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Conversione
Ugo Sartorio

Conversione

Un concetto controverso, una sfida per la missione cristiana

Prezzo di copertina: Euro 20,00 Prezzo scontato: Euro 19,00
Collana: Biblioteca di teologia contemporanea 207
ISBN: 978-88-399-3607-3
Formato: 15,7 x 23 cm
Pagine: 224
© 2021

In breve

La conversione è un dato sfuggente e complesso. È realtà rilevante per le scienze sociali, è argomento spinoso per la missione cristiana, è tema dibattuto nel confronto interreligioso, è concetto chiave per la futura forma di chiesa.

Descrizione

Che cos’è la conversione? Si tratta di un evento improvviso, emozionale, o invece di un processo che si distende nel tempo, con tappe e passaggi, avanzamenti e involuzioni? È solo un fatto intimo, personale, oppure coinvolge anche il gruppo di appartenenza, le istituzioni e le gerarchie religiose? Si tratta di un fenomeno che interessa unicamente le religioni? E, all’interno di queste, la sua interpretazione è univoca e contrastante? Come valuta, per esempio, un hindu la conversione intesa secondo il paradigma occidentale? Un musulmano può aderire a un altro credo senza incorrere in seri problemi con la propria comunità? Perché, in genere, oggi si ritiene che sia scorretto rivolgere a qualcuno l’invito a convertirsi? È ancora attuale l’annuncio cristiano alle religioni in vista della conversione?
Sono solo alcune delle domande che stanno alla base di questo libro, scritto per fare chiarezza su un concetto divenuto controverso.
In particolare, il saggio di Sartorio affronta due temi ampiamente dibattuti, vale a dire il rapporto missione-conversione, non più così scontato, e la problematica legata al diritto di convertirsi. L’Autore sostiene che nella missione della chiesa l’obiettivo della conversione deve permanere, anche se va raggiunto in modo diverso rispetto al passato (ogni epoca, del resto, ha trovato la sua via); è inoltre convinto del fatto che missione e conversione sono inseparabili non solo per i destinatari dell’annuncio, ma altresì per la chiesa nel suo insieme e per ogni cristiano.

Recensioni

In un contesto culturale segnato dal relativismo e dal pluralismo di fedi religiose, il tema della conversione è di grande interesse e attualità perché interpella le pratiche e gli stili di vita, l'identità stessa del cristianesimo. L'invito alla conversione ampiamente presente nel Primo e nel Secondo Testamento è l'appello con il quale Gesù inaugura il suo ministero (cf. Mc 1,15) e fa parte della predicazione della chiesa primitiva (cf. At 2,38). Nel corso dei secoli esso è stato trattato nei diversi aspetti, in particolare in riferimento ai processi di adesione al Vangelo, come inizio di un percorso di configurazione a Cristo e come stile particolare di vita cristiana, ed è entrato nel dibattito teologico riguardo ai rapporti tra fede e morale, tra libertà e grazia, sui quali intervennero insigni pensatori come Agostino e Tommaso. Oggi si torna a parlare di conversione con l’avvertenza di evitare la deriva di una interpretazione moralistica e con l'impegno di ricollocare il tema all'interno del suo luogo originario che è quello della conversio ad Deum e dell'intenzionalità dell'agire morale, della appartenenza religiosa e della partecipazione al mistero della santità di Dio attraverso le vicende della storia.

II libro Conversione di Ugo Sartorio, francescano conventuale e docente di Teologia sistematica nella sede della Facoltà teologica del Triveneto, si inserisce nel campo della ricerca sul tema della conversione, offrendo un approccio ampio e articolato, che esce dall'alveo di una interpretazione esclusivamente teologica. Nel primo capitolo il tema viene letto attraverso gli apporti della psicologia e della sociologia, che ne ampliano il concetto al punto tale da intenderla genericamente come ''trasformazione" identificandola con un paradigma generico, non necessariamente riferito a una religione. Questo può aiutare la prospettiva teologica che per troppo tempo è rimasta legata al cliché monocorde dell'interpretazione religiosa e cristiana.

