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Il Messia crocifisso
Maurice Bellet

Il Messia crocifisso

Scandalo e follia

Prezzo di copertina: Euro 18,00 Prezzo scontato: Euro 17,10
Collana: Meditazioni 270
ISBN: 978-88-399-3270-9
Formato: 11 x 20 cm
Pagine: 176
Titolo originale: Le Messie crucifié. Scandale et folie
© 2022

In breve

Bellet riflette sulla figura di Cristo e sul suo potere sovversivo, interrogandosi sul senso che può avere, per un mondo caotico come è la società contemporanea, far rivivere la nozione di fede.

Descrizione

Questa non è un’opera di esegesi, di teologia o di devozione. La posta in gioco è un’altra e risiede in quello spazio suggerito dall’espressione di Paolo: «Noi proclamiamo un Messia crocifisso, scandalo per i Giudei, follia per i pagani» (1 Cor 1,23).
Che senso ha questo sovvertimento, se lo pensiamo oggi? Sul crinale tra libero pensiero, teologia e spiritualità, Bellet medita sullo scandalo della Croce, che sovverte decisamente la violenza delle logiche umane fondamentali. In questi tempi travagliati il grande teologo francese riafferma la misura in cui la Croce smaschera la vera natura della manipolazione e dell’incitamento all’odio. In definitiva, fa di una mente critica, illuminata dal Mistero pasquale, la chiave per eccellenza per pensare e plasmare il mondo di domani.
Sì, si può salvare il mondo dal caos e l’essere umano dalla miseria se si ama Dio con la sola forza dello spirito critico.

Recensioni

>«Cosa c’è prima del tempo? Cosa vivremo dopo la morte? C’è un reale invisibile? Cosa succederà dopo la fine del mondo?». Maurice Bellet non temeva di affrontare questioni ardite, da teologo impertinente qual era, e nel suo ultimo libro, uscito postumo nel 2019 da Bayard e ora tradotto in Italia da Queriniana, intende riproporre la sfida del “sovvertimento cristiano” ai nostri contemporanei.

Morto nel 2018, Bellet è stato anche psicanalista e filosofo e nelle sue opere precedenti che l’hanno fatto conoscere al pubblico italiano, da La quarta ipotesi (Servitium 2003) a La contestazione evangelica (Qiqajon
2008), ha ragionato sul futuro del cristianesimo senza fare sconti a un’immagine legata al modello borghese e accondiscendente al potere politico. Per lui il fatto cristiano resta «scandalo per i giudei e follia per i pagani», come proclamava san Paolo scrivendo ai fedeli di Corinto.

Ed è proprio rifacendosi allo schema paolino della debolezza di Dio che egli cerca di rispondere alle domande radicali sul male, sul senso della storia e sulla redenzione possibile. Accettando anche le ipotesi più recenti della scienza sull’universo e sui mondi possibili, sempre cosciente però che «ci deve pur essere un fondamento di umanità, una sorgente, una presenza, una parola, per proteggerci dalla grande minaccia, il caos; non quello da cui può sorgere la creazione, ma quello in cui essa viene inghiottita».

Dinanzi ad acquisizioni scientifiche e filosofiche che ci parlano di multiverso e transumano, la teologia deve certo dialogare e non porsi in polemica preconcetta, ma altresì deve continuare a proclamare che c’è qualcosa che va oltre. Come dice proprio Bellet: «Darei mille miliardi di galassie per un giardino. Con un albero. E degli animali. E Adamo, lui e lei. Perché c’è più complessità vivente in questo giardino che in tutte quelle masse di materia sul punto di bruciare». E ancora: «Non c’è umanità possibile (e quindi pensiero, cultura, società) senza riferimento, cosciente o meno, a un assoluto». Si riaffaccia l’ipotesi del Dio debole, del Dio folle raccontato da Paolo, un Dio «che ci dà come sua immagine vivente un crocifisso». Ma pare l’unica ancor oggi possibile, per credenti e non, «gettati di fronte a ciò che per noi significa il grande male, l’abisso senza fondo della distruzione. Il fatto è che ci siamo dentro. Come non essere inorriditi?».

