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Figlie e figli di Dio
Luca Castiglioni

Figlie e figli di Dio

Uguaglianza battesimale e differenza sessuale

Prezzo di copertina: Euro 37,00 Prezzo scontato: Euro 35,15
Collana: Biblioteca di teologia contemporanea 215
ISBN: 978-88-399-3615-8
Formato: 15,7 x 23 cm
Pagine: 640
Titolo originale: Filles et fils de Dieu. Égalité baptismale et différence sexuelle
© 2023

In breve

Prefazione di Christoph Theobald

«Troppi modi di fare e argomentare di tipo clericale trasformano l’uguaglianza battesimale in un’affermazione astratta e vana, senza che gli uomini di Chiesa si rendano conto che sono ormai diventati inascoltabili per la stragrande maggioranza delle donne cristiane, minacciando gravemente la credibilità della Chiesa» (Christoph Theobald).

– Uno studio altamente innovativo sull’uguaglianza tra donne e uomini in seno alla Chiesa cattolica.
– Un tema tanto delicato quanto urgente: pensare l’antropologia cristiana nella forma della dualità.
– Una trattazione di ampio respiro, realizzata con coraggio, onestà intellettuale e grande sensibilità.

Descrizione

Uno stesso battesimo per uomini e donne, un solo Dio, una sola fede. Eppure, la parte maschile della Chiesa ha spesso paura delle voci femminili, che nell’ultimo tratto della storia occidentale si sono levate come non mai. Sono state ascoltate fino in fondo? Che cosa la Chiesa ha compreso (o creduto di comprendere) del loro grido? La sua reazione è all’altezza delle questioni poste ed è espressiva della novità evangelica? A partire dalla situazione attuale, su quali sentieri possiamo proseguire?
Con ampiezza di vedute e spirito di discernimento, Luca Castiglioni discute qui la nozione di genere: ha una sua collocazione in teologia?
Alla luce delle interpretazioni storiche, dopo un’analisi sul modo in cui la Chiesa ha concepito la condizione delle donne e la loro presa di parola, Castiglioni esplora le risorse della fede cristiana, dai testi della Genesi e del Cantico dei cantici alle lettere di Paolo e ai racconti evangelici delle relazioni di Gesù con donne e uomini. Emergono allora sfide capitali per la Chiesa, tra cui l’accesso ai ministeri ordinati per le donne.

Recensioni

Il libro rielabora la tesi dottorale che l’Autore ha sostenuto a Parigi sotto la guida di Christoph Theobald, che ne offre un’elogiativa Prefazione. Lavoro ampio e coraggioso, rilevante per il dibattito teologico e il discernimento ecclesiale, opera che suscita apprezzamenti e perplessità. L’intento è una nuova comprensione del nodo antropologicamente complesso e pastoralmente sensibile di uguaglianza e differenza sessuale. In positivo dialogo con la modernità e franca autocritica ecclesiale, l’Autore non mira solo al pensiero critico della differenza, ma anche al superamento pratico delle disuguaglianze: consapevole della tesi contraria, ritiene che l’urgenza attuale non stia nel chiarimento della distinzione, ma nell’eliminazione della sperequazione, due obiettivi in realtà inseparabili.

L’originalità della proposta individua nell’uguaglianza battesimale la chiave interpretativa più capace di scontare i retaggi patriarcali che gravano sul pensiero cristiano, smarcandosi da deduzioni trinitarie e induzioni naturalistiche, enfasi spiritualistiche e riduzioni biologistiche.

L’opera si articola in tre parti. La prima, dedicata alla ricezione storica del tema, ascolta la voce delle donne e della Chiesa in un serrato confronto fra “teologia della donna” e “teologie femministe”. La seconda accosta il tema sotto il profilo biblico, raccogliendo contribuiti esegetici innovativi e stimolanti. La terza espone possibili ricadute per un’antropologia e un’ecclesiologia più inclusive. I singoli capitoli offrono in uno spazio discreto le coordinate del dibattito e il meglio della letteratura specialistica. I temi affrontati richiederebbero ricerche dottorali distinte, ma la volontà di argomentare la tesi principale prevale sull’impegno analitico, peraltro con notevole efficacia. Lo stile argomentativo si caratterizza per chiarezza e franchezza, unitamente ad uno stile espositivo limpido e scorrevole, accessibile anche a lettori non specialisti.