Quindi nel secondo capitolo l'A. volge l'attenzione verso lo sviluppo storico e teologico del concetto mostrando come già nei primi tre secoli, e poi con la proclamazione della religio imperii, il concetto di conversione sia stato via via modulato cercando di custodirne il significato evangelico e nel contempo organizzando forme praticabili di metanoia. Le riprese successive del tema della conversione avvenute ai tempi della riforma di Lutero, dell'avvio delle attività missionarie ad gentes e oggi nei paesi cristianizzati dimostrano quanto sia ricco il vocabolario, eterogeneo il mondo delle pratiche di conversione, e anche se sia opportuno o meno continuare a usare un termine che è stato rimosso dal linguaggio comune. Per questo Sartorio ritiene che sia un concetto da "riteologizzare", «uno dei concetti più preziosi che la teologia deve recuperare, in dialogo con le altre discipline, per meglio comprendere la stessa realtà del cristianesimo» (p. 80), ricordando che «il fine del cristianesimo non è quello di produrre dei convertiti, ma piuttosto dei credenti che inseriti in una comunità di fede sappiano rendere quotidiana e condivisa la propria esperienza di conversione, mettendola alla prova delle contraddizioni della vita» (p. 82).

Ciò richiede di essere ripreso, trattato e approfondito oggi ponendo una particolare attenzione a quattro aspetti (vedi cap. 3): al "nuovo orizzonte" del pluralismo religioso, all'interesse disinteressato per l'altro che richiede una conversione di sguardo da parte di chi annuncia, al dialogo interreligioso alla cui base deve esserci una più profonda conversione a Dio, al proselitismo che toglie l'anima al cristianesimo perché privo di «un vero interesse per l'altro, essendo la sua intenzionalità unicamente captativa e manipolatoria; e la sua pratica non fa che sfigurare la missione, rendendola non solo poco credibile ma alla fine inefficace e controproducente» (p. 127).

A questo punto, alla domanda se «ha ancora senso l'annuncio cristiano in vista della conversione», l'A. risponde: «Crediamo proprio di sì, perché ne va dell'identità stessa del cristianesimo, del suo presente e del suo futuro, né più né meno» (p. 135). Si deve però tenere conto del fatto che convertirsi è un diritto di "entrare e uscire" da una religione. Tale diritto, diversamente interpretato dalle religioni (vedi cap. 4, pp. 139-182), richiede di essere ripensato nei prossimi anni dalle comunità internazionali e dalle religioni stesse allo scopo di giungere a una condivisione, per quanto possibile, di un ordinamento giuridico comune che salvaguardi la dimensione privata e pubblica della conversione. Nell'ambito del cattolicesimo, la riflessione sul diritto di convertirsi ha fatto dei passi avanti significativi con la dichiarazione conciliare Dignitatis humanae, la quale ha indicato come fondamento del diritto «unicamente la dignità della persona e la sua espressione più nobile e intangibile, la coscienza» (p. 167).

La via di accesso al diritto di conversione, alla ricerca della verità e alla libertà religiosa non può che essere quella della coscienza in quanto luogo nel quale si istituisce una piena corrispondenza tra un atto libero di fede e un atto pienamente umano. Per tale motivo esiste un nesso profondo tra libertà e conversione. Anzi si deve aggiungere che «l'istituzione della libertà come luogo ed espressione del darsi della verità e del relazionarsi dell'uomo a essa [...] comporta un ripensamento radicale della fede, del modo di viverla e di comunicarla e quindi del senso della missione come invito alla fede stessa» (p. 173). Questa è la prospettiva nella quale l'A. colloca alcune considerazioni finali sul diritto all'abbandono della religione, più precisamente del cattolicesimo, avvertendo il lettore che occorre chiedersi cosa in realtà si intende abbandonare.

