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Immortalità o risurrezione?
André Paul

Immortalità o risurrezione?

Affacciarsi oggi sull’oltrevita, fra utopia e fede

Prezzo di copertina: Euro 15,00 Prezzo scontato: Euro 14,25
Collana: Books
ISBN: 978-88-399-2891-7
Formato: 13,5 x 21 cm
Pagine: 176
Titolo originale: Croire aujourd’hui dans la résurrection
© 2019

In breve

Un saggio chiarificatore che scommette sull’aldilà promesso in Cristo, tanto quanto sulla portata universale (e umanizzante!) del corpo risorto, delineando un messaggio teologico pregiato e più attuale di quanto non si pensi.

Descrizione

Nell’attuale temperie culturale fatichiamo a comprendere la fede cristiana nella risurrezione. Che cosa intendiamo esattamente quando, per esempio, del nostro destino ultimo diciamo che è quello di risorgere dai morti?
André Paul svolge, da storico, da biblista e da teologo, uno scavo accurato sulle origini e gli sviluppi di questa nozione. Sin dalla notte dei tempi, l’essere umano, alla ricerca del senso ultimo della sua sorte mortale, si è figurato un oltrevita, un aldilà. E non ha mancato di attribuire una immortalità a quella parte di sé che percepiva come incorruttibile: l’”anima”. In una fase successiva la sua riflessione ha avuto accesso al concetto di risurrezione – non più dell’anima, ma del corpo –, che diventerà un elemento assiale del sistema cristiano.
Oggi questa credenza si confronta con nuove fantasticherie di immortalità (come l’utopia transumanista): mentre vorremmo pianificare un’umanità “aumentata”, in fondo noi non facciamo altro che perpetuare una ribellione verso il corpo e i suoi limiti. Quello stesso corpo che la risurrezione vuole però “trasfigurato”, e in una forma così ardita che soltanto la fede davvero visionaria è in grado di prospettare.

Recensioni

L'ultima fatica di André Paul, storico, biblista e teologo francese, è un testo da lui stesso definito «un saggio e non un trattato» (p. 5). Il titolo rappresenta la sintesi perfetta dell'intento dell'autore: che cosa intendiamo quando diciamo che il destino ultimo dell'uomo è quello di risorgere dai morti?

Attraverso un viaggio di otto capitoli più una conclusione, Paul indaga inmodo accurato e preciso le origini e gli sviluppi della fede cristiana nella risurrezione. Sin dall'antichità, sostiene l'autore, l'uomo, ricercando il significato ultimo della sua sorte mortale, ha tentato di scovare una via di fuga allo scandalo della morte che trasformava la propria esistenza in qualcosa che generava ansia. Fece così ricorso «alla mediazione del mito, ovvero al racconto di quel dramma di cui immaginava di condividere la scena con gli dèi» (p. 24); e la fine della vita significata dalla morte, venne presto compresa come un passaggio intermedio verso un’altra vita in cui il buon ordine delle cose nell'universo e nell'umanità sarebbe stato restaurato.

Come ben individua il capitolo 2, per secoli, soprattutto a partire dalle riflessioni filosofiche dell'antica Grecia, venne accolta ed elaborata la dottrina dell'immortalità dell'anima. Essa fece la propria comparsa anche nella cultura latina e «dal I secolo a.c. sino alla fine del I secolo cristiano, una solida tradizione perpetuò la dottrina dell'immortalità dell'anima nei sudditi e nei cittadini di Iuda permeati di cultura greca; e ciò avvenne nel momento stesso in cui la credenza nella risurrezione individuale del corpo non era lungi dall'imporsi presso i cristiani» (p. 40). Se si poteva cominciare a parlare di risurrezione e di anima, «Che cosa dire del corpo? Ritornato alla terra, è perduto totalmente e definitivamente?» (p. 49). Fu questa la domanda che poco alla volta cominciò a imporsi, permettendo di maturare la consapevolezza che la morte non era una fatalità, ma una necessità.