La disamina storica su uguaglianza e differenza giunge alla tesi che la tradizionale nominazione della differenza sessuale, con relativa ripartizione di qualità psicologiche e ruoli sociali, sia oggi criticamente insostenibile e praticamente inutilizzabile. La rappresentazione dei sessi sotto il segno dell’attivo e del passivo risulterebbe troppo funzionale a giudizi di valore e a logiche di potere da superare. Il suo peso inerziale è talmente difficile da smaltire da segnare persino il pensiero femminista che ne prende le distanze. E la codificazione ecclesiale della donna vergine, sposa e madre mortificherebbe in fondo la singolarità e l’ulteriorità di ogni donna. Tutto il discorso classico sul femminile, al netto delle comprensibili ragioni storico-culturali, sarebbe pesantemente segnato da astrazioni e apriorismi, preconcetti e pregiudizi. Di fatto, a tutti i livelli, l’affermazione teorica dell’uguaglianza non correggerebbe la disuguaglianza pratica. Nella Chiesa, la subordinazione della donna sarebbe stata perfino rinforzata sul piano teorico e dottrinale. La stessa idea di uguaglianza viene perlopiù compresa come neutralità e questa assimilata all’universalità maschile: difficile uscire da un orizzonte androcentrico.

Sarebbe necessario, per colmare il gap culturale della Chiesa, ascoltare con più cura il pensiero femminista, che per quanto non rappresentativo di tutte le donne, più spesso pratico che critico, in ogni caso disomogeneo, è tuttavia molto stimolante: servirebbe a smaschilizzare e declericalizzare la vita della Chiesa nei suoi assetti istituzionali e decisionali. Né l’alto magistero di Giovanni Paolo II con la sua feconda teologia del corpo, né l’elevata teologia di Balthasar con la sua fondazione cristologico-trinitaria, sarebbero all’altezza di tale revisione: proporrebbero piuttosto una “pseudo-soluzione”, incapace di riscattare il femminile e di valorizzare il maschile.

L’idea ricorrente nella parte biblica, funzionale alla tesi dell’inopportunità di nominare la differenza, è che la Bibbia non si impegna sul tema. Mettendo fra parentesi come la Scrittura valorizzi tutto l’alfabeto affettivo come grammatica della rivelazione, Castiglioni pone piuttosto in primo piano l’idea di uguaglianza battesimale, chiarendo opportunamente che non si tratta di uguaglianza generica ma appunto battesimale, quindi capace di liberare le differenze dall’interpretazione gerarchica e indirizzarle alla logica comunionale. In questo quadro, l’Autore si avvale di quella letteratura femminista che attenua il peso rivelativo di tanta Scrittura a motivo delle coordinate culturali del tempo, non senza il rischio di sostituirle con quelle del nostro tempo. Come avviene nell’accredito un po’ rapido delle pur ricche riflessioni di Wénin, che interpretando in maniera “evolutiva” i testi di Genesi, estenua sottilmente la coscienza credente circa lo stato originario e il peccato originale.

Nell’ultima parte, la volontà di “farla finita” con le definizioni essenzialistiche del maschile e del femminile raccomanda un approccio meno drastico nei confronti del “Gender”. Il punto di contatto è serenamente individuabile nell’accoglienza del valore euristico di tale categoria, che porta, oltre ogni riduzionismo, ad esaminare il peso della cultura nella costruzione dell’identità. Qua e là si nota una certa simpatia per l’inclinazione generalmente genderista ad alleggerire il peso del biologico, senza che venga negato il valore simbolico dei corpi. Pagine significative sono quelle dedicate al processo di identificazione sessuale e al dialogo fra uomini e donne.

Il lavoro si conclude con alcune prospettive ecclesiologiche: all’idea fondamentale di inclusione, seguono aperture in direzione del diaconato femminile, e prudentemente, del sacerdozio femminile: l’Autore non vi vede ostacoli.

Un paio di perplessità di metodo e di merito. Le piccole monografie di ogni capitolo, oneste nell’esposizione, risultano sbrigative nell’interpretazione: frettoloso è sia l’accredito del pensiero delle donne che il discredito del pensiero della Chiesa. Che la qualità spirituale di un pontefice come Giovanni Paolo II o la qualità intellettuale di un teologo come Balthasar non facciano la differenza, è quantomeno sospetto: sembra ermeneuticamente difficile ritenere che la storia del pensiero cristiano sull’uomo e la donna sia la storia di un errore. Neanche minimamente verosimile, ad es., che grandi autori e autrici ascritti sommariamente alla “teologia della donna” riflettano sulla base di pochi passi biblici, o non tengano conto che la donna non è solo madre. Trasversale ed eccessivo, ma in linea con larga parte del pensiero femminista, è poi il timore che la nominazione della differenza consegua la mortificazione dell’uguaglianza, ma nominare la distinzione non è necessariamente funzionale all’immobilismo ecclesiale e pastorale. Tale timore conduce a squalificare troppe categorie tradizionali con una precomprensione negativa che non corrisponde all’intenzionalità degli autori che le impiegano. E spinge a confermare i refrain del pensiero femminista ispirati da un’ermeneutica del sospetto: il naturale sarebbe sempre naturalistico e il trinitario deduttivistico, la ricerca dell’essenziale essenzialistica e il tipico stereotipico. Considerando la condizione di disagio del nostro tempo nel campo delle relazioni affettive e sessuali, non si sente proprio il bisogno di silenziale il concreto della differenza di genere. È urgente invece una sua rialfabetizzazione. Tanta recente letteratura va in questa direzione.