L'intento principale del libro non è quello di offrìre una trattazione sistematica del tema della conversione, bensì – come scrive Sartorio nella Introduzione – di «chiarire un concetto oggi ampiamente dibattuto che sarà sempre più centrale, lungo il corso del XXI secolo», a motivo di un diffuso pluralismo religioso che «colloca le persone le une accanto alle altre in una continua condizione di scambio, di ibridazione delle credenze» (p. 5), per cui ci si chiede se è "corretto" e "attuale" rivolgere a qualcuno l'invito a convertirsi.

Soprattutto nei capitoli terzo e quatto, infatti, l' A. tratta il tema della conversione in tutti i suoi aspetti con la dovuta attenzione alla natura missionaria ed evangelica dell'annuncio, e al diritto del soggetto di convertirsi nel pieno rispetto della coscienza e della libertà affinché l'atto di fede sia pienamente umano.

Il libro ha dei limitì che l’A. stesso segnala quando scrive di aver «trascurato la dimensione scrittutistica e in specie neotestamentaria, che fa della conversione un perno indiscutibile della vita di fede» (p. 193) e di non aver prestato la dovuta attenzìone ai «percorsi di conversione che nei secoli sono diventati paradigmatici (fìgure di grandi convertiti)» (p. 194), poiché avvertiva l’urgenza di approdare con qualche affondo alla contemporaneità. Ciò non toglie nulla al valore scientifico del contributo sul tema della conversione, di cui vengono affrontate in modo dettagliato e documentato alcune precise questioni legate al nostro contesto interculturale e interreligioso.


G. Zambon, in Studia Patavina 1/2023, 188-190

La nostra epoca è caratterizzata dal cosiddetto «nomadismo religioso», vale a dire la religione che ci è stata trasmessa viene abbandonata per abbracciarne una diversa. Su tale fenomeno riflette Ugo Sartorio che inizia la propria indagine distinguendo la figura del pellegrino da quella del convertito, ponendo, al contempo, la lente di ingrandimento della sua analisi sulle nuove condizioni del credere e su quel desiderio incontenibile che afferra tutti coloro che sentono forte la spinta al cambiamento rispetto a qualsiasi appartenenza trasmessa per tradizione familiare, o in un qualche modo ricevuta. Se il pellegrino caratterizza il suo nomadismo ponendosi alla ricerca di nuove condizioni del credere, il convertito, a sua volta, è spinto da un forte desiderio di mutamento rispetto a qualsiasi appartenenza precedente.

D’altra parte, è innegabile che la problematica della conversione sia centrale per il presente e per il futuro dello stesso cristianesimo. Affrontare, infatti, la questione che sottende la conversione non è cosa da poco. Sartorio parte dalla constatazione che lo spirito missionario comporta annunciare Cristo, compito tassativo da parte della chiesa, nel rispetto dell’altro, a differenza del proselitismo che, invece, mira a conquistare l’altro. Non a caso conversione, missione, proselitismo risultano essere termini che rinviano a concetti distinti spesso, tuttavia, confusi tra di loro. Il «cristianesimo di conversione», pertanto, può significare «avviare processi di seria personalizzazione della fede senza per questo attivare filtri selettivi che compromettano la sua connotazione popolare» (p. 7), senza scadere, dunque, nella setta.

Forte di questo assunto, la riflessione di Sartorio muove dalle discipline (la psicologia e la sociologia) che hanno affrontato dal loro punto di vista il tema della conversione. Al riguardo per taluni studi la soggettività inquieta che contraddistingue il cercatore religioso ha necessariamente bisogno di trovare delle oggettivazioni che siano, al contempo, convincenti e, per quanto possibile, durature. Proprio in virtù di ciò la teologia contemporanea è chiamata a custodire e a ri-teologizzare il senso più autentico della vita cristiana.

