Il volume esplora la complessa storia dell’impegno cristiano, culturale e intellettuale con le immagini, dalla Chiesa primitiva alla società contemporanea. Il testo esamina i cambiamenti teologici e culturali che hanno plasmato il ruolo delle immagini nella prassi religiosa e la loro dimensione “sacramentale”.
A cominciare dall’antichità, l’a. mette in evidenza come i primi cristiani abbiano ereditato una relazione complessa con le immagini a causa del divieto biblico contro l’idolatria. Accanto a questa influenza biblica, lo scetticismo filosofico verso l’imitazione, derivante dalla filosofia di Platone, complicò ulteriormente l’impegno dei primi cristiani con le immagini. Ben si sa che per Platone, le immagini erano delle apparenze, allontanando le persone dalla vera conoscenza eidetica. Ciononostante, i primi cristiani iniziarono a incorporare le immagini nelle loro pratiche, specialmente nei contesti funerari e nella devozione privata, pur sostenendo chiaramente la superiorità della parola scritta sulle immagini, sottolineando la Bibbia come la vera immagine di Dio. Il dibattito sulle immagini religiose culminò nella crisi iconoclasta, che durò oltre un secolo. Questo periodo vide imperatori e teologi scontrarsi sulla legittimità della venerazione delle icone. Il secondo concilio di Nicea (787 d.C.) alla fine affermò la venerazione delle icone, distinguendola dall’idolatria. La definizione del concilio chiarì la comprensione teologica delle icone, sottolineando il loro ruolo di aiuti visivi per la contemplazione e la devozione, puntando verso il divino piuttosto che rappresentarlo direttamente.
Passando alla questione teologica, l’a. manifesta che uno dei perni della questione è la distinzione tra immagini vere (icone) e false (idoli), nutrita dai dibattiti cristologici. Così, ad esempio, la controversia ariana, metteva in discussione la divinità di Cristo in quanto immagine del Padre. Per Ario, le immagini sono intrinsecamente inferiori ai loro prototipi. Su un altro versante, teologi come Niceforo di Costantinopoli e Teodoro Studita portarono una lente aristotelica al dibattito, concentrandosi sulla relazione tra immagine e prototipo, piuttosto che basarsi esclusivamente sui concetti neoplatonici di partecipazione.
Il libro esamina ulteriormente la relazione tra icone e sacramenti, attingendo al lavoro del teologo milanese Pierangelo Sequeri. Sia le icone che i sacramenti sono visti come segni performativi che mediano la presenza divina, sebbene in modi distinti. La distinzione sta nel loro modo di operare: i sacramenti sono azioni performative, mentre le icone funzionano attraverso la rappresentazione visiva.
Attraversando i secoli, il libro si sofferma sull’emergere dell’arte come sfera autonoma, separata dai contesti religiosi, durante il Rinascimento e l’Illuminismo. Questo sviluppo ha contribuito alla secolarizzazione delle immagini, trasformandole da oggetti principalmente religiosi in oggetti di contemplazione estetica e documentazione storica. Inoltre, nel XX e XXI secolo, la proliferazione della tecnologia digitale ha portato a una nuova era di saturazione delle immagini. La svolta iconica attuale è carica di interrogativi sulla relazione delle immagini con la realtà, la verità e l’esperienza umana. Per questo, il libro si conclude in maniera pertinente con una discussione sulle implicazioni della condizione “post-mediale” per il futuro delle immagini, esaminando i confini sfumati tra immagine e realtà, l’ascesa della presenza dell’immagine e i potenziali pericoli di un idolo dell’immagine in un mondo mediato digitalmente.
Il volume, frutto di lezioni tenute dal docente, è un’esplorazione ricca e colta dell’intricata relazione tra cristianesimo e immagini nel corso della storia. L’immagine tocca la dimensione religiosa, ma ancor prima la dimensione antropologica e per questo, è pertinente misurarsi con le sfide e le intuizioni poste dall’autore e con la natura quasi sacramentale delle immagini che possono essere idoli o icone.
R. Cheaib, in
Theologhia.com 10 ottobre 2024