R. Carelli, in Salesianum 3/2024, 627-620

«E Dio creò l’uomo a sua immagine; […] maschio e femmina li creò» (Gen 1,27). Fin dai primi passi del racconto biblico donna e uomo vengono legati alla figura divina, nella loro differenza come pure nella loro uguaglianza. Ed è proprio tale nucleo, tra diversità e uguaglianza, che l’A. in questo copioso saggio si pone l’obiettivo di prendere in esame. Attraverso un’attenta metodologia teologica, egli indaga la relazione tra le due figure all’interno della realtà ecclesiale e della società. Rispetto alla riflessione teologica classica, il fondamento su cui poggia la sua ricerca non ricade su una definizione della differenza sessuale ricavata dai primi capitoli del racconto genesiaco, ma su quell’elemento fondativo e fondamentale per l’esperienza cristiana che è l’uguaglianza battesimale. Tale principio riconosce ai singoli l’autorità del parlare di sé all’interno della comunità ecclesiale.

Il volume ha una struttura tripartita. La prima sezione ricostruisce le trasformazioni della società occidentale negli ultimi due secoli, illustrando i vari movimenti femministi che si sono succeduti e le istanze che hanno fatto affiorare. Vengono prese poi in considerazione l’antropologia cristiana classica e la riflessione su maschile e femminile che ha avuto luogo all’interno del Concilio Vaticano II. Attraverso questo status quaestionis vengono evocate, da un lato, la «voce delle donne», che oggi come ieri invoca un maggiore riconoscimento e uguaglianza sia all’interno della Chiesa sia nella società e, dall’altro, la «voce della Chiesa».

Se la relazione maschio-femmina e la pari dignità spirituale sono riscontrabili dalla letteratura patristica fino ad oggi, costruire l’idea di umano a partire dai princìpi della differenza sessuale e dell’uguaglianza battesimale sembra essere un percorso non ancora intrapreso, ma che potrebbe rivelare una forma di uguaglianza che non comporta la subordinazione. Nello specifico, sono tre le acquisizioni fondamentali della prima parte: la richiesta di emancipazione e di riconoscimento del ruolo femminile che scuote la Chiesa al suo interno; la risoluzione della problematica che deve partire dal reale e deve trovare una risposta comune e condivisa; risoluzione che va rinvenuta nel messaggio originario del cristianesimo, all’interno della sua storia e delle sue radici, perché «la forza che libera le donne è intrinseca al cristianesimo» (p. 244).

Alla prima parte, che manifesta le richieste e le sfide rivolte alla Chiesa contemporanea dalle donne, risponde la seconda sezione del volume che, attraverso un articolato percorso biblico, elabora una teologia dell’uguaglianza battesimale fondata sul rapporto che Gesù intratteneva con le donne e gli uomini che incontrava. Ciò al fine di ripensare la differenza sessuale alla luce delle istanze cristologiche ed escatologiche.

Di particolare interesse risulta la lettura delle lettere paoline, che mostra come in esse non si parli molto della differenza sessuale se non in termini di carisma. Non è infatti possibile ritrovare in questi testi l’attribuzione di un ruolo comunitario a partire dal dato della sessualità biologica. Il fulcro della riflessione paolina sulla differenza di genere (cfr Gal 3,28; 1 Cor 7,17-24) è che non vi è una differenza rispetto alla ricezione della grazia, e di conseguenza questa può essere intesa come un carisma liberamente esercitato allo scopo dell’edi­ficazione del Corpo di Cristo. Detto altrimenti, ciò che fa la differenza non è il fatto di essere donne o uomini, ma la fede. Nella conclusione di questa sezione, l’A. fa notare come sia nel canone anticotestamentario sia in quello neotestamentario la differenza sessuale venga intesa come una forma della relazionalità umana che si esprime attraverso la libertà della storia e delle biografie.