In proposito, molto utile è il profilo storico di come la stessa conversione sia stata interpretata sulla base del coevo paradigma interpretativo per giungere, dopo aver illustrato gli snodi cruciali che si sono succeduti nel corso dei secoli, alla constatazione, avvenuta con la pubblicazione del settembre 1942 del libro di don Godin e don Daniel, La France, pays de mission?, che anche l’Occidente era divenuto oramai terra di missione, soprattutto nelle sue aree metropolitane. Importante, pertanto, è avere coscienza di che cosa significhi essere passati dall’Extra Ecclesiam nulla salus al «Senza la chiesa non c’è salvezza».

In merito Sartorio sceglie come suo interlocutore privilegiato Christoph Theobald, il cui approccio stilistico è interessato alla conversione pastorale di tutta la chiesa. La chiesa, per il noto teologo francese, «dovrà sempre più interessarsi in maniera disinteressata a ogni persona e a ogni situazione complessa che incontra sulla sua strada (sfida ecologica, transumanesimo…), relazionandosi all’umanità e alla storia praticando lo stile della “santità ospitale” del Nazareno» (p. 191).

Da ultimo, con il capitolo conclusivo si affronta la discussa questione del «diritto di convertirsi» che, se in un’Europa secolarizzata è qualcosa di scontato, specie in una fase storica come quella attuale dove il singolo è alla ricerca della propria identità, in diversi paesi, in particolare quelli a tradizione islamica, la conversione ad altra religione, quella cristiana ad esempio, è passibile di condanna a morte. Infatti, se l’induismo afferma che convertirsi non solo è inutile, dato che la salvezza si può raggiungere in ogni religione, ma è anche dannoso, visto e considerato che la stessa conversione ad altra religione comporta un vero e proprio atto di violenza in quanto separa una persona dal suo contesto culturale e sociale, il giudaismo contemporaneo è quasi del tutto disinteressato al proselitismo e mostra una sorta di sostanziale prudenza verso coloro che si avvicinano alla religione ebraica con l’intenzione di convertirsi. Nel giudaismo, invero, vi è la convinzione che non si debba essere necessariamente ebrei per diventare figli del mondo a venire, oltre al fatto che in esso è enfatizzata la consapevolezza della particolarità della religione ebraica nonché della sua storia plurisecolare tragicamente caratterizzata nel corso del tempo. Ciò significa che, anche se si è in presenza di un’apostasia, l’identità di chi apparteneva alla religione ebraica non è cancellabile.

Rispetto alle due precedenti religioni convertirsi a quella islamica è, invece, relativamente facile in quanto richiede solo la dichiarazione della shahada («Testimonio che non c’è divinità se non Dio (Allāh) e testimonio che Muhammad è il Suo Messaggero»), come recita il celebre versetto della sura della Vacca, secondo il quale «non c’è costrizione nella fede» (2,256) che, nel corso dei secoli, è stato inteso, sino a diventare un motivo conduttore del Corano, come un invito (al-da‘wa) alla conversione dei non musulmani. Una volta entrati a far parte della Umma (la comunità dei fedeli musulmani), tuttavia, uscirne comporta il grave peccato di apostasia: rinnegare l’islam è, secondo gli «ulamā» (i dotti in scienze religiose al di fuori di ogni carattere sacrale), un crimine verso Dio più che verso la comunità, che deve essere in un qualche modo punito a meno che non si sia in presenza del pentimento (Tawba) da parte dell’apostata, che ha come effetto l’annullamento del castigo.

Dinanzi a tali scenari il tema della conversione, legato a doppio filo a quello della missione, da parte del cristianesimo è estremamente delicato: un «filo elettrico» scoperto che, come scrive Sartorio, terrà impegnati i teologi cristiani per molti anni ancora.


D. Segna, in Protestantesimo vol. 78 (1/2023), 69-71

Convertirsi, perché? Ha ancora senso ricorrere a questo verbo? E, se ha senso, come fletterlo nelle sue molteplici sfaccettature? In particolare: davvero costituisce una sfida alla missione cristiana? Il saggio di Ugo Sartorio, docente di teologia sistematica presso la Facoltà teologica del Triveneto (Padova) e per molti anni già direttore della nostra rivista «CredereOggi», ospitato nella nota collana «Biblioteca di teologia contemporanea» della Queriniana, prova a rispondere a queste e ad altre domande.