Con il Testamento di Abramo, approfondisce il teologo, si aprono nuove prospettive: «la morte non è trattata [...] come la fine di una vita; è presentata al contrario come una" dipartita" che ridà la vita» (p. 62). Ecco che la stessa idea di risurrezione del corpo, o piuttosto di risurrezione a tutto tondo, opera un salto nel futuro che «designa una breccia da cui scaturisce un essere nuovo, creato in maniera nuova» (p. 65). Lo Spirito, in questo, gioca un ruolo chiave; Egli è la forza determinante del destino dell'uomo; la forma di vita prima e dopo la morte. Riguardo alla risurrezione, scrive André Paul, il suo soffio vivificante «apre il campo anche a una forma senza forme, a un corpo senza corpo, [...] a un'entità né "post-umana" né "trans-umana", ma più che umana, poiché trasformata» (pp. 78-79).

La maturazione decisiva dell'idea di risurrezione del corpo si afferma con il sistema dottrinale cristiano. Agli inizi aveva una dimensione collettiva e fu riservata alla rinascita di Israele; in un secondo momento venne applicata alla restaurazione individuale del corpo. «Occorse tuttavia l'intervento di Gesù di Nazaret [...] perché una dottrina [...] della risurrezione individuale [...] trovasse la sua espressione piena e adeguata» (p. 82). «Egli», scrive Paul, «traspose in atti e parole quella che chiameremo una pedagogia drammatica della vita» (p. 129) che trova senso solo ed esclusivamente nella prospettiva di una vita ritrovata nell'aldilà.

Purtroppo, sottoscrive negli ultimi capitoli il teologo francese, «da decenni, e sempre più, assistiamo a una ritirata accelerata della Fede. [...] Ora, con la magra della Fede si offusca tutto un sistema di riferimenti, pensieri e parole che diciamo comunemente “religioso”, in altri termini “cristiano”» (p. 153). Prendono piede, in questo senso, nuove utopie, come quella «transumanista» di un uomo capace di oltrepassare i propri limiti grazie all'ausilio delle realizzazioni tecnico scientifiche che «in un arco di tempo più o meno breve [...] avranno rimediato alla finitudine biologica della specie umana, in attesa di mettervi fine» (pp. 155-156).

Gesù, però, con la propria risurrezione permette di comprendere come vita e morte non si contrappongano; anzi, in questa vita la risurrezione «è già una realtà possibile, perfino con una sua oggettività propria, ma solamente nell'ambito del genio della fede» (p. 162). La vita si comprende solo alla scuola stessa della morte.


F. Maitan, in Rivista di Teologia dell’Evangelizzazione 48 (2020) 513-515

Il libro Immortalità o risurrezione – il cui titolo originale Croire aujourd’hui dans la résurrection (Paris 2016) esprime in modo piú diretto la tesi iniziale sul credere oggi nella risurrezione – è un saggio che raccoglie « i frutti ben digeriti di cinque decenni di studi la cui regola costante è stata la trasversalità dei saperi e l’osmosi delle discipline » (p. 5). L’autore è André Paul, biblista, teologo, studioso dell’ebraismo antico, nominato nel 2011 Ufficiale dell’Ordine delle arti e delle lettere dal governo francese. Egli vuole dimostrare « che non vi è percezione o intelligenza possibile della risurrezione se non nella fede, la fede cristiana ovviamente » (p. 152).

Per questo egli propone un viaggio scandito da alcune tappe, senza alcuna pretesa di sistematicità sia nel modo di procedere sia nel suo intento, che inizia consultando l’uomo antico per sapere quale significato egli abbia dato a tutti i casi della vita fino all’ultimo a cui addosserà il nome di “morte”. L’uomo antico non poteva non interrogarsi sulla propria natura mortale chiedendosi se la morte, per quanto fatale, fosse reversibile o senza ritorno. La domanda lo avrebbe abitato da sempre e per sempre, contrastando in lui la rassegnazione, come una forza irresistibile, al pensiero angosciante di una esistenza che svanisce nel nulla.

