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Il re deluso
Marie-Laure Durand

Il re deluso

Quant’è complicato esercitare l’autorità!

Prezzo di copertina: Euro 9,00 Prezzo scontato: Euro 8,55
Collana: Meditazioni 278
ISBN: 978-88-399-3278-5
Formato: 11 x 20 cm
Pagine: 80
Titolo originale: Le roi déçu. L’exercice compliqué de la gouvernance
© 2023

In breve

In ambito cattolico si evita di pronunciare la parola “potere”, ma chi lo detiene spesso ne abusa in modo sgangherato. L’autrice offre allora un vademecum essenziale per chi, in un modo o nell’altro, in ambiente laico come in quello religioso, in istituzioni civili oppure ecclesiastiche, si trova a esercitare una governance.

Descrizione

È possibile un altro tipo di organizzazione umana, che porti a un nuovo modo di governare? Sì, certo che lo è. Ma non è un po’ azzardato fondarsi su un brano evangelico per inventare una cosa del genere? È proprio questa, tuttavia, l’avventura in cui ci trascina Marie-Laure Durand: anziché offrirci un “trattato” sull’azione di governo, ci aiuta a riflettere su ciò che significa un’autorità dal volto umano. Prendendo come punto di riferimento la parabola degli invitati alle nozze (Matteo 22,1-14), ci spinge ad analizzare le nostre rappresentazioni del potere: smonta i nostri immaginari e sconvolge le nostre evidenze nei modi di operare. E soprattutto ci mostra, qualora non ne fossimo già convinti, l’attualità bruciante del testo biblico nei confronti delle nostre relazioni sociali.
Sostenuta dalla sua competenza teologica e filosofica, Durand ci insegna a considerare in modo diverso la vita collettiva.

Recensioni

È ormai abbastanza condivisa l’interpretazione della nostra epoca come “età della complessità”. Non che la complessità sia mancata in fasi storiche precedenti, ma oggi, molto probabilmente, l’interdipendenza globale e i rapidi cambiamenti in corso in diversi ambiti del vivere umano presentano una situazione inedita, ricca di preziose possibilità ma anche di sfide difficili. Entro questo scenario, l’esercizio del potere – si tratti dello spazio politico, di quello ecclesiale o di quello economico – è sottoposto a profonda revisione, anche alla luce delle legittime istanze di partecipazione che sempre più sono avanzate dal piano terra delle comunità umane, dove perlopiù abitano i più disarmati di fronte alle conseguenze delle metamorfosi in corso.

Alla luce di tale orizzonte, perciò, appare senza dubbio utile e opportuno il libro di M.-L. Durand, intitolato Il re deluso. Quant’è complicato esercitare l’autorità!, edito da Queriniana, pubblicato quest’anno in versione italiana.

In questo breve testo (circa 80 pagine), l’autrice, teologa e saggista, offre numerosi spunti di riflessione sul tema della governance, prendendo come punto di riferimento la parabola degli invitati alle nozze (Mt 22,1-14). Il libro nasce dall’insieme delle meditazioni che l’autrice ha tenuto in un incontro promosso dalla Corref (Conferenza dei religiosi e delle religiose di Francia), in cui le si chiedeva di intervenire sul tema della governance a partire dalla Bibbia: non è un trattato, dunque, ma un percorso ragionato di prospettive originali e a tratti anche provocatorie (nel senso della sana provocazione intellettuale) utili per rivedere in profondità l’esercizio e le pratiche odierne del potere, in ogni settore della società, a cominciare – vista l’occasione che ha propiziato il saggio – da quello ecclesiale.

Una revisione che deve puntare a favorire la centralità della persona, di ogni persona, vista come interlocutrice unica e insostituibile per costruire la direzione comune e non come mera esecutrice agli ordini di un potere verticistico.