Confesso di avere accettato forse con leggerezza di recensirlo. La conversione non è al centro delle mie attenzioni e, nel relegarla in un orizzonte marginale, probabilmente esprimo anch’io quello che è il nodo vero: il termine non è univoco, anzi, come recita il sottotitolo, è «controverso». Lo è nella «pluralità di approcci» (primo capitolo): filosofici, sociologici e teologici. Lo è a partire dalla vicenda cristiana (secondo capitolo), dall’imporsi del cristianesimo e dunque dal fare della stessa più che una scelta di fede una scelta diversamente obbligante e obbligata.

Lo è in rapporto al mandato missionario (terzo capitolo), alla sua interpretazione/reinterpretazione nel contesto della mutazione profonda dettata dal nostro orizzonte socio-religioso-culturale. Lo è nella prospettiva del «diritto di convertirsi» (quarto e ultimo capitolo), tutt’altro che scontato, se si vuole, in ogni contesto religioso. Infatti, se si accoglie (quasi sempre) il convertito, pur ponendo paletti diversi, quasi mai si accetta che lo stesso abiuri alla sua fede nativa, configurandone l’abbandono come «apostasia», condizione in un modo o nell’altro biasimata e condannata, talora sino a giustificare la soppressione fisica dell’apostata.

Aggiungo subito che tanto l’Introduzione quanto, e soprattutto, il Congedo guidano il lettore nell’intendimento dell’autore e nelle acquisizioni da lui proposte, ben orientando nel pelago sconfinato di autori e citazioni a cui lo stesso ricorre nell’intento di offrire un contesto quanto più largo e vario dei temi via via focalizzati. E, aggiungo ancora come connotazione previa, che è viva e palpitante la lezione del concilio Vaticano II, lo sforzo di leggerne la virtualità nei decenni successivi, sempre incrementandone la comprensione in fedeltà creativa.

Sartorio nel primo capitolo spazia riferendosi al mondo antico, e dunque accostando la conversione più come evento “filosofico” che “religioso”, per passare poi con dovizia di riscontri alle letture che della «conversione» offre la sociologia, acquisendo il concetto ben oltre il fatto religioso. Intrigante il paragrafo Convertire la conversione (pp. 41-46) in cui si fa spazio alla ripresa teologica del concetto. Richiamata la sua radice biblica, vetero e neotestamentaria, e in particolare l’inseparabilità nel Nuovo Testamento di metanoéin ed epistréphein, si sottolinea come essa appartenga al kerygma neotestamentario.

D’altra parte, essa evoca un processo complesso, che «coinvolge tutte le dimensioni dell’esistenza umana: psicologica, relazionale, sociale, spirituale, ecc. La conversione, dunque, è come un voltare pagina che segna la riorganizzazione di un soggetto dentro un nuovo orizzonte sociale e comunitario» (p. 44ss.). Cose tutte che necessariamente meritano un’attenzione diversa in contesti pluralistici e post-secolari al cui interno il concetto di conversione si allarga quasi facendone sinonimo di “trasformazione”.

La conclusione è che la teologia «d’ora in avanti non potrà non riconoscere la dilatazione di significato che nell’età postsecolare ha investito questa terminologia» (p. 54). Non ci fermiamo più di tanto sul secondo capitolo perché, alla fine, si tratta di cose note. E proprio per questo mi meraviglio che non si sia dato spazio alla conversio come stereotipo “agiografico”. Infatti, darebbe ragione, nella storia, di quella scansione tra catecumeni, convertiti e ricomincianti (cf. p. 52) che, al di là dell’assunzione tecnica proposta nel luogo citato, attesta come la conversione costituisca una tappa fondamentale nel percorso del credente, nella misura in cui questi operi una radicale inversione di vita. E ciò a mio parere, al di là dello stereotipo e del suo uso strumentale, dice qualcosa in più rispetto alla conversatio come stile esistenziale, come processo continuo (cf. p. 69).