La parte conclusiva del volume si presenta con un carattere propositivo, al fine di costruire un’antropologia e un’ecclesiologia inclusive. Ci sono due poli: da un lato, la voce delle donne; dall’altro, un’antropologia sessuale di matrice classica, che prevede una pari dignità spirituale, ma una subordinazione naturale. L’uguaglianza battesimale viene proposta come strumento per valorizzare i carismi, la ministerialità e la sinodalità a partire dall’immagine di una Chiesa in uscita, e in questo modo porterebbe a un maggiore riconoscimento del ruolo del femminile all’interno della realtà ecclesiale.


M. Vicentini, in La Civiltà Cattolica 4169 (2/16 marzo 2024), 506-507

Non si può che essere grati a questo corposo volume, per almeno tre motivi. Il primo è la chiarezza con cui si affrontano questioni oggi problematiche, senza cedere a soluzioni semplicistiche, né abbracciare posture ideologiche purtroppo diffuse anche in molta letteratura e divulgazione ecclesiale. Il secondo è l'offerta di percorsi possibili per affrontare questioni sicuramente complesse, mostrando al tempo stesso che la fedeltà al Vangelo non può che passare dall'ascolto della fede vissuta dagli uomini e dalle donne. La terza, forse la più importante, è il fare proprio l'invito di molte teologhe degli ultimi decenni a «elaborare un discorso sulle donne e gli uomini che abbia al centro il loro rapporto concreto, senza dissimulare la carica di conflittualità che esso nasconde», mostrando come la violenza possa essere invece un esito perverso anche della negazione (sia della concretezza dei rapporti, sia della loro carica conflittuale).

Come sottolinea Christoph Theobald nella prefazione, questo testo nasce come tesi di dottorato, quindi nello spazio aperto della ricerca, su un tema che è attualmente attraversato dalla scissione fra la "teologia della donna", sostenuta soprattutto dal magistero e in particolare da quello di Giovanni Paolo II, e la grande varietà delle teologie femministe che in questa impostazione non si riconoscono e rischiano spesso di rimanere inascoltate.

La prima parte del volume è una miniera di materiali, preziosa sia per la quantità di autori e autrici citate, sia per le sintesi e i quadri che sono offerti, insieme alla possibilità di comprendere logiche e posizioni all'interno di una storia intricata che coinvolge la vita credente ben al di là delle polarizzazioni semplificatorie. La seconda parte offre una rilettura biblica focalizzata sulla questione dell'uguaglianza battesimale e della differenza sessuale con molti spunti di interesse, mentre la terza parte, più ecclesiologica e antropologica, introduce – tra le altre questioni – anche quella che potremmo definire «Ripensare la maschilità» come dovere e compito, anche teologici.


M. Ronconi, in Jesus 3/2024, 90-91

Un solo Dio, una sola fede e uniti dallo stesso battesimo: eppure la parte maschile della Chiesa pare aver paura delle voci femminili. Dopo un'analisi sul modo in cui la Chiesa ha concepito la condizione delle donne, l'autore riflette sulle risorse della fede cristiana, dalla Genesi al Cantico dei cantici, dalle lettere di Paolo ai racconti evangelici delle relazioni di Gesù con donne e uomini. Si apre così una serie di sfide per la Chiesa, come la diffusione di forme ministeriali femminili.


In Jesus 6/2023, 93

Uomini e donne, donne e uomini. Senza gerarchie di fronte al Padre, una sola fede, un solo Battesimo. Uguali nella prospettiva della dignità umana nel cuore del mistero di Dio, figlie e figli dello stesso Padre. Questo secondo la teologia dell’uguaglianza battesimale in una prospettiva cristologica ed escatologica.

Nella realtà, invece, le cose come sappiamo, sono andate diversamente. Soprattutto nella Chiesa. Agli uomini tutto il potere, alle donne solo posizioni subordinate. Un regalo – si fa per dire – della differenza sessuale, quella meraviglia che secondo l’antropologia cristiana nasconde la verità della creazione stessa ma che nei fatti si è tradotta in un fattore di discriminazione se non, come provano ancora le tante violenze di genere che segnano la vita sociale e familiare, in un fattore di pesante svantaggio.

Ma questo, nella Chiesa in uscita che vuole eliminare tutti i “posti di dogana” e che è chiamata a fare chiarezza nei rapporti e nelle relazioni prima di tutto al suo interno, può ancora essere tollerato? Non è arrivato il momento di “liberare le donne” dalla condizione di serie B in cui spesso sono state relegate, anche con la giustificazione implicita ma potente della diversità dei carismi e dei ruoli?

