Il titolo del libro prende spunto dal testo di Gb 28,12. Jean-Marie Carrière, biblista gesuita, allievo di Paul Beauchamp, ha studiato al PIB di Roma e all’Institut Catholique di Parigi. Attualmente è docente di Antico Testamento al Centre Sèvres ed è impegnato nell’azione sociale.
Egli non intende proporre un’introduzione classica ai testi sapienziali dell’AT (anche se fornisce gli elementi essenziali riguardanti l’origine, la datazione, l’autore, la struttura ecc.), ma fornire un’esperienza di lettura dei testi. Essa richiede una particolare attenzione al testo e alla disposizione dei libri: attenzione al modo in cui il contenuto riceve una forma quando viene scritto: affermazione, formulazione di una domanda, sviluppo di una realtà ecc.
Sapienza esplorativa
La sapienza di Israele si occupa delle vicende umane, di tutte le esperienze che l’uomo può vivere nella propria vita. Ogni libro sapienziale affronta un aspetto specifico della nostra esperienza umana, esplorandolo ma anche affrontandolo nel suo carattere problematico se non addirittura drammatico.
La sapienza ricerca l’arte del ben vivere, cerca di trovare atteggiamenti, comportamenti, un modo di agire corretto nelle nostre vicende umane. Essa ha un carattere “esplorativo”: osserva, riflette e cerca risposte. È particolarmente sensibile a ciò che è problematico, ciò che non è evidente, a ciò che è paradossale, a ciò che può apparire un vicolo cieco, un rischio di fallimento per la nostra umanità.
Pur appartenendo per lo più al periodo assiale (Mario Liverani) in cui la “grande” filosofia greca prende il volo a partire dall’amore della sapienza, essa non è una filosofia, ma offre spunti di riflessione. Si occupa di vicende umane, senza troppo coinvolgervi direttamente Dio. Parla di educazione, stabilità del mondo, morte, colpa…, senza alcun bisogno apparente dell’ipotesi “Dio”. Questo le dà il vantaggio grande di poter dialogare e di pensare con culture diverse da quella di Israele, perché è di umanità che parla.
La sua posizione non è strettamente “teologica”, anche se in tutti i libri non si fa ovviamente a meno di Dio.
La questione di Dio
La sapienza biblica non si basa sui grandi assunti della fede di Israele, tranne, a volte, quando valuta/critica il loro impatto su qualche aspetto delle nostre vicende umane.
La questione di Dio, per essa, è una questione fra le altre. Il suo carattere è soprattutto esplorativo: è in cerca e in ricerca. In quanto tale, si trova in consonanza profonda e radicale con la postura del credente di fronte a Dio: quella del cercare e del ricercare. «Venite, voi che avete sete!». Tale è l’invito della Sapienza, attraverso il quale essa si descrive.
Interludi
L’autore struttura il volume alternando l’accostamento diretto a un testo sapienziale a una serie di interludi imperniati su temi generali e trasversali ai vari testi.
Questi trattano della sapienza in politica (l’arte di decidere di Davide, l’arte di governare di Salomone), l’educazione (l’arte del sapiente e la correlazione fra comportamenti ed esperienza), il comportamento sociale (come deve comportarsi il “giusto” per i sapienti? Principi o pragmatismo?), la vita, il male, la morte. Si studia il rapporto tra sapienza e creazione: la lode (Salmi), le opere degli uomini (Qoèlet), ascoltare la creazione (Giobbe), la potenza salvifica (Sapienza di Salomone).
La sapienza biblica
Dopo un capitolo dedicato alla domanda su come si acquisti la sapienza e dove essa abbia inizio (Pr 4,7a), si risponde enigmaticamente che l’inizio è un inizio solo se si cerca il possesso del tutto o l’unità del tutto.
Le vie che conducono alla sapienza sono già in essa: le azioni attraverso le quali la sapienza si dispiega sono già in essa e attraverso di essa; tutto ciò che è buono, tutto ciò che conduce ad essa, è già in essa. Il paradosso è che l’uomo si trova di fronte al principio della sua azione, della sua ricerca del bene.
Il mistero dell’accesso alla sapienza è anche il mistero dell’accesso alla conoscenza, un’esperienza dello spirito umano. Acquisire la sapienza richiede un agire, ma anche un movimento dello spirito e degli affetti.
L’autore ricorda alcuni punti decisivi acquisiti:
- la sapienza ha una chiara relazione con la scrittura, e non soltanto perché è principalmente un’attività degli scribi;
- la sapienza ha a che fare con la chiusura del canone biblico, nel quale ha un posto specifico in relazione alla Torah e ai Profeti;
- la sapienza è specifica di Israele, ma, allo stesso tempo, sa bene come entrare in dialogo e come confrontarsi con la sapienza delle nazioni;
- la sapienza interessa gli scribi tanto per la sua capacità di orientare la vita pratica e l’azione quanto per la conoscenza alla quale introduce.
