L'A.,neozelandese, è docente di Filosofia a Melbourne, inAustralia; in questo breve ed essenziale saggio egli mette a tema un argomento classico e da sempre al centro dell'interesse sia dei filosofi che dei teologi: la religione. Elaborare una filosofia della religione significa infatti dare credito a un'area del sapere, quella religiosa, di cui si riconosce l'autentica portata antropologica, così come riconoscere che l'esperienza religiosa, in quanto autenticamente umana, sia doverosamente oggetto di indagine anche da parte della filosofia: tutto ciò non è così scontato. Sia pure in una forma qui solo accennata, risulta allora evidente, e del tutto condivisibile, la polemica contro tutte quelle posizioni che relegano piuttosto il sapere teologico a un'area di secondo piano, ove più che la ragione opererebbero le emozioni e i sentimenti. Oltre poi qualsiasi ingenua separazione del passato, magari nefasta, di fede e ragione è chiaro inoltre per l'A. che esse, la fede e la ragione, trovano una fondata unità perché le questioni loro tipiche si intrecciano inevitabilmente con riflessi continui sia per la filosofia che per la teologia: è ciò che Bayne mette particolarmente in rilievo in questa sua "breve introduzione", come recita il sottotitolo, capace di dare alcune coordinate essenziali dei capitoli classici propri di questa disciplina.
Superata dunque l'antica domanda di Tertulliano («che cosa ha a che fare Atene con Gerusalemme?», capitolo 1), si passa, nel capitolo successivo, all'analisi del tema centrale di ogni religione: quello del concetto di Dio. Riferendosi deliberatamente nello studio alla tradizione occidentale, la posizione di riferimento è per lo più quella teista, per la quale Dio è considerato «come un ente personale, partecipe di una relazione costante con l'umanità» (p. 14). La ragione si incarica allora di delineare i tratti caratteristici, non contraddittori, del teismo, lasciando alla religione il compito di delineare l'identità di Dio in forza dì una rivelazione.
Ecco dunque i temi classici della teologia naturale con i quali l'A. si confronta: quello della perfezione divina, della creazione, dell'onniscienza, che sembrerebbe confliggere con la libertà umana, e quello dell'essere Dio oggetto di adorazione.
Segue, al terzo capitolo, l'argomento storicamente centrale della filosofia della religione, ossia la questione dell'esistenza di Dio che viene presentata esponendo le prospettive classiche proposte dal pensiero occidentale, con una riflessione critica. La prova ontologica è appena accennata; quella cosmologica, rispetto a un tempo, risente di obiezioni legate anche alla fisica contemporanea. Più spazio viene dato a quella della finalità o del progetto intelligente, in difficoltà dopo Darwin e tuttavia, kantianamente, ancora degna di rispetto, benché per l'A. la prospettiva del fine di una vita intelligente sarebbe argomentabile anche senza Dio, con l'ipotesi dei “multiuniversi”; tra di loro, infiniti, uno avrebbe finemente regolato le costanti fisiche rendendo possibile il fenomeno della vita: il nostro. Se anche fosse plausibile la tesi del disegno intelligente, non per questo risulterebbe perciò necessaria una causa personale intelligente: «l'argomento del progetto non ci conduce fino al Dio del teismo» (p. 55).
Bayne si mantiene in effetti scettico circa l'utilità oggi di una teologia naturale; il suo eventuale fallimento garantirebbe in positivo la libertà della scelta perché, ad esempio, «se l'esistenza di Dio fosse dimostrata, non ci sarebbe spazio per la fede» (p. 65). Del resto (capitolo 4) è legittimo parlare anche di un nascondimento di Dio non solo legato alle ovvie nostre carenze cognitive, senza con ciò doverne trarre conclusioni affrettate. In tal senso la morale e la fede guadagnerebbero nei termini di virtuosità, a patto che si rinunci a considerare vero solo ciò che risulta dimostrato in maniera incontrovertibile dalla ragione scientifica, come se la fede richieda una rinuncia tout court della razionalità. Ma la questione forte viene nel capitolo 5 che tratta del problema del male, la cui esistenza sarebbe incompatibile con l'esistenza di Dio, secondo la celebre posizione epicurea ora richiamata. Si apre così la questione della teodicea che mette a tema, nel testo in esame, riferimenti classici quali: le leggi di natura, il libero arbitrio, i mali orribili.
Se ogni civiltà umana è stata religiosa, allora ogni uomo è anche homo religiosus. Partendo da questo dato di fatto si può indagare (capitolo 6) sull'autenticità di tale condizione. Ritroviamo così le posizioni critiche di Hume e di Freud, che considerano la fede come un evocare il Dio della speranza e il Dio della giustizia, necessario perché la giustizia sia l'ultima parola. Sono spiegazioni, come si vede, che destabilizzano la fede, facendo di Dio il prodotto umano di meccanismi semplicemente naturali, ma esse possono essere confutate.
Altro argomento tipicamente filosofico ha a che fare con la questione del linguaggio, messo a tema nel settimo capitolo. Come parlare correttamente di Dio? La via di uscita rispettosa del mistero, ma anche contro la rigidità dei verificazionisti e di ogni teologia negativa, è, come si sa, quella dell'analogia usata, ad esempio, dal linguaggio biblico.
Anche la questione dell'aldilà, con la quale il nono capitolo conclude il saggio, è carica di interesse per il filosofo, almeno del passato, che ha cercato, da Platone in poi, di porsi l'interrogativo: «L'idea di un al di là è intelligibile? Siamo davvero il tipo di esseri che potrebbero sopravvivere alla morte? E se si, come?» (p. 133).
Riflettendo su tutto ciò, oggi la filosofia tende a superare il dualismo platonico/cartesiano anima-corpo, in passato assai sfruttato, anche dalla teologia cristiana, per spiegare il dopo-morte. D'altro canto è pur vero che l'antropologia biblica non è dualista. La sfida è ancor più radicale se mettiamo a tema l'annunciata resurrezione finale degli uomini, per la quale Bayne presenta alcune spiegazioni possibili, talune piuttosto originali (come quella del "trafugamento dei corpi").
Le posizioni dell'A. sono sfumate e non emergono nel testo, senon qua e là; del resto l'obiettivo era qui solo quello di una introduzione, ponendo problemi e questioni. Il lettore si renderà conto, infatti, di come i contenuti propri della teologia e della spiritualità pongano anche questioni di tipo filosofico che chiedono una onestà intellettuale, oltre ogni ingenua caduta fideistica. Non si può che concordare; il credente sa bene infatti che ogni possibile scelta di fede chiede di mettere ingioco sia l'affidamento fiduciale che la ricerca intellettuale, e che essi sono aiutati dalla teologia e dalla filosofia capaci, nel loro operare insieme, di rendere intellettualmente onesto e antropologicamente completo e credibile l'atto credente.
A. Sartori, in
Studia Patavina 2/2022, 385-387