A quattro anni dall'originale in lingua inglese, esce anche in lingua italiana questo saggio di Matthew D.C. Larsen. Il volume consta di sette capitoli preceduti da una breve prefazione ricca di ringraziamenti e seguiti da un epilogo nel quale i temi trattati vengono richiamati per sommi capi e rilanciati per eventuali studi futuri.
Nel primo capitolo l'A. precisa gli obiettivi del suo studio e mostra quali categorie «moderne» inficiano l'accoglienza dei testi sacri precludendone la comprensione. Già nel parlare di autore o di scrittore occorre prudenza e precisione; soprattutto non dobbiamo considerare i testi come finiti, compiuti e immutabili (cf. p. 12). La fluidità dei testi è presentata come un dato di fatto imprescindibile. Si può pensare di trovarsi davanti a un mondo disordinato e in continua evoluzione, ma ciò va visto come una ricchezza.
La tesi di lavoro è così esposta: «Nel I o II secolo i lettori dei testi che oggi chiamiamo Vangelo secondo Matteo e Vangelo secondo Marco non li avrebbero visti come due libri distinti, scritti da due diversi autori: li avrebbero considerati, invece, come una stessa opera dal finale aperto, incompiuta e vivente» (p. 15).
I concetti chiave di hypomnemata o commentarii vengono introdotti e spiegati nel secondo capitolo. Attraverso la presentazione di diversi personaggi dell'antichità (Cicerone, Cesare, Plinio, Platone, Filone, Plutarco, Galeno e altri) si mostra come fosse frequente usare appunti e testi non autorati e comunque incompiuti sia come strumento per eventuali scritti o discorsi più strutturati, sia per lasciare i testi aperti ad altri che potessero proseguire la riflessione. Poteva evidentemente succedere che qualcuno si impossessasse di riflessioni altrui per spacciarle come proprie; a ciò simpaticamente risponde così l'A. avvalendosi di Marziale, un contemporaneo di Plinio: «Chiunque reciti i versi altrui per trarne fama non il libro deve comprare, ma il silenzio [di chi lo ha prodotto]» (p. 36).
Nel terzo capitolo l’attenzione si sposta su cosa significasse nell'antichità pubblicare uno scritto. Opportuna la precisazione iniziale di non cadere nell'anacronismo di proiettare il pensiero moderno su un quadro storico molto differente. Si parla di pubblicazione accidentale valutando «come in passato testualità e autorialità funzionassero in modo ben diverso da oggi» (p. 66). Con la testimonianza di alcuni autori antichi già visti nel secondo capitolo e di altri (Diodoro Siculo, Orazio, Arriano e altri) si mostra come fosse abituale considerare il testo non finito, bensì fluido e in continua revisione. Nel guardare i lettori di questi scritti l'A. parla di readership,un fattore tutt'altro che secondario all'idea di pubblicazione.
Il quarto capitolo, anche con l'ausilio di riproduzione di fotografie e di grafici, mostra come il controllo autoriale, non essendo così rigido e gestibile, potesse generare una varietà di versioni della stessa opera. Gli esempi più importanti portati dall'A. sono quelli della Regola della Comunità di Qumran e la biblioteca di Filodemo a Ercolano. Tante differenze, ma anche tante somiglianze tant'è che «pur differenziandosi tra loro per molti aspetti, indicano che la pluralità testuale era un aspetto abituale della cultura testuale» (p. 123). Eppure, in questa molteplicità la dinamica seguita era che «l'eventuale modifica di un testo tendeva a farlo passare da funzionale a formale, da non attribuito ad attribuito, da fluido a più stabile – e mai in senso contrario» (p. 126).
Dal quinto al settimo capitolo si entra nello specifico del Nuovo Testamento, in particolare avendo come oggetto quello che, secondo l'A., impropriamente chiamiamo «Vangelo secondo Marco» e come questo abbia contribuito al formarsi del «Vangelo secondo Matteo». Lo scopo è quello di «ripensare il modo in cui parlare dei testi dei vangeli prima che si parlasse di autori, di libri e di pubblicazione» (p. 128). Per l'A. quello che convenzionalmente chiamiamo Marco non ha inventato un genere letterario, né ha prodotto un'antica biografia su Gesù (Bios)e nemmeno una monografia storica. Si accenna anche a come chi ha scritto il «Vangelo secondo Luca» abbia interagito con la produzione marciana evidenziandone però la scarsità: «Per l'estensore del prologo [di Luca] i precedenti tentativi di scrivere la storia di Gesù si erano rivelati fallimentari» (p. 139). Portando a favore delle proprie tesi autori antichi, o denigrandoli quando non sostengono le proposte dell'A., l'indagine procede fino ad affermare che «più che la stesura di un libro nuovo e distinto, il Vangelo secondo Matteo sembra colmare le lacune, oltre che proseguire e "finire" il vangelo rinvenibile nel testo che ora chiamiamo Vangelo secondo Marco»(p. 173).
Non tutto convince e l'A. stesso sembra esserne conscio tanto da fornire i criteri (ripetizioni, imbarazzo e ambiguità) adoperati da Matteo per non includere nel suo testo ben otto racconti marciani. Soprattutto nell'analisi di diversi passi evangelici le proposte dell'A. non persuadono. L'idea esposta in questo volume non la riteniamo plausibile; ci può parzialmente convincere se applicata a una parte dei testi (per esempio sulle diverse finali di Marco). Se fosse vero quanto sostenuto dall' A. ci dovremmo aspettare se non altro una quantità e una diversità di manoscritti del «Vangelo secondo Marco» che al momento non possediamo. Inoltre, l'A. sembra sminuire l'azione degli autori sacri in contrasto con quanto affermato da Dei verbum 18 e 19 e arriva anche a cancellare molto rapidamente secoli di lavoro riguardanti l'opera redazionale: «Credo sia ovvio a questo punto che, nel mio approccio, la critica della redazione non possa trovare agevolmente posto» (p. 174 e ribadito a p. 236).
In definitiva, apprezziamo il lavoro svolto sugli autori antichi meno l'applicazione ai vangeli. Parafrasando la nota 12 a p. 166 concludiamo dicendo che valutiamo ottimo l'intento di «evidenziare le problematiche inerenti la moderna trattazione accademica», meno soddisfacente l'elaborazione di «una comprensione nuova di come interagiscono fra loro le tradizioni testuali».
M. Giordano, in
Rivista di Teologia dell’Evangelizzazione 2/2023, 497-499