Proverbi
Il libro dei Proverbi contiene parole di esperienza. Esso è costituito da una raccolta di proverbi. Insegna a dire le cose, illustra i modi di comportarsi (il legame con la giustizia, abominio e timore), confronta Donna sapienza e Donna follia.
Cantico dei cantici
Il Cantico dei Cantici esprime lo slancio dell’amore. È un libro «santissimo», un canto delle voci, il testo che esalta la bellezza dei corpi, parla di presenza e di assenza («Soli al mondo»; una lettura per persone sposate?, si chiede l’autore).
Salmi
La sapienza è presente anche nella preghiera. Lo studioso si domanda se esista un genere letterario «salmo sapienziale». Egli afferma che la questione del genere letterario non è di facile risposta, e preferisce esaminare il Sal 37 vedendo gli spunti sapienziali presenti nella tematica dell’ira. Il Sal 119 esprime l’attaccamento alla Torah.
Giobbe
Il libro di Giobbe presenta l’esperienza di parlare a chi soffre. Esposta la struttura del libro, Carrière si sofferma sulla cornice narrativa, esplorando i temi del maledire e del benedire Dio.
Giobbe, solo, cerca di parlare a Dio, esaminando la propria vita. I dibattiti con gli amici offrono la descrizione del parlare con Giobbe che soffre, affrontando le tematiche del salvare, correggere, liberare.
Giobbe cambia e l’autore esamina gli atteggiamenti di fonte a Giobbe.
Un capitolo è dedicato, infine, ai dialoghi di YHWH con Giobbe, con la domanda su chi abbia mai dato all’ibis la sapienza (cf. 38,36) e con l’esame del mondo animale e delle forze del male.
Qoèlet
Nel libro di Qoèlet si afferma che tutto è vanità. Va ricordato che vari autori oggi preferiscono parlare di “soffio”, instabilità, precarietà, provvisorietà…, per non indurre un giudizio morale sulla realtà, che non sembra corretto.
Carrière ricorda come il libro sia un testo imbarazzante con una posizione teologica imbarazzante e un’aggiunta finale ancor più imbarazzante in quanto rimanda al timor di Dio e all’osservanza dei comandamenti, facendo parlare l’autore in terza persona. Il libro biblico è davvero un pensiero esplorativo.
Carrière esamina Qo 1,2, il ruolo della finzione (1,12–2,26), «un tempo per», un tempo opportuno (3,1-15), 7,1-14 basato sul ritornello «è meglio…», il tempo cattivo (le sventure e la stabilità dell’esistenza), la creazione e il Creatore (l’avvicinarsi della morte).
«Tutto è vanità», per Carrière non è tanto una tesi quanto l’indicazione di un metodo. Attraverso un’esplorazione che dà forma al lavoro del pensiero, «la caratterizzazione di ogni cosa, di ogni situazione, di ogni realtà come vanità produce un processo di spoliazione il cui effetto è quello di criticare tutto ciò su cui possiamo sperare di trovare un sostegno che regga o dia senso alla vita. Questa messa in discussione è l’oggetto stesso della riflessione, che inizia con la domanda sul resto, per poi passare alla domanda sulla finalità. Attraverso queste domande, essa incontra costantemente quella della morte, un termine che paradossalmente non indica affatto la fine. La corrispondenza tra il metodo (esplorazione e definizione) e l’oggetto della riflessione (qual è la fine, se non la morte?) è notevole» affermalo studioso (p. 163).
Siracide
Ogni sapienza viene dal Signore. Così lo studioso presenta il libro del Siracide. Ne illustra il prologo, la trasmissione e la composizione. Ne analizza le forme del discorso e la sapienza vista nel quotidiano: i poveri, l’amicizia. Segue da vicino le affermazioni fatte in nove poemi della sapienza.
Ogni sapienza viene da Dio, viene data a quelli che la amano, la legge viene identificata col timore del Signore, si rapporta la Sapienza in persona con l’istruzione, si loda l’artigiano e lo scriba.
Vien quindi proposto un corpus di esperienze, per proporre un’istruzione. Vengono, infine, elogiati gli uomini illustri della storia di Israele.
Sapienza
«Dio non ha creato la morte» (Sap 1,13) è il motto scelto da Carrière per delineare il contenuto del libro della Sapienza. Composto ad Alessandria, nella sua disposizione presenta un esordio, un elogio e sette antitesi. Decisa è l’affermazione che Dio non ha creato la morte e viene approfondito il rapporto tra giustizia e immortalità, con l’analisi del discorso degli empi, la notazione sulla brevità della vita dei giusti e il confronto tra empi e giusti.