Dopo le “due esplosioni” della modernità che hanno proiettato l’uomo al centro dell’universo e che hanno avuto per protagonisti prima Copernico e Cartesio, poi Darwin e Freud, c’è una “terza esplosione” che si annuncia e che vede l’incapacità dell’uomo a dominare la sua potenza stessa: «È per questo – annota Bellet – che il mondo che egli si crea è ossessionato dal potere nero della distruzione, quella che arriva fino ad annientare l’umano nell’uomo. È il terrore atomico, la frantumazione mediatica del pensiero, la decomposizione del desiderio, la furia fanatica.

I filosofi che filosofavano sull’angoscia sono passati di moda. Ma forse prefiguravano ciò che sta accadendo: l’angoscia sta diventando come la sostanza psichica di questo mondo, ma in una rimozione vertiginosa». Parole che si pongono come rivelatrici a noi che ci troviamo immersi nella fatica se non nello sconforto dopo due anni di Covid e mesi di guerra in Ucraina. Sempre Bellet rincara la dose: «Appare una distanza che può essere di incomprensione e di odio, nell’altro come in noi stessi. È necessario superarla, creare lo spazio per l’incontro e il dialogo, per riunirsi intorno a compiti comuni, per dissolvere la guerra nel lavoro di pace. Ma questa bella impresa suscita delle resistenze feroci, che logorano ogni benevolenza e riportano nel luogo di guerra dove l’unica cosa che conta è distruggere l’avversario».

Lunga meditazione personale caratterizzata da slancio narrativo, l’opera di Bellet è tutt’altro che un saggio di teologia. È uno sguardo profondo sull’umano. Che per perseverare non può far altro che riferirsi a quel Dio debole descritto da Paolo, espressione della pura logica del dono e dell’agape, ancor oggi scandalo per i benpensanti. «In questo senso, il Vangelo è chiaramente antifamiliare, antinazionale, antitradizionale, antireligioso, non per distruggere ma per costruire diversamente». Ma anche i credenti sono chiamati a esplorare nuove strade senza replicare l’atteggiamento di giudei e pagani al tempo di Cristo, i quali non potevano sopportare l’idea di un Dio che soffre e che muore.

Già nel libro La quarta ipotesi si paragonava la situazione attuale del cristianesimo a quella delle prime comunità: lo slancio della novità dell’annuncio ebbe la meglio su ogni ripiegamento forzato verso verità preconfezionate o posizioni di potere. La meditazione qui si fa j’accuse: «La Chiesa cristiana si è messa a imitare la religione da cui era sorta: i suoi teologi hanno cominciato a filosofare il mistero, e anche i suoi mistici a gustare l’estasi delle alte sapienze estranee al Vangelo». Ma l’effetto ottenuto è proprio l’opposto, sicché «il Vangelo non ha più luogo» e tutto ciò che aveva un’apparenza di cultura cristiana si sta disfacendo. «O meglio, sta passando in quella che chiamiamo cultura, è il nostro patrimonio, la nostra storia; vi sono dei resti, è anche permesso di credervi ancora. Ma la potenza del Soffio è stata soffocata».

Di fronte al rischio di una «crocifissione del pensiero» occorre assumere un’altra prospettiva, quella di un pensiero che sia «il più rude, il più audace, il più rischioso, scandaloso e folle». Senza rinnegare affatto ciò che ha fatto la grandezza del cristianesimo, occorre guardare avanti. Ciò che si annuncia è allora la fine di un cristianesimo comodo «sufficientemente in sintonia con i bisogni spirituali dell’uomo contemporaneo». Nella visione di un Dio debole e misericordioso ritorna quel Vangelo inaudito che solo può affrontare la marea nera del mondo contemporaneo.


R. Righetto, in Avvenire 17 giugno 2022