Per di piú la constatazione che gli atti che la provocano non conoscono né riparazione né sanzione – mentre chi li ha prodotti rimane in vita – ha dato origine al “mito”, con il quale l’essere umano ha potuto immaginare « un “altro” mondo e un’“altra” vita » in cui fosse fatta giustizia e ristabilito l’ordine sociale e morale. In tal modo si risvegliò la coscienza morale e nel contempo maturò la visione di un altro mondo, l’aldilà, ritenuto necessario con la funzione di « restauratore del buon ordine delle cose, tanto nell’universo quanto nell’umanità » (p. 24).

Tuttavia mentre il mondo che noi definiamo ‘naturale’ viene percepito come un organismo vivente ritmato in modo concatenato dal movimento ciclico delle stagioni senza interruzioni né fine, quello dell’essere umano conosce interruzioni e fine, sofferenze e morte. A motivo di tale differenza cominciò ad alimentarsi negli esseri umani un’attenzione particolare, e anche una domanda, su quei legami nascosti e solidali con l’universo che sono segno di una vita che non vuole finire e che elude ogni perdizione e alla fine la morte stessa. La risposta sui legami nascosti divenne ben presto un’idea da precisare meglio, ossia « l’ipotesi e poi perfino l’evidenza di una continuità vitale o di un ritorno alla vita ». Essa verrà poi chiarita « con l’instaurazione di una dottrina filosofica dell’immortalità dell’anima che il cristianesimo, fermo sostenitore della risurrezione del corpo (e anche di qualcosa di piú del corpo), ostacolerà immediatamente » (p. 28).

Su quest’asse di rapporto tra idea di immortalità dell’anima e fede nella risurrezione, l’A. riprende alcuni temi specifici, quali ad esempio la fatalità della morte e la sua necessità; lo spirito come principio e forza che trasforma la morte in una dipartita, in un lancio verso la vita; il “come” della risurrezione e la “forma” del risuscitato; la risurrezione individuale del corpo, il “quando” e il “come” della risurrezione (personificazione della risurrezione: continuità identitaria sì, ma non sostanziale né esistenziale); la forma del corpo risorto e il fascino della corte celeste e delle figure celesti degli angeli; la scena del “sepolcro vuoto” modello di risurrezione dell’uomo, costituito da un “vuoto oggettivo” significato da un “vuoto narrativo”. Infatti « quel duplice vuoto è fondatore. Alla sua stregua, il corpo stesso dell’uomo risorto è designato come un vuoto attraverso l’espressione sôma pneumatikón, letteralmente “corpo di spirito (o spirituale)” » che l’A. propone di tradurre in “corpo dissolto nello spirito”.

Se per un verso la morte è essenziale, per un altro essa è necessaria poiché ha la « funzione drammatica di creare uno spazio in cui oggettivamente non c’è niente, mentre virtualmente c’è tutto. Questo vuoto è un invito, ma di fronte al rischio totale dell’ignoto » (p. 138) si aprono delle vie: quella della proiezione dell’oggi nell’aldilà (mito) e quella dell’utopia “transumanistica” a carattere gnostico. Si tratta di sfide con le quali il cristianesimo di oggi è chiamato a confrontarsi, da una parte impegnando le risorse creatrici del genio della fede e dall’altra tenendo conto della perdita progressiva della fede e dell’utopia transumanista, che vuole eliminare la finitudine biologica della specie umana.

Per questo per accedere oggi alla risurrezione occorre scoprire, o meglio riabilitare, la morte, ponendola dentro la propria vita come partner essenziale. La vita infatti è in una costante lotta con la morte allo scopo di identificare e captare le molteplici voci che provengono da essa. Solo in questo modo si può giungere a elaborare una « episteme, o “scienza”, della vita. Del resto, questa è la posta in gioco dell’esistenza di Gesú, ciò che gli permette di dare al modello della risurrezione […] la sua forma e la sua voce decisiva. Detto ciò, la risurrezione resta dell’ordine della verità, piú esattamente di una verità “da credere”, secondo quanto si afferma » (p. 162).