In apertura, l’autrice sottolinea anzitutto l’inevitabilità di un cambio di paradigma. «È sempre possibile, certo, governare come prima», scrive Durand, «organizzare le attività senza tener conto di coloro che partecipano alla vita della struttura (comunità religiosa, impresa, associazione, scuola, partito politico, ospedale...), nascondere loro le informazioni, decidere al loro posto e su di loro, non far circolare la parola, limitarli alle competenze che ci si attende da loro e poi rimproverarli di non assumersi delle responsabilità» (p. 6). Tuttavia, uno sguardo onesto sulla realtà deve farci osservare che «in molti ambiti i nostri rapporti di autorità sono diventati dei luoghi di sofferenza, di impedimenti, di sgretolamento della personalità e si accompagnano alla perdita del gusto per quello che si fa insieme. Gli uni si affaticano nel portare sulle loro spalle, fino allo stremo, il peso del mondo, la preoccupazione di “mandare avanti la baracca” e di preparare con angoscia il futuro. [...] Gli altri si sfiancano a rispondere a ingiunzioni contraddittorie, attenti a non superare certi limiti, ad evitare ogni creatività o iniziativa, a dimenticare, all’interno dell’organizzazione, quello che sono del tutto capaci di realizzare al di fuori di essa» (p. 7).

Di fronte a questa situazione non si può restare inerti. La governance – chiarisce l’autrice – deve essere ripensata non perché diventiamo meno efficaci, produttivi o obbedienti, «ma perché abbiamo di meglio da fare della nostra esistenza e delle nostre comunità che rovinarci la vita a vicenda. Se riteniamo che la persona si costruisce nelle e attraverso le sue relazioni, che essa ne vive così come ne muore, è urgente allora che riflettiamo sulla governance in modo diverso» (p. 8).

Ecco che, allora, le nuove forme di governance pensano a modi di fare gruppo meno traumatici, più giusti, che producono meno scarti. È possibile ritenere le nostre contraddizioni, i nostri rifiuti, le nostre divergenze, i nostri disaccordi come preziose occasioni per farci progredire e unirci insieme? Durand se lo chiede e nel corso del testo prova a dare una risposta.

I passaggi chiave scelti dall’autrice per la sua esposizione sono prendersi cura, promuovere, scegliere, ciascuno di questi analizzati in un confronto serrato col brano evangelico di Matteo, proponendo così tre prospettive differenti dello stesso brano.

Per quanto riguarda la prima, quella dedicata al prendersi cura, l’autrice sottolinea come il re della parabola, che riceve il rifiuto dei sudditi a recarsi al banchetto nuziale organizzato per il figlio, ritenga che la sua posizione nell’organigramma gli assicuri di essere seguito e compreso. È una credenza da parte sua, cioè una rappresentazione non sottoposta a domande né messa in discussione: «Quello che si crede su ciò che deve essere un capo e su come dovrebbe farsi obbedire costituisce un ostacolo invisibile sul percorso della governance» (p. 31). In realtà, evidenzia Durand, sicuro della sua leadership e della sua generosità, il re non si prende cura dell’invito. Anche se sembra che le usanze dell’epoca prevedessero un invito previo, ciò che il testo rivela è un modo di fare precipitoso e maldestro. In questo caso, la cattiva governance considera l’altro come se non fosse che un elemento tra gli altri, l’ingranaggio rimpiazzabile di un grande insieme. Al contrario, «prendersi cura delle persone significa permettere loro di comprendere in che cosa sono preziose e uniche. È solo su questa base che potranno in seguito impegnarsi in una relazione, in politica o nella spiritualità, impegnarsi a costruire un’umanità fondata sulla convinzione che ognuno conta così com’è» (p. 39).