Sono le domande a cui risponde don Luca Castiglioni, docente di teologia fondamentale presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale a Milano, autore di un saggio complesso e originale che già nel titolo Figlie e figli di Dio. Uguaglianza battesimale e differenza sessuale (vedi box in questa pagina), rileva tutto il suo contenuto dirompente. Nell’ampio testo, oltre 600 pagine, il teologo affronta tra tanti altri temi, anche la questione gender, a cui ha accennato anche il Papa venerdì in Ungheria. Importante, spiega, per approfondire oggi il problema del maschile e del femminile. E, in ogni caso, uno scoglio che non si può aggirare se si vuole comprendere davvero la difficoltà delle relazioni tra donne e uomini nella Chiesa, nella famiglia, nella società.

Perché in un dibattito sulla parità di genere in ambito ecclesiale è importante affrontare la “questione gender”?

Prima ancora è importante intendersi sul senso di questa espressione, largamente impiegata ma piuttosto fumosa. Occorre distinguere fra l’accezione decostruttiva e neutralizzante dell’“ideologia gender” – che svincola l’identità sessuale dal valore e dal messaggio dei corpi maschile e femminile – e la prospettiva che impiega il genere/gender quale strumento di analisi e di interpretazione sociologica e filosofica.

Mentre la prima accezione è inaccettabile – come appena ribadito dal Papa in Ungheria – nella seconda la categoria euristica di gender aiuta a evidenziare il modo in cui la cultura incide sulla costruzione dell’identità sessuale e delle relazioni sessuate, superando così il determinismo biologico. È in tal senso che il gender assume opportuno valore critico, stigmatizzando le configurazioni insostenibili nel rapporto fra i generi, nella Chiesa e nella società, entrambe impegnate nella costruzione di rapporti paritari.

Il dibattito sul gender conosce da sempre le reazioni spaventate, se non indignate, da parte di alcuni settori ecclesiali. Un atteggiamento che rivela una difficoltà di fondo ad accettare le sfide della modernità da parte della Chiesa?

La critica mette in evidenza ciò che prima era invisibile perché era assunto come ovvio, specialmente per quanto concerne i rapporti fra donne e uomini. La modernità ha radicalmente contestato gli stereotipi di ruolo, il che ha sospinto a dismettere, anzi a smantellare talune impostazioni nelle relazioni fra i sessi vantaggiose per le donne, per riconfigurarle in modo più equo. Si tratta di un cammino di verità esigente, che mette a nudo e impone cambiamenti maggiori: inevitabile che faccia tremare, dunque non stupiscono né lo spavento, né le resistenze, anche nella Chiesa. Il fatto è che quest’ultima dispone di tutto ciò che occorre per sormontare tali paure, anzi per accogliere le sfide quali “provocazioni” che attivano potenzialità ancora non pienamente espresse, ma presenti da sempre nel tesoro della sua Tradizione, specialmente nel Nuovo Testamento.

Ma questo disagio non nasconde anche il timore che la decostruzione dei modelli classici di maschilità e di femminilità apra la strada a quella presunta autodeterminazione assoluta vista anche come scomoda espressione di libertà di coscienza?

Sì, questo timore esiste, ma è impossibile risolvere il problema di cui esso è sintomo riproponendo – magari in termini nostalgici o di “riconquista” di terreni perduti – modelli di femminilità e di maschilità che hanno mostrato tutti i loro limiti. Il punto cruciale, evocato nella domanda, è la tendenza a fraintendere la libertà di coscienza concependola come una realtà svincolata da qualsivoglia legame e riferimento alla creazione e al Creatore e normata, alla fin fine, solo dal proprio sentimento psichico: “Sono quello che mi sento di essere, a prescindere dal corpo” (che ho e che sono). Ora, nessuno deve invadere quel “sacrario” del rapporto fra la persona e Dio che è la coscienza (la Chiesa lo afferma senza esitazione), ma ciò non esime ogni donna e ogni uomo dal dovere di istruirla, nel confronto con la società, con gli altri, con l’Altro e – per i cristiani – con il Vangelo.

La scelta di “brandire” la libertà personale come arma per imporre il proprio inoppugnabile sentire blocca il dialogo sociale e la ricerca del “di più”: di ciò che è meglio per tutti, irriducibile al meglio secondo me soltanto.

Nel suo saggio lei sostiene che distinguere tra sex e gender potrebbe invece essere utile per un rinnovamento teologico sull’umano e potrebbe “onorare maggiormente la singolarità di ogni uomo e di ogni donna”. Può aiutarci a capire meglio?