A partire dal Vaticano II e dai suoi documenti, in particolare dai decreti Dignitatis humanae e Ad gentes, e dalla costituzione Gaudium et spes, sicuramente qualcosa si è inceppato nell’approccio al termine «missione» e dunque anche al termine «conversione». Una complessa perplessità è rimasta, malgrado i documenti successivi, immediatamente seguenti l’evento conciliare (ad esempio, l’Evangelii nuntiandi) o più distanziati (ad esempio, la Redemptoris missio). Se il disegno salvifico di Dio è che gli uomini tutti siano salvi (cf. 1Tm 2,4), e se l’acquisizione della coscienza quale tribunale inviolabile induce, da una parte, a rendere inutile violarla imponendo una fede quale che sia e, dall’altra, rende ancor più inutile sostituirsi a Dio e alle vie misteriose grazie a cui a tutti da a conoscersi (cf. GS 22 e AG 7), come giustificare l’annuncio missionario che malgrado tutto resta imprescindibile sia nei documenti conciliari come pure in quegli altri, che successivamente hanno messo a fuoco l’annuncio e la missione?

Il capitolo terzo (Annuncio missionario e conversione) parte dal «conflitto delle interpretazioni» aprendosi in tal modo ai tentativi nuovi di lettura in rapporto alla missione. Da qui l’attenzione all’orizzonte nuovo del «pluralismo religioso» (cf. p. 83ss.), al «paradigma pluralista teocentrico» (cf. p. 85ss.), alla difficoltà oggettiva costituita dalla «missione cristiana» (cf. p. 91ss.), alla «questione della salvezza» (cf. p. 94ss.), al «riferimento alla verità» (cf. p. 101ss.). Segue l’attenzione all’«interesse disinteressato per l’altro» come «conversione di chi annuncia» (cf. p. 104ss.). Processo in cui è ben evidente, da una parte, la forza attrattiva della fede professata e, dall’altra, l’acquisizione di uno stile che pone al centro la relazione e mette in atto la «santità ospitale» reperibile nell’agire di Gesù, nel suo farsi prossimo agli interlocutori, quali che siano.

Qui emerge in particolare l’influsso di Christoph Theobald, secondo il quale «se l’evangelizzazione mantiene oggi una sua legittimità essa risiede soltanto nell’interesse disinteressato per l’altro, prima ancora di qualsiasi esperienza spirituale che ci muova in quanto cristiani» (cf. Urgenze pastorali, EDB, Bologna 2008). Riecheggiandolo Sartorio afferma che «l’annuncio mette in gioco una chiesa in via di costruzione che diviene tale attraverso un processo ecclesiogenetico quale è espresso in Ad gentes, un testo che va assolutamente fatto uscire dal suo statuto marginale e posto come chiave interpretativa delle due costituzioni conciliari Lumen gentium e Gaudium et spes» (p. 102). «Il compito della missione cristiana sarebbe il farsi presente del discepolo di Cristo a “chiunque capiti”, dentro la trama degli incontri quotidiani, con un assoluto spirito di gratuità… risvegliando in lui la fede nella vita e abilitandolo a fare altrettanto a favore degli altri» (p. 109).

Le suggestioni di Theobald sono abbastanza note e l’autore sembra condividerle. Esse sono sintoniche a quell’appello alla conversione pastorale cui papa Francesco fa riferimento a partire dall’Evangelii gaudium (nn. 25-33) e che nel lessico di Theobald sta tra la «santità ospitale» e la «mistica della fraternità» (cf. p. 116). Non insisto sul tema del dialogo interreligioso inteso come più profonda conversione di tutti a Dio. Né ancor meno sulla condanna del proselitismo a ragione interpretato come missione sfigurata.

