggi e coscienza: il potere narrativo; Il mistero della coscienza: la libertà nell’era digitale; Viaggio nella coscienza del bene e del male; La “mente sacra”: incontro tra neuroscienze e fede).
La prefazione è firmata da Federico Faggin, imprenditore e scienziato attivo tra la California e l’Italia, da decenni studioso di fisica quantistica e “coscienza”. Ogni capitolo inizia con un breve glossario che chiarisce i termini più nuovi e difficili dei nuovi linguaggi.
Voltolin muove da una constatazione condivisa: la tecnologia digitale ha trasformato radicalmente il nostro modo di percepire il mondo, di relazionarci, persino di pregare. Realtà virtuali, intelligenze artificiali, linguaggi digitali non sono più solo strumenti esterni, ma ambienti in cui abitiamo, pensiamo, desideriamo e sogniamo. Eppure, in mezzo a questa rivoluzione, qualcosa resiste: la coscienza come apertura al senso, al desiderio, al mistero. “Irriducibile” insieme al libero arbitrio.
Il corpo è il primo protagonista di questo cammino. Lo studioso padovano lo libera dall’immagine di semplice “contenitore” dell’anima o di “macchina biologica” e lo ripropone come realtà viva, agente, capace di pensare e mediare il sacro. Il corpo non è un ostacolo alla trascendenza, ma luogo privilegiato per farne esperienza. È attraverso i sensi, i gesti, la corporeità che la coscienza si forma e si apre al mondo e al Trascendente. «Se in passato la rivelazione di Dio è stata recepita principalmente in termini di comunicazione logica e verbale, oggi la dimensione multimediale e multisensoriale suggerisce un approccio più sinestesico e integrato. Infatti, abbiamo a che fare con una forma di conoscenza basata sull’agire e sull’esperienza diretta, che non è certo esclusiva dei media digitali, ma che grazie ad essi ha acquistato nuova rilevanza» (p. 179).
In questo senso, la liturgia va oltre il rischio di essere vissuta come rito formale e diventa un’esperienza “quasi-virtuale” in cui soggettivo e oggettivo si fondono, e l’invisibile può essere incontrato. I simboli, i gesti, le parole liturgiche non descrivono semplicemente il sacro: lo rendono presente, trasformando chi vi partecipa. Scrive Voltolin: «L’agire liturgico, dunque, non è solo la fonte e il culmine della fede cristiana, ma anche una via privilegiata per esplorare il rapporto tra forma e contenuto, tra visibile e invisibile, tra umano e divino» (p. 106).
La questione dell’intelligenza artificiale è affrontata con lucidità, senza demonizzazioni né entusiasmi. Il nostro autore riconosce il potenziale delle nuove tecnologie – in particolare della realtà virtuale immersiva – nel ricreare forme di apprendimento esperienziale che vanno oltre le parole stampate. Ma pone un limite invalicabile: per quanto sofisticata, una macchina non potrà mai accedere a quel “residuo irriducibile” che è la coscienza soggettiva, luogo del discernimento morale, della libertà, dell’incontro con il divino. Come scrive Federico Faggin nella prefazione è lo scientismo che, riducendo la coscienza a proprietà emergente del cervello, finisce per negare l’interiorità stessa e con essa ogni spazio per la libertà umana da una parte ed il sacro dall’altra parte.
Voltolin non si accontenta di difendere l’irriducibilità della coscienza, ma la riafferma come spazio in cui l’umano incontra il trascendente. La coscienza non è solo autoconsapevolezza, ma capacità di ascolto, di apertura, di risposta. Ponendosi il problema del bene e del male che ognuno di noi conosce, sperimenta e agisce, scrive ancora il nostro autore: «La coscienza morale […] si radica nell’eredità emotiva che portiamo con noi, sia essa la ricerca o l’esperienza di emozioni forti come la rabbia. Questa eredità si intreccia con la memoria del passato o l’esperienza del bene e del male nel presente, che costituiscono un patrimonio di conoscenze e sensazioni. A questo si aggiunge la cognizione, il nostro processo di interpretare le esperienze morali. Infine, la coscienza morale si manifesta attraverso la nostra scelta, in cui esercitiamo la libertà di decidere tra il bene e il male, orientando la nostra azione in base a tale discernimento» (p. 261).
In un tempo segnato dall’accelerazione e dalla frammentazione, questa prospettiva è un invito a ritrovare profondità: a non lasciare che l’algoritmo sostituisca l’anima, ma a far sì che ogni tecnologia sia al servizio della persona nella sua interezza – corpo, mente e spirito.
L’algoritmo dell’anima, per volontà dello stesso autore, non offre risposte definitive, ma apre un cammino. Un cammino interdisciplinare e umano: perché comprendere la coscienza significa anche chiedersi chi siamo, in quale mondo viviamo, e come possiamo lasciarci trasformare dal mistero che ci abita.
F. Poles, in
Appunti di Teologia 4/2025, 21-22