La distinzione fra elemento biologico ed elemento culturale nella costruzione dell’identità sessuale è determinante, così come è decisiva la necessità di non contrapporli, ma di comporli. Il punto del saggio è la valorizzazione della realtà cristiana che meglio permette di pensare l’uguaglianza degli esseri umani e le loro differenze: il battesimo, che rende “nuove creature”. Il fatto di essere “membra del corpo di Cristo”, “immersi” nella realtà definitiva della storia, che è la sua risurrezione, rende i credenti – segno per l’umanità intera – uguali in dignità agli occhi di Dio e, insieme, permette di concepire le differenze (compresa quella sessuale) non in termini gerarchici o conflittuali, ma secondo una logica carismatica. Significa che ogni persona – sentendosi pienamente riconosciuta in ciò che determina la sua identità alla radice, ovvero il fatto di essere figlia o figlio di Dio, unita in Cristo ai suoi fratelli e sorelle – cessa di vedere gli altri come nemici o concorrenti e si trova abilitata a mettere la “sua” differenza, cioè la singolarità incomparabile che la distingue da tutti, a servizio dell’edificazione della Chiesa e del mondo.

Chi rifiuta le categorie del gender, lei scrive, “teme di perdere il proprio potere nei rapporti codificati secondo il modello patriarcale”. Quindi il disagio di alcuni settori ecclesiali nasce solo da questo timore oppure anche dalla fatica di ridefinire il “sogno di Dio” sull’umanità a partire dallo stile che Gesù adotta nelle relazioni con donne e uomini?

È impossibile individuare esaustivamente l’origine delle resistenze e dei timori, presenti del resto non solo nella Chiesa: l’Occidente (l’intero pianeta) sta attraversando un’epoca rivoluzionaria. Il disagio nasce senz’altro dal fatto che lo sconvolgimento degli assetti passati fa mancare il terreno sotto i piedi, specialmente agli uomini. Essi non possono più costruire la loro identità (sessuale) secondo il modello patriarcale, ma non hanno ancora acquisito solidi riferimenti alternativi e devono fare i conti con i cascami di tale sistema, con la sua concezione di maschilità quale dominio, performance, accumulo di potere e di beni. Ad ogni modo, la questione della riconfigurazione dei poteri ecclesiali ha un peso ragguardevole. Una recensione spassionata delle esperienze di leadership condivisa – qua e là presenti nelle comunità ecclesiali – contribuirebbe a illuminare la riflessione.

In effetti, la ridistribuzione del governo nel senso della corresponsabilità ministeriale e di rapporti improntati anzitutto alla fraternità fra uomini (preti) e donne si raccomanda come vantaggiosa. Per tutti. Certo, nella Chiesa gli uomini sono i primi interpellati dall’ingiunzione (evangelica) di “perdere”, cioè di scendere dal piedistallo del patriarcato – che ormai è in rovina, ma che ancora tiene e tenta; tuttavia, le esperienze di relazioni paritarie comprovano che tale scelta è un “guadagno” anche per loro, che possono gustare la gioia di relazioni finalmente “disarmate”, con le donne e fra uomini. Il dimorfismo sessuale è un fatto antropologico e un dato di fede inequivocabile: Dio ha creato l’umanità maschio e femmina.

La Bibbia, però, non definisce in maniera rigida e inappellabile “la donna”, “l’uomo”, “la differenza sessuale”. In particolare, Gesù Cristo entra in relazione con le donne (e gli uomini) senza imporre loro un modello di femminilità a cui dovrebbero corrispondere (lo stesso vale per la maschilità); nondimeno, il suo modo di assumere la natura umana nella parzialità maschile e il suo stile di relazione sono per i cristiani realtà normative.

Mi spiego: la parola cristiana non pretende di esprimere l’unica risposta possibile alla questione del senso dell’esistenza (sessuata), del valore del maschile e del femminile e delle relazioni di genere di cui stiamo parlando. Però essa non teme di proporsi quale realtà ultima e definitiva. In effetti, alla domanda radicale sul senso dell’esistenza umana (maschile e femminile) solo la fede può rispondere adeguatamente. E tale offerta non strapiomba dall’alto: si inserisce in un contesto di esperienze in cui acquista senso, donando al tempo stesso una sovrabbondanza di senso. Dunque, lo stile di Gesù nelle relazioni con le donne e con gli uomini è ricevuto dai cristiani come l’offerta del meglio possibile – il “sogno di Dio” – in tali rapporti e quale norma suprema circa il modo di viverli.