Vorrei, da parte mia, osservare come davvero non sia facile affermare la singolarità salvifica e veritativa della fede cristiana. Giustamente e ripetutamente all’obsoleto assioma extra ecclesia nulla salus si oppone il convincimento che sine ecclesia nulla salus. E, mi si permetta di dire, proprio questo fa la differenza. La chiesa non è il luogo necessario ed esclusivo alla salvezza nel senso che bisogna necessariamente farne parte. Piuttosto è il paradigma offerto quale segno e strumento del farsi prossimo di Dio in Cristo suo figlio.

Per quelli che ne partecipano è comunità salvifica, corpo stesso di Cristo che incede nella storia. «La chiesa solo per il fatto di esistere, attesta che nella storia l’azione salvifica di Dio, che si è pienamente manifestata in Gesù Cristo, ha indubitabilmente raggiunto, in un luogo pur determinato e limitato, il suo obiettivo… L’annuncio del vangelo resta, quindi, indispensabile per condividere con ogni uomo tale ricchezza, cioè l’eccedenza dell’esperienza umana che è possibile solo dove si confessa Gesù come Signore». E citando Carlo Molari aggiunge che dal punto di vista teologico la prospettiva «non è più quella tradizionale: “Fuori della chiesa non c’è salvezza”, bensì “senza la chiesa non c’è salvezza”» (p. 101).

Dismessa ogni pretesa trionfalistica, proprio la comunità credente deve farsi garante del molteplice disvelarsi di Dio, nelle forme a noi note e in quelle a lui solo note. Insomma – è la mia personale opinione – occorre davvero convertirsi a una immagine e coscienza di chiesa ben altra da quella prepotente e trionfante, che ha preteso d’imporre la sua concezione della salvezza come l’unica e sola, e con ogni mezzo. Certo, gli scenari che ci si aprono sono ben diversi da quelli del passato, come pure diversa è la nostra coscienza di chiesa. E se l’evangelizzazione, e dunque la missione, non può che acquisire nuovi linguaggi e nuove forme in senso catecumenale, di conversione o di riconversione, e se in tutto ciò la valenza della testimonianza è ciò che fa la differenza, allora abbiamo davvero molto da lavorare. Ma, ripeto, in gioco è la conversione come mutamento d’immagine, come mutata coscienza di chiesa, necessitata a uscire da se stessa per ritrovarsi più che riprodursi (cf. p. 117), mettendo in atto la potenza seducente e attrattiva del suo vissuto veritativo e testimoniale.

Ringrazio Ugo Sartorio per l’acribia dispiegata nel capitolo quarto relativo al «diritto a convertirsi». Un bel ginepraio davvero tra le istanze identitarie socio-culturali e la libertà di coscienza che soggiace alla libertà religiosa come diritto inalienabile di ogni essere umano. Entrare nel problema è anche capire tanta geo-politica e i tempi che viviamo non ci consentono di eluderla. Di certo è finito il tempo delle conversioni forzate, della chiesa unica arca di salvezza. Ed è iniziato il tempo del confronto e del dialogo, e non solo della collaborazione fattiva su valori e urgenze che toccano l’umanità tutta dentro e fuori l’orizzonte di fede.

Ma proprio per questo si fa più avvincente la prospettiva dell’annuncio, sempre nuovo e rinnovato, sempre più riadeguato alle sfide del nostro tempo, fluido come sia si sa, e instabile, volto ad assecondare i processi nella loro processualità più che non nelle loro finalità, ma non per questo meno seducente. Di sicuro leggere questo saggio, documentato e avvincente, fa scoprire o mettere meglio a fuoco aspetti negletti e nuovi, assolutamente necessari all’agire efficace di una fede che pensa, e pensando non svende il cuore pulsante del suo credo, ma seguita a confessarlo facendosi prossima a chiunque sia alla ricerca del volto misterioso e nascosto dell’unico Dio.