La Sapienza è principio di vita. Lo si illustra con l’uso della gradazione, tre interrogativi, la notazione dei differenti doni e presentazione della sapienza come Grazia. «Tu hai disposto ogni cosa con misura», ricorda Sap 11,20. Il versetto offre lo spunto per riflettere sul castigo e la misericordia, le pratiche religiose opposte, alcune idolatrie, la giustizia divina e il nutrimento divino. L’autore di Sap ricorda anche lo scellerato patto con la morte fatto dagli empi.
Sempre e ovunque, unica e molteplice
Nel c. 9 Carrière compie uno studio trasversale ai vari libri sapienziali. Si sofferma sullo studio della Sapienza come realtà esistente per sempre e ovunque, unica e molteplice. Nell’ordine dei mezzi, si ricorda una tecnica, la sfera cultuale e la tentazione dell’idolatria.
Analizzando la sapienza in persona si ricorda l’unificazione della sapienza, il suo essere dono di presenza, il suo essere una e molteplice. Essa è connotata nei vari libri sapienziali da un movimento che dall’esterno (tutti) va all’interno (Israele) e da un movimento che va dall’interno all’esterno.
La sapienza articola il particolare (Sir 24) e l’universale (cf. Pr 8). Questo movimento è comunicato alle persone: «il sapiente di Israele è invitato a rivolgersi alle nazioni per scoprirvi la sapienza e le nazioni sono attratte verso il bene proprio di Israele. La Sapienza personificata significa questa singolarità in cui si articolano il particolare e l’universale» (p.278).
Chi è la Sapienza?
Il c. 10 si interroga su chi sia la Sapienza. Cinque testi molto tardivi della tradizione di Israele tendono a considerare la Sapienza come una persona. Tre di essi (Gb 28; Bar 3,9–4,4; Sap9) parlano della Sapienza come di una persona, mentre Pr 8 e Sir 24 danno la parola alla Sapienza stessa.
Leggendo i testi con attenzione – afferma Carriere che seguiamo quasi alla lettera nella sintesi delle pp. 279-280 –, si entra più profondamente nel mistero della Sapienza, così come è maturato nel corso della storia di Israele e come è diventato progressivamente il mistero centrale della relazione tra YHWH con il suo popolo.
In Gb 28 la Sapienza è introvabile e inafferrabile; in Bar 3–4 e Gb 28 si annota il carattere misterioso della sapienza, conosciuta solo da Dio, che era vicina a lui fin dall’opera della creazione, ma che viene anche tra gli uomini.
Sap 9 riprende la preghiera di Salomone all’inizio del suo regno. Sentendosi creatura debole, implora Dio di dirgli e di inviargli la Sapienza, perché lo aiuti faticando con lui e permettendogli di conoscere il disegno e la volontà di Dio.
In Pr 8 la Sapienza parla di sé stessa e concorre con la creazione la sua posizione tra Dio egli uomini. Generata da Dio molto prima della creazione, essa svolge il compito di mediazione tra Dio e gli uomini e introduce nell’ordine della creazione una dimensione di gioco.
Anche in Sir 24 la Sapienza fa il proprio elogio. Vicina allo Spirito di Dio, essa condivide anche l’avventura dello spirito umano, nel suo movimento e nella sua aspirazione al riposo. Circolando in ogni popolo e in ogni nazione, universale, essa si radica nella particolare della terra di Israele.
Gesù Cristo, la sapienza in persona?
Carrière conclude il suo studio con il c. 11, dedicato alla domanda se Gesù Cristo sia la Sapienza in persona. Lo studioso presenta alcune strutture di pensiero (Il prologo di Gv 1,1-18 e l’inno alla carità di Paolo in 1Cor 13), sostituendo i termini dominanti Verbo e carità con il termine Sapienza. Ne risulta che «le strutture teologiche elaborate nella corrente sapienziale veterotestamentaria, riguardanti la sapienza personificata, sembrano essere presenti in sottofondo, sullo sfondo della scrittura di questi due testi, almeno di questi» (p.306).
L’autore illustra poi la vita di Gesù Cristo. Si sofferma sul significato di Gv 19,28 «affinché si compisse la Scrittura», per concludere la propria fatica con la presentazione del paradosso della croce presente in 1Cor 1. Nella versione italiana del libro viene seguita la traduzione ufficiale CEI 2008.
Testo di teologia biblica impegnativo, il volume richiede una preparazione adeguata ma studia un capitolo fondamentale della fede cristiana – quello sapienziale –, non sempre adeguatamente approfondito.
R. Mela, in
SettimanaNews.it 29 maggio 2024