Paul tratta l’argomento della risurrezione procedendo dalle domande e dalle risposte presenti nei documenti delle tradizioni religiose antiche, in particolare quella giudaica, che pone in relazione con l’idea di immortalità dell’anima. Egli segue una prospettiva di osmosi e di intreccio dei saperi con i quali hanno dovuto fare i conti sia la cultura giudaica sia il pensiero del cristianesimo delle origini fino ai giorni nostri, arginando derive e semplificazioni di diverso tipo. Il contributo del saggio di André Paul è di buona qualità per la ricchezza della documentazione, per il confronto critico dei testi e per la capacità di richiamare l’interesse su un tema decisivo per l’oggi della fede cristiana.


G. Zambon, in Studia Patavina 67 (2020) 3, 589-591

La speranza di un superamento della morte ha da sempre accompagnato l’umanità, ma il suo «come» è cambiato con il volgere delle culture. Oggi ha assunto forme, come l’utopia transumanista di un’umanità «aumentata», che nuovamente si presentano come una ribellione nei confronti del corpo e dei suoi limiti. Proprio il contrario della risurrezione dei corpi, che è il nucleo fondamentale della fede cristiana.

Il saggio dello storico, biblista e teologo francese André Paul ripercorre in 8 cc. la storia di questa domanda fondamentale dell’umanità, chiarendo come la risposta della fede cristiana si collochi contro-tendenza rispetto alle utopie odierne, valorizzando il corpo nella sua realtà e non elidendo la morte, passaggio necessario e non rimosso.


D. Sala, in Il Regno Attualità 10/2020, 287

Che cosa intendiamo per «aldilà»? Si tratta di una dimensione parallela a quella terrena? Oppure del prolungamento, triste o felice, della vita presente? Quale significato assume lo specifico annuncio cristiano della risurrezione rispetto al desiderio di una rivincita del corpo sui vincoli e le malattie che lo soffocano e umiliano? In che modo verranno finalmente sanate le ingiustizie e premiati i meriti? Storico, biblista e teologo francese, André Paul è un noto specialista di testi dell’antichità e in questo saggio delinea le diverse forme, religiose e culturali, remote o contemporanee, in cui si è declinato il sogno di un oltrevita.

Particolare attenzione viene posta dall’autore alle opere visionarie di genere apocalittico elaborate nella società giudaica negli ultimi due o tre secoli prima di Cristo. Il libro di Enoch, scritto in aramaico, era probabilmente un bestseller ai tempi di Gesù e narrava di un viaggiatore cosmico che scopre il carcere degli astri colpevoli e degli angeli peccatori, responsabili degli sconvolgimenti naturali e delle depravazioni spirituali. Nell’Ade i morti sono divisi in classi, secondo il grado della loro colpa, «ma la loro detenzione è solo transitoria. Non vi sarà alcun altro verdetto se non quello del Giudizio finale, alla fine dei tempi» (p. 21).

L’intero volume può essere letto come una preparazione alla corretta interpretazione di quel passo della Prima lettera ai Corinzi (15,35-50) in cui Paolo utilizza metafore vegetali, animali, inorganiche e astrali per parlare della risurrezione dei morti: «Si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale». Il corpo animale, o «corpo di anima» (sōma psychikón) è opposto al «corpo di spirito» (sōma pneumatikón). Paolo risente delle idee stoiche di allora (secondo cui l’anima stessa consisteva in un corpo, per quanto puro ed etereo), ma se ne distacca, valorizzando la tradizione giudaica (la visione delle ossa inaridite in Ezechiele, i libri di Enoch e dei Giubilei): lo spirito non ha sostanza né forma proprie (nel senso greco), ma «è una forza e, molto di più, una riserva illimitata di forze […] ri-creative» (p. 137).