Non sarebbe interesse della Chiesa essere parte attiva di rinnovamento del pensiero nella speranza di superare l’attuale stagnazione che vede, per motivi diversi, la crisi di maschilità e femminilità?

Stimo che la Chiesa già lo sia, anche se si vorrebbe – a ragion veduta – che ciò emergesse più rapidamente e desse frutti più succosi. Rivolgendo lo sguardo indietro di qualche decennio, ci si accorge che i discorsi che andiamo facendo erano improponibili prima del Concilio Vaticano II. Del resto, anche l’odierno dibattere sul gender, sul pieno riconoscimento ecclesiale delle donne, sulla riconfigurazione della maschilità era piuttosto “bloccato”, benché non assente, anche solo quindici anni fa. Molto resta da fare, ma si può segnalare la presenza di un pacifico fermento: a livello teologico, per lo meno, non parlerei di stagnazione. Anche a livello di coscienza ecclesiale, poi, risulta chiaro che la “questione gender”, la “questione femminile” e anche il ripensamento della maschilità non sono temi settoriali, ma snodi nevralgici per il futuro della Chiesa, dai quali dipende la sua credibilità.

Sappiamo anche che è possibile affrontare tali problematiche – che rimangono ostiche – non nel segno della difesa esasperata contro le rivendicazioni “nemiche”, ma in quello della progressiva valorizzazione dell’unità battesimale delle figlie e dei figli di Dio, da cui deriva l’uguale dignità dei generi e l’affermazione delle differenze (sessuali) come carisma offerto per il bene comune.

***

«Trattare oggi, in qualità di teologo e di prete, dell’uguaglianza tra uomini e donne nelle nostre società europee e in seno alla Chiesa cattolica è un’impresa delicata e rischiosa». Lo scrive padre Christoph Theobald (Facoltà gesuite del Centro Sèvres di Parigi) nella prefazione al volume di Luca Castiglioni, Figlie e figli di Dio. Uguglianza battesimale e differenza sessuale (Queriniana, pagg. 631, euro 37).

Un testo che non ha timore di addentrarsi in un «gioco relazionale attraversato da tensioni e violenze subdole e contrassegnato da molte sofferenze. Troppi modi di fare e argomentare di tipo clericale – scrive ancora padre Theobald – nascondono effettivamente questa conflittualità e trasformano l’uguaglianza battesimale in un’affermazione astratta e vana». In questo arcipelago culturale e teologico ad alto rischio, don Castiglioni – prete ambrosiano che ha conseguito il dottorato in teologia proprio con questo testo presso le Facoltà gesuite di Parigi e oggi insegna teologia fondamentale alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale – avanza proponendo riflessioni di sorprendente originalità e mettendo al centro l’ascolto «sensibile e affettivo delle molteplici “voci” presenti nella Chiesa e nella società, in particolare di quella delle donne». Voci, che come lui stesso ammette, troppo a lungo sono rimaste inascoltate, aprendo la strada a una sofferenza diffusa con cui dobbiamo fare i conti.

Un testo impegnativo, che non propone soluzioni definitive, ma prende sul serio i grandi cambiamenti culturali in corso – senza inutili demonizzazioni – e «tenta di argomentare in varie direzioni, sperimenta», apre la strada verso una «nuova problematica cristologica e trinitaria, solo abbozzata nelle “aperture” finali».


L. Moia, in Avvenire. Noi & Vita 30 aprile 2023

Tra gli input di riforma che papa Francesco sta fornendo alla Chiesa universale non si può non menzionare il maggior coinvolgimento della donna nella missione e nel governo delle comunità ecclesiali. Probabilmente sollecitato anche da questi sviluppi recenti, Luca Castiglioni, presbitero della diocesi di Milano, ha consacrato la sua dissertazione dottorale (recentemente pubblicata nella prestigiosa collana francofona «Cogitatio fidei» e ora apparsa in edizione italiana in «Biblioteca di teologia contemporanea») a un approfondimento teologico del rapporto tra uomo e donna all’interno della comunità ecclesiale.

Al di là dei proclami relativi alla pari dignità fra i sessi che si odono tanto nella società civile, quanto negli ambienti ecclesiali, cosa ha fatto sì che oggi la discepola di Cristo sia, per tanti aspetti, in una posizione di subalternità rispetto al discepolo di Cristo? Cosa può contribuire a una trasformazione dei rapporti tra i sessi nel vissuto ecclesiale? Lasciando da parte quegli obiettivi che, a oggi, risultano puramente utopistici, quali sono i passi che la comunità cristiana può concretamente compiere per un rapporto maggiormente riconciliato tra uomini e donne? Potremmo ricondurre a questi tre interrogativi le tre parti in cui si articola il ponderoso e densissimo volume di Castiglioni.

