Dopo i testi di denuncia sul fenomeno degli abusi, accanto a quelli che cercano di offrire un aiuto a chi ha subito abusi, ci sono testi come questo che cercano di far luce in quel «buco nero» dello spirito umano che è un abuso spirituale e sessuale.
L'A. si riferisce a casi ben noti, che hanno superato i confini della Francia sia quando li si riconosceva padri/madri dello Spirito, sia quando se ne sono scoperti gli abominevoli segreti. E in riferimento ai loro casi, approfondendone la conoscenza, si pone domande che sono importanti per ricostruire quegli elementi che hanno reso possibile l'accaduto, che hanno reso possibile soprattutto il grande abbaglio.
In secondo luogo queste domande aprono al futuro. Proprio perché è ingenuo pensare a una Chiesa di giusti, dobbiamo pensare che elementi abusanti ci saranno sempre, ma i loro abusi dovranno essere smascherati ben prima di mietere tante vittime come è successo sin qui.
L'A. va dentro questo buco nero e superando l'immagine impiegata, cerca di distinguere, cogliere legami, parallelismi e differenze. Come quando distingue, seguendo psicologi e psichiatri, tra personalità narcisiste piuttosto che manipolatorie. E la distinzione serve perché l'approccio è differente e anche le possibilità che i soggetti così diventino abusanti è diversa.
Così come è importante distinguere l'abuso spirituale da quello sessuale, non per separare ma per cogliere come quello spirituale possa essere portone d'ingresso per il secondo. Già Dom Dysmas de Lassus, padre generale dei Certosini, in Risques et dérives de la vie religieuse, ha pubblicato nel 2020 un testo prezioso (in italiano Schiacciare l'anima, EDB, 2021), citato spesso, perché esso offre gli strumenti per riconoscere i segnali di soggetti o comunità abusanti.
Questo testo fa un passo avanti e per farlo, giustamente, ritaglia un ambito preciso: quello delle nuove comunità, religiose o simili. In particolare quelle che fanno riferimento a Thomas Philippe, domenicano cui hanno fatto riferimento molti fondatori di queste nuove comunità, che erano e sono presenti anche in Italia. La particolarità sta nel fatto che lui aveva elaborato una vera e propria teologia che giustificava il passaggio all'atto sessuale, che escludeva la penetrazione; per lui solo quest'ultima univa a un'altra persona e dunque era atto sessuale in senso proprio.
La particolarità dell'ambiente studiato non toglie nulla all'interesse perché le domande che il testo propone sono domande che dovrebbero accompagnarci. La prima domanda è: come mai questi fondatori hanno avuto tanto successo? La risposta delinea con precisione la questione che si è posta nell'immediato dopo concilio tra impegno sociale e spiritualità, una nuova sintesi cui forse a molti non sono stati dati gli strumenti. Questa sintesi è difficile e per questo appariva più facile tornare agli elementi del passato, anche se non sempre espressi in modalità di conservatorismo liturgico.
E poi come mai tanto successo presso le gerarchie? Lo spavento per i seminari e i conventi che si svuotavano ha reso vulnerabili i vescovi cui spettava il discernimento. La cultura nel periodo post-conciliare va dalla comunità hippy al soggettivismo e l'A. nota come queste persone che fondavano comunità cercassero anch'esse unità e armonia. Questi elementi dovevano essere il tutto ed erano loro a stabilirla, per cui tutto dipendeva dalla parola del padre o della madre. Di fatto, però, erano anch'essi estremamente soggettivi, spesso abili a svicolare dalle norme canoniche.
Ma come facevano gli adepti ad essere affascinati da stili comunitari cosiffatti? Qui si apre una stratificazione dalle capacità personali di intuizione psicologica, da una malsana commistione tra psicologia e spiritualità, per giungere infine alla debolezza teologica, potremmo dire con parola importante, ma forse semplicemente di formazione. I giovani entravano senza una formazione cristiana alle spalle e, di fatto, spesso erano mantenuti in tale situazione perché le uniche parole più da meditare che da studiare erano, e in alcuni casi ahimè sono ancora, le parole del fondatore.
E poi la triste affermazione di un soggetto abusato: siamo stati silenti, abbiamo fatto finta di non vedere piuttosto che perdere il favore del superiore, o capo. Perché, si sa, infatti, che in queste comunità dove il centro assoluto è uno, in realtà c'è una gran gerarchia tra i vicini e i più vicini, e il potere di dare o togliere consenso da parte del superiore è assoluto.
Un aspetto che risulta piuttosto raro nella letteratura, è cogliere come si sia potuta creare una sorta di rete tra gli abusatori non solo in verticale – il padre trasmette al figlio – ma anche in orizzontale. Forse, anche inconsciamente – non sempre era tutto esplicitato – si riconoscevano. Soprattutto l'A. con varie testimonianze mette in luce come padre Thomas Philippe di fonte a confessioni o a domande che cercavano di capire l'atteggiamento del proprio confratello, non dava risposte nette, anzi in nome dell'amore di amicizia, sminuiva, confondendo il già confuso soggetto abusato. Ma anche per Philippe e suo fratello Marie Dominique, anche lui domenicano, ma non sempre soggetto abusante, in realtà si trattava di replicare un abuso spirituale subito dallo zio domenicano che aveva vissuto in casa loro. Cieco, non aveva più studiato, ma predicava conoscendo benissimo san Tommaso e traendo da questi le ragioni di comportamenti sospetti, sino a diventare abusanti.
Non è la curiosità della giornalista quale è, ma è la via che lei sceglie per invitare alla vigilanza nella formazione, nell'educazione della spiritualità e anche rispetto alla sorte dei soggetti abusanti, una volta smascherati. Alcuni personaggi sono stati esaltati per i loro frutti, la storia ha insegnato che non erano frutti del tutto buoni.
La Chiesa non ha ancora compreso la devastazione che queste persone hanno creato in molti e che creano anche in chi come l'autrice o come chi scrive solo si era entusiasmata per le letture di Jean Vanier o sporadiche frequentazioni.
D'altra parte se ora è chiara l'esigenza di controllo è anche vero che si auspicava un atteggiamento da parte del Vaticano che lasciasse un po' più liberi nel definire carismi. L'A. si rammarica dei pochi controlli, ma sulla libertà dello Spirito che dona carismi, istituire verifiche non è così semplice. La riflessione va approfondita.
Come sempre questo genere di libri è lettura dolorosa, ma non abbatte. Al lettore il gusto di leggere per scoprire come le domande per chiarire ciò che è successo aiutino a valutare quello che succede, e a guardare al futuro con indicazioni di percorso precise.
E. Antoniazzi, in
Rivista di Teologia dell’Evangelizzazione 2/2024, 542-544