Proprio riformulando un’espressione della filosofia stoica, Paul suggerisce di tradurre sōma pneumatikón con «corpo dissolto nello spirito», ossia trasfigurato nel principio vivificante e dotato di un’illimitata capacità germinale, come lo spirito che aleggiava sulle acque un istante prima della creazione (cfr Gen 1,2). Le conseguenze sono molteplici: la morte sarebbe essenziale, perfino necessaria, per far spazio a una nuova «nascita». La morte va «riabilitata» (p. 160), come emblema della nostra finitudine, come quel vuoto che esige di essere riconosciuto e pensato, senza volerlo addomesticare a ogni costo, perché essa ha una natura selvaggia e sollecita l’angoscia autentica.

La vita si apprende «alla scuola della morte» (p. 160), ma morire non equivale al separarsi di corpo e anima, come nel pensiero platonico; e risorgere non implica assumere una natura angelica, né ripristinare l’assetto organismico precedente, né ricostituire «tali e quali tutte le relazioni o le socialità perdute» (p. 141), liberate da imperfezioni. Si risuscita non per non morire più, ma per vivere in modo diverso. Qualunque reincarnazione è inammissibile, perché l’«anima» è «legata a un corpo unico che la identifica una volta per tutte» (p. 140).

La fede cristiana dà credito alla prospettiva di una vita ritrovata al di là della morte, una vita «reinventata nella differenza» (p. 144) e al contempo coniugata con l’identità della persona. Non è infatti il solo corpo fisico che risorge: l’intera vita personale diventa eterna, grazie a forze rigeneranti che la conducono a una vittoria che ingoia la morte, nello stesso movimento che rifonda tutto il mondo. E il motore di tale redenzione è lo stesso principio del corpo di Cristo risorto. Egli «trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso» (Fil 3,21).

D’altra parte, le stesse lettere pao­line (cfr 1 Ts 4,15 e 1 Cor 15,51) mostrano che la trasformazione escatologica riguarda non soltanto i morti, ma anche i viventi. Il Figlio incarnato e risorto dà fin d’ora la vita eterna al credente, e il futuro ultimo è la prosecuzione della sconvolgente novità che è già in atto. «Viene l’ora, ed è adesso…», dice Gesù nel quarto Vangelo (Gv 5,25).


P. Cattorini, in La Civiltà Cattolica 4075

Come sarà la vita nell'aldilà? A questa domanda hanno provato a rispondere nei secoli passati fior di teologi e scrittori, ma già nei primi tempi del cristianesimo ci furono tentativi di descrivere le condizioni di vita dei risorti. Primo fra tutti ovviamente san Paolo, che attraverso le lettere ebbe un ruolo decisivo nell'elaborazione della dottrina della risurrezione. Ma non tutti sanno che proprio mentre questa iniziava a prendere corpo, alcuni apocalittici ebraici toccavano gli stessi temi. Leggiamo ad esempio nel Secondo libro di Baruc, chiamato anche Apocalisse siriaca di Baruc: «In quale somiglianza vivranno coloro che vivranno nel tuo giorno, o come resterà il loro splendore, (quello) che sarà dopo di allora? Prenderanno allora questa figura di ora e rivestiranno queste membra di lacci, che ora sono nei mali e in cui i mali sono compiuti? Oppure muterai quelle (membra) che furono nel mondo come anche il mondo?». Un passo in cui essenziale è l'idea di una trasformazione dell'uomo e del mondo intero e appare l'ipotesi di un’esistenza completamente diversa rispetto a quella terrena. In questo testo contemporaneo alla stesura finale dei Vangeli c'è una svolta rispetto alle teorie ebraiche sulla resurrezione, sino ad allora più vicine al concetto di immortalità proprio dei Greci. Lo rileva lo storico e biblista francese André Paul in un volume da poco pubblicato da Queriniana, Immortalità o risurrezione? Affacciarsi oggi sull’oltrevita fra utopia e fede, testo che tutti i credenti, ma non solo, dovrebbero leggere.

