Il libro Immortalità o risurrezione – il cui titolo originale Croire aujourd’hui dans la résurrection (Paris 2016) esprime in modo piú diretto la tesi iniziale sul credere oggi nella risurrezione – è un saggio che raccoglie « i frutti ben digeriti di cinque decenni di studi la cui regola costante è stata la trasversalità dei saperi e l’osmosi delle discipline » (p. 5). L’autore è André Paul, biblista, teologo, studioso dell’ebraismo antico, nominato nel 2011 Ufficiale dell’Ordine delle arti e delle lettere dal governo francese. Egli vuole dimostrare « che non vi è percezione o intelligenza possibile della risurrezione se non nella fede, la fede cristiana ovviamente » (p. 152).
Per questo egli propone un viaggio scandito da alcune tappe, senza alcuna pretesa di sistematicità sia nel modo di procedere sia nel suo intento, che inizia consultando l’uomo antico per sapere quale significato egli abbia dato a tutti i casi della vita fino all’ultimo a cui addosserà il nome di “morte”. L’uomo antico non poteva non interrogarsi sulla propria natura mortale chiedendosi se la morte, per quanto fatale, fosse reversibile o senza ritorno. La domanda lo avrebbe abitato da sempre e per sempre, contrastando in lui la rassegnazione, come una forza irresistibile, al pensiero angosciante di una esistenza che svanisce nel nulla.
Per di piú la constatazione che gli atti che la provocano non conoscono né riparazione né sanzione – mentre chi li ha prodotti rimane in vita – ha dato origine al “mito”, con il quale l’essere umano ha potuto immaginare « un “altro” mondo e un’“altra” vita » in cui fosse fatta giustizia e ristabilito l’ordine sociale e morale. In tal modo si risvegliò la coscienza morale e nel contempo maturò la visione di un altro mondo, l’aldilà, ritenuto necessario con la funzione di « restauratore del buon ordine delle cose, tanto nell’universo quanto nell’umanità » (p. 24).
Tuttavia mentre il mondo che noi definiamo ‘naturale’ viene percepito come un organismo vivente ritmato in modo concatenato dal movimento ciclico delle stagioni senza interruzioni né fine, quello dell’essere umano conosce interruzioni e fine, sofferenze e morte. A motivo di tale differenza cominciò ad alimentarsi negli esseri umani un’attenzione particolare, e anche una domanda, su quei legami nascosti e solidali con l’universo che sono segno di una vita che non vuole finire e che elude ogni perdizione e alla fine la morte stessa. La risposta sui legami nascosti divenne ben presto un’idea da precisare meglio, ossia « l’ipotesi e poi perfino l’evidenza di una continuità vitale o di un ritorno alla vita ». Essa verrà poi chiarita « con l’instaurazione di una dottrina filosofica dell’immortalità dell’anima che il cristianesimo, fermo sostenitore della risurrezione del corpo (e anche di qualcosa di piú del corpo), ostacolerà immediatamente » (p. 28).
Su quest’asse di rapporto tra idea di immortalità dell’anima e fede nella risurrezione, l’A. riprende alcuni temi specifici, quali ad esempio la fatalità della morte e la sua necessità; lo spirito come principio e forza che trasforma la morte in una dipartita, in un lancio verso la vita; il “come” della risurrezione e la “forma” del risuscitato; la risurrezione individuale del corpo, il “quando” e il “come” della risurrezione (personificazione della risurrezione: continuità identitaria sì, ma non sostanziale né esistenziale); la forma del corpo risorto e il fascino della corte celeste e delle figure celesti degli angeli; la scena del “sepolcro vuoto” modello di risurrezione dell’uomo, costituito da un “vuoto oggettivo” significato da un “vuoto narrativo”. Infatti « quel duplice vuoto è fondatore. Alla sua stregua, il corpo stesso dell’uomo risorto è designato come un vuoto attraverso l’espressione sôma pneumatikón, letteralmente “corpo di spirito (o spirituale)” » che l’A. propone di tradurre in “corpo dissolto nello spirito”.
Se per un verso la morte è essenziale, per un altro essa è necessaria poiché ha la « funzione drammatica di creare uno spazio in cui oggettivamente non c’è niente, mentre virtualmente c’è tutto. Questo vuoto è un invito, ma di fronte al rischio totale dell’ignoto » (p. 138) si aprono delle vie: quella della proiezione dell’oggi nell’aldilà (mito) e quella dell’utopia “transumanistica” a carattere gnostico. Si tratta di sfide con le quali il cristianesimo di oggi è chiamato a confrontarsi, da una parte impegnando le risorse creatrici del genio della fede e dall’altra tenendo conto della perdita progressiva della fede e dell’utopia transumanista, che vuole eliminare la finitudine biologica della specie umana.
Per questo per accedere oggi alla risurrezione occorre scoprire, o meglio riabilitare, la morte, ponendola dentro la propria vita come partner essenziale. La vita infatti è in una costante lotta con la morte allo scopo di identificare e captare le molteplici voci che provengono da essa. Solo in questo modo si può giungere a elaborare una « episteme, o “scienza”, della vita. Del resto, questa è la posta in gioco dell’esistenza di Gesú, ciò che gli permette di dare al modello della risurrezione […] la sua forma e la sua voce decisiva. Detto ciò, la risurrezione resta dell’ordine della verità, piú esattamente di una verità “da credere”, secondo quanto si afferma » (p. 162).
Paul tratta l’argomento della risurrezione procedendo dalle domande e dalle risposte presenti nei documenti delle tradizioni religiose antiche, in particolare quella giudaica, che pone in relazione con l’idea di immortalità dell’anima. Egli segue una prospettiva di osmosi e di intreccio dei saperi con i quali hanno dovuto fare i conti sia la cultura giudaica sia il pensiero del cristianesimo delle origini fino ai giorni nostri, arginando derive e semplificazioni di diverso tipo. Il contributo del saggio di André Paul è di buona qualità per la ricchezza della documentazione, per il confronto critico dei testi e per la capacità di richiamare l’interesse su un tema decisivo per l’oggi della fede cristiana.
G. Zambon, in
Studia Patavina 67 (2020) 3, 589-591