Se l’antropologia culturale mostra che molto spesso, nelle società, la donna è stata relegata a una posizione subalterna rispetto all’uomo, nel cristianesimo, anche su questo fronte, ha giocato un ruolo di primo piano la filosofia greca (soprattutto l’aristotelismo, ma, per certi aspetti, anche il platonismo). Se ne trova traccia tanto nell’opera di Agostino, quanto in quella di Tommaso. Seppure con accenti diversi, questa «teologia della donna» è perdurata fino al secolo scorso, quando, a ondate successive, si è levata la voce dei movimenti femministi. La Chiesa non può rimanere indifferente a questo grido: ne va della credibilità del suo stesso annuncio.

D’altra parte, la sacra Scrittura contiene al suo interno risorse preziose per una trasformazione dei rapporti tra i sessi. L’A. cita in primo luogo alcuni passi paolini – uno fra tutti, Gal 3,26-28 –, da cui egli fa derivare la propria teologia del maschile e del femminile: la fede in Cristo istituisce un’uguaglianza fondamentale fra i sessi, senza però azzerare le differenze (legate non solo alla diversità di genere, ma anche alla singolarità di ciascuno). La fede, infatti, scorge in tali differenze altrettanti carismi, ossia doni di grazia destinati all’edificazione dell’intera comunità. Le pagine dell’AT mostrano, poi, che questo è, fin dal principio, il progetto che Dio ha sull’umanità (cf. Gen 1–2), ma esso si trova a essere continuamente insidiato dalla concupiscenza (cf. Gen 3). I sessi possono raggiungere una riconciliazione solo a patto di un cammino di conversione, fatto di rispetto dell’alterità, di accettazione del proprio limite e di fiducia in Dio (cf. le storie dei patriarchi e le pagine del Ct).

I brani evangelici in cui Gesù incontra delle figure femminili sono l’attestazione più alta di questi rapporti riconciliati fra uomini e donne. La Chiesa, fin dai suoi inizi, da una parte, ha voluto far propria e trasmettere l’esperienza inaugurata da Gesù, ma, dall’altra, ha dovuto far i conti con condizionamenti storici e culturali, compresa la conflittualità fra i sessi, per cui, anche nel NT, non mancano pagine in cui, per consentire al vangelo di proseguire la sua corsa, alcune comunità hanno dovuto porre delle limitazioni all’uguaglianza fra uomo e donna (cf. Ef 5,21-33; 1Tm 2,8-16), limitazioni che, nel corso del tempo, hanno avuto pesanti ripercussioni sul vissuto ecclesiale: una fra tutte, l’ordinazione presbiterale riservata ai soli battezzati di sesso maschile, prassi confermata in maniera definitiva da Giovanni Paolo II nel 1994, con la lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis.

Rimangono tuttavia aperte una serie di piste. La prima, di ordine antropologico, è rappresentata dal superamento, all’interno del vissuto ecclesiale, degli stereotipi di genere, anche in forza delle recenti sollecitazioni provenienti dalla teoria gender (che l’A. distingue dalle teorie queer: cf. p. 517). Ciò contribuirebbe a generare esperienze più gioiose anche tra le persone di sesso maschile, che, in questo modo, potrebbero integrare nel loro vissuto elementi quali la cura, la tenerezza, la vulnerabilità…

In ambito ecclesiologico, invece, l’A. propone che, nelle comunità cristiane, uomini e donne, chierici e laici, agiscano in maniera sempre più sinodale, dando fra loro prova di autentica amicizia. L’A. auspica inoltre la diffusione di forme ministeriali femminili (compreso il diaconato, di cui non tratta Ordinatio sacerdotalis), la valorizzazione della donna in ambito accademico e il sostegno a quelle forme di vita consacrata in cui sono presenti entrambi i sessi.

Del volume di Castiglioni colpiscono soprattutto due aspetti: da una parte, l’ampiezza della materia trattata, che va dall’antropologia culturale alla filosofia, dall’esegesi alla teologia: ogni excursus suscita nel lettore il desiderio di un approfondimento monografico sul tema in esame; dall’altra, la capacità dell’A. di padroneggiare le diverse questioni, tenendo fissa l’attenzione sulla tesi che egli vuole dimostrare: la fondamentale uguaglianza e, al tempo stesso, l’ineliminabile diversità dei credenti in Cristo, di cui la differenza sessuale rappresenta un elemento assolutamente paradigmatico.


F. Badiali, in Rivista di Teologia dell’Evangelizzazione 2/2022, 553-555