Il Secondo libro di Baruc contiene anche una previsione sulla fine dei tempi, con una sbalorditiva allegoria delle acque bianche e delle acque nere: le prime rimandano al peccato di Adamo che ha introdotto la morte nella vita dell'uomo, le seconde ad Abramo, Mosè e al tempo del Messia. «E allora – si legge ancora – la guarigione discenderà come rugiada, e la malattia si allontanerà. E nessuno più morirà. Perché quel tempo è il compimento di quel che è corruttibile e il principio di quel che è incorruttibile». Come rileva Paul, siamo probabilmente in una situazione di transizione fra le credenze proprie della società giudaica e quelle espresse dalla dottrina cristiana, una sorta di «fertile no man’s land in cui le due religioni non distinguevano ancora nettamente le proprie linee».

L’idea della risurrezione dei corpi, centrale per il cristianesimo, è assai diversa dall'immortalità dell'anima propugnata dalla cultura greca e ben esemplificata dal Fedone di Platone, che vede il corpo come prigione dell'anima e un aldilà in cui il corpo non conta più nulla. La tradizione giudaica a lungo è stata influenzata dal pensiero greco, come nel caso di Flavio Giuseppe, che si era formato alla scuola di Alessandria. Così pure nel Testamento di Abramo, un altro scritto del genere visionario risalente con tutta probabilità al primo secolo d. C. ove il patriarca combatte a lungo con la morte prima di arrendersi e vedere la propria anima volare in cielo accompagnata dagli angeli. Dio lo accoglie in paradiso ma non si sa sotto quale forma. Anche qui prevale lo schema proprio dei Greci anche se, annota Paul, ci si avvicina maggiormente al Vangelo di cui si sente l'influenza.

Il teologo francese compie una profonda analisi dello sviluppo compiuto dall'ebraismo sulla fine del mondo e ritrova in alcuni testi più antichi, risalenti al II secolo a. C., come il libro di Enoc e quello dei Giubilei,gli antecedenti che più si avvicinano alla concezione cristiana. Nel primo caso si annuncia laretribuzione che spetta a ciascuno dopo la morte, vale a dire la ricompensa per i giusti e il castigo per i peccatori: i morti sono ripartiti secondo le categorie del bene e del male e sono descritti come "spiriti" e non "anime” come nella tradizione greca. Viene utilizzato il termine ruah che significa "soffio", "vento" e che in greco verrà tradotto con pneuma, la parola più usata come noto da san Paolo. Anche nel libro dei Giubilei non si parla di anima ma di spirito: «Non si può dire – scrive André Paul – che lo spirito sia una cosa incorporea disposta a nuove unioni, perfino con il corpo che sembrerebbe aver lasciato. Si può dire del resto che lo ha veramente lasciato? In verità, lo spirito non lascia niente. È una forza di ricostituzione, o meglio di ricreazione, ma non di reincarnazione; non può dunque conoscere alcun ritorno».

La conclusione è questa: lo spirito sta alla risurrezione come l'anima sta all'immortalità. Siamo di fronte a due sistemi di pensiero opposti e inconciliabili. Soprattutto nella prima Lettera ai Corinzi l'apostolo delle Genti spiega il concetto di «corpo spirituale» (pneuma) che va oltre quelli di corpo (soma) e di anima (psyché). Con questa formula si raggiungerà un'enunciazione definitiva per il cristianesimo sul destino dell'uomo dopo la morte. E non è affatto un modello angelico: sformato o trasfigurato, il corpo risorto rimane il corpo. Si tratta di una netta presa di distanza dalla filosofia greca. Paul compie poi un passo avanti, proponendo di tradurre non «corpo spirituale» ma «corpo dissolto nello spirito», smarcandosi così anche dalla nozione stoica di "spirito dissolto nell'aria". Per l’apostolo la caratteristica propria del corpo risorto è «il fatto di essere una capacità illimitata di inizio».