Per quanto riguarda la dimensione del promuovere, Durand sottolinea come gli invitati della parabola lo erano al di fuori di ogni legame relazionale, non hanno visto perché rispondere «sì» e hanno detto «no». Sono stati attenti al prezzo che avrebbero dovuto pagare per questa promozione, fatta in modo unilaterale, al di fuori di ogni dialogo. In altre parole «il re rimane nella sua logica. Continua a promuovere, come si faceva una volta, a marce forzate» (p. 49). Alla luce di tale spunto, l’autrice invita a mettersi nei panni di quelli ai quali l’esistenza fa svolgere un ruolo che è stato creato senza di loro e per qualcun altro: «Tutte queste persone obbligate a conservare delle apparenze e una rappresentazione senza comprenderle e senza crederci. Tutti quelli che si domandano che cosa ci fanno ancora lì, in una vita che non è la loro e che non assomiglia a loro. Tutti quelli che sono troppo poveri o troppo paurosi per proporsi di dirlo e per tirarne le conseguenze» (p. 50). Al contrario di tale dinamica – scandisce l’autrice – la promozione serve precisamente a permettere a ognuno di riconoscere e di appropriarsi di ciò che appartiene solo a lui e che solo lui può donare liberamente al gruppo o alla comunità.

Nell’ultimo passaggio, quello dedicato al verbo scegliere, Durand oppone la concezione della governance del re della parabola delle nozze a quella del pastore che si occupa delle cento pecore di un’altra parabola. Quest’ultimo conosce ogni pecora personalmente e rischia di perdere tutto per andare a cercare l’unica pecora sperduta, lasciando le altre novantanove. Lo stretto legame che sussiste tra il pastore e le sue pecore, denuncia Durand, non sembra proprio esserci tra il re della parabola e i suoi sudditi. Questo caso, afferma l’autrice, è utile per stigmatizzare quella concezione secondo la quale il capo deve essere un eroe, capace di risolvere da solo e rapidamente tutti i problemi che gli si presentano. «Se questo tipo di governance può avere una sua pertinenza nelle situazioni di crisi (ma non è questo il caso), la perde quando i sistemi diventano complessi o quando le crisi si accumulano» (p. 67). La sfida allora è «sostenere quei dirigenti che sanno che ogni problema è complesso, che per comprendere le ramificazioni di qualsiasi questione tutte le parti del sistema devono essere invitate e poter partecipare e contribuire. Noi, in quanto discepoli, dobbiamo offrire ai nostri dirigenti tempo, pazienza e il nostro perdono; e dobbiamo rimboccarci le maniche e contribuire» (p. 68).

Prendersi cura delle singole persone, rispettare le diverse tempistiche di ciascuno e far sì che queste s’incontrino, associare al processo di decisione e condividere le scelte fatte, dialogare sapendo accettare il disaccordo in maniera matura: questi gli ingredienti principali di una governance adeguata alle urgenze del presente e alle istanze delle donne e degli uomini di questo tempo, che possiamo desumere, in conclusione, dal saggio di Durand.

Quest’ultima ci fornisce un percorso agile e significativo che arricchisce la riflessione sul potere della quale oggi si avverte il bisogno, nella politica, nella società, nella Chiesa.


A. Lanzieri, in Dialoghi 3/2023, 90-94

È possibile pensare a un altro tipo di organizzazione umana, che porti a un nuovo modo di governare? Certo che sì. E lo si può fare appoggiandosi persino a un brano del Vangelo: è l'avventura in cui ci trascina Marie Laure Durand, docente di antropologia all'Istituto superiore di formazione pedagogica di Montpellier e attiva all'Istituto di scienze e teologia delle religioni di Marsiglia.

Non è certamente, questo piccolo libro, un trattato sull'azione di governo, quanto piuttosto una riflessione su cosa significhi un'autorità dal volto umano, condotta a partire dalla parabola degli invitati alle nozze contenuta nel Vangelo di Matteo (Mt 22,1-14); una riflessione che spinge a mettere in discussione le tradizionali rappresentazioni del potere smontando immaginari collettivi.

Un saggio che mostra l'attualità del testo biblico rispetto alle relazioni sociali del nostro tempo. Una visione del tutto nuova della vita collettiva. Marie-Laure Durand cura un blog intitolato “L’etabli du sens” e ha pubblicato diversi libri.


In Adista 15/2023, 15