Che tutti noi siamo ancora profondamente segnati dalla dicotomia fra anima e corpo trasmessaci dalla civiltà greca è indubitabile. Segno di un'ulteriore svalutazione del corpo è oggi la teoria del transumanismo, una maniera postmoderna e neognostica per ricercare l'immortalità, dottrina futurista che tende a salvare solo lo spirito. L’uomo non è più trasfigurato ma "aumentato", un ibrido «in cui tutte le frontiere tra la macchina umana e la macchina tout court verrebbero cancellate», un’utopia che prevede che le realizzazioni tecnico-scientifiche rimedieranno alla finitudine biologica della specie umana. In fine dei conti, «una fantasticheria di immortalità».


R. Righetto, in Avvenire 14 febbraio 2020, 13

Un piccolo ma intrigante saggio, quello del biblista, storico e teologo francese André Paul, che nell'originale francese si intitola Croire aujourd’hui dans la résurrection.

Il nostro teologo compie, prima di presentare una sintesi sistematica di come intendere e parlare di "risurrezione" oggi, un suggestivo percorso storico, una piccola ma succosa "storia delle idee". Da sempre l'uomo, alla ricerca del senso ultimo della vita, si è confrontato con il mistero dell'«oltrevita». In particolare, è stata la sapienza filosofica greca, con Platone, a formulare la prima, classica soluzione al problema, con la categoria di immortalità dell'anima. Categoria che, tra l'altro, ha trovato eco in alcuni scritti sapienziali dell'Antico Testamento.

Nell'affrontare il discorso ("a più voci") dell'Antico Testamento, l'autore si avvale anche della conoscenza di altre fonti antiche - come gli apocrifi dell'Antico Testamento e gli scritti di Qumran - per farci vedere come, attraverso una varietà di intuizioni e rappresentazioni, si arrivi alla soglia del novum che rappresenta la grande alternativa all'immortalità dell'anima: la risurrezione, quale appare nell'annuncio di Gesù e nella predicazione di Paolo.

Uno dei punti qualificanti del saggio è proprio il rimarcare come immortalità e risurrezione siano concezioni completamente diverse, anche se spesso vengono confuse. L'elemento messo in luce a più riprese dal nostro autore è che la risurrezione è legata allo pneuma, allo spirito come forza vitale di ricostituzione: con la risurrezione non si accede a un «corpo potenziato», senza le imperfezioni della vita terrestre, ma a un corpo trasfigurato, metamorfizzato, glorioso (Filippesi 3,21; 1 Corinzi 15,44), nella continuità dell'identità del soggetto ma in una dimensione totalmente inimmaginabile per noi.

È soprattutto il pensiero di Paolo, fedele interprete dell'insegnamento di Gesù, a fare da filo conduttore al discorso teologico, in particolare la sua geniale intuizione di un soma pneumatikon, che André Paul traduce in modo originale con «corpo dissolto nello spirito».

Di grande interesse anche il percorso sistematico conclusivo del saggio, che si confronta con il nostro tempo e con i nuovi revival dell'immortalità, come l'utopia del transumano, smascherata come una nuova gnosi e una ribellione nei confronti del corpo e dei suoi limiti, o la criogenia, nel nostro tempo caratterizzato dall'assenza della fede. Ma è proprio sullo sfondo di queste nuove utopie (nel senso più letterale) che acquista risalto il discorso cristiano della risurrezione, la cui parola chiave - a consegnarcela è l'apostolo Paolo - parla di «trasfigurazione» del corpo (Filippesi 3,21): uno spazio che solo la fede può concepire.

Un saggio breve ma denso di riferimenti e di spunti per pensare seriamente il cuore della fede cristiana.


V. Vitale, in Jesus 11/2019, 90-91

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