C. Militello, in CredereOggi 249 (3/2022), 171-176

Il testo che presentiamo non è un trattato classico sulla conversione in quanto non ne esamina il senso scritturistico o né lo declina in relazione alla vita di fede o ai percorsi paradigmatici nella storia (le figure dei grandi convertiti). Piuttosto il volume, come precisa il sottotitolo, affronta la tematica della conversione in relazione alla missione. Se oggi la parola conversione per certi versi è uscita dal perimetro della teologia e del religioso diventando capace di esprimere eventi mondani in riferimento ad abitudini, scelte e stili di vita (cf 38-40) e per altri rimane centrale quando si tratta di descrivere le dinamiche del cammino di fede (declinabile come un tentativo costante di rispondere all’invito iniziale del vangelo predicato, ovvero la chiamata alla conversione), si deve anche constatare che è stata quasi del tutto cancellata in riferimento alla missione.

Il solo dire oggi che lo scopo della missione sia anche (almeno l’auspicio) che altre persone abbraccino la fede cristiana, viene subito derubricato a neocolonialismo e tacciato di violenza ideologica e di attentare alla dignità dell’altro e alla sua libertà. Eppure la figura del convertito è stata nobilitata anche dalla sociologia della religione, se si pensa alla classica opera di D. Hervieu-Léger, Il pellegrino e il convertito (1999), che ha individuato in queste due categorie le figure della religione contemporanea in movimento.

In quattro capitoli l'autore affronta da angolature diverse ma interconnesse il tema in questione. Il primo capitolo ripercorre la diversità di approcci alla conversione. Se la filosofia antica in quanto sapienza orientata alla costruzione della vita buona della comunità come dell’individuo, compendiava non solo la possibilità ma la necessità della conversione, del cambiare vita, la filosofia moderna ha espunto la conversione dalla sua cornice immanente, abbandonando la sua vocazione a essere un “esercizio spirituale”. Ben diverso l’interesse della psicologia nei confronti della conversione, con un progressivo fiorire di studi soprattutto a partire dalla seconda metà del sec. XX. Quanto alla sociologia della religione, l'autore richiama la posizione della citata Hervieu-Léger con riferimento alla dispersione delle credenze (il believing without belonging di G. Davies) e alla mobilità delle appartenenze, per cui in un tempo fluido e plurale le credenze variano e la religione del me come realizzazione del proprio benessere globale (dal voler bene allo stare bene) è l’orizzonte delle conversioni in cui la riscoperta del religioso spesso si accompagna a processi di deculturazione. La progressiva secolarizzazione della conversione e il suo studio multidisciplinare permettono anche dei guadagni per la teologia che prende atto dei risultati di tali approcci altri e li fa propri, come, a esempio, il riconoscere nella conversione un processo che coinvolge tutte le dimensioni dell’esistenza umana e che, lungi dall’essere evento puntuale, poiché ridisegna il soggetto dentro un nuovo orizzonte sociale e comunitario, richiede una parabola piuttosto prolungata, oppure l’iscrizione della conversione nella sfera privata del soggetto, configurando così un puro percorso personale di ricerca del senso.

Il secondo capitolo ripercorre alcuni periodi e percorsi della conversione al cristianesimo. Sono discusse le posizioni di von Harnack, Nock, Bardy, il prendere forma nel catecumenato della organizzazione della conversione, fino al battesimo dei bambini quale pratica diffusa con l’instaurarsi di un cristianesimo di massa. Una tappa successiva dell’organizzazione della conversione è il monachesimo dove conversione non è più solo aderire al cristianesimo ma il desiderio di raggiungere la perfezione dello stesso in un particolare stato di vita (cf 68). Se fino alla fine del Medioevo la conversione era una realtà interna al cristianesimo, con la scoperta del nuovo mondo inizia lo slancio missionario, non di rado purtroppo connivente con lo spirito di reconquista e di colonizzazione. Infine i nostri giorni, in cui tanto viene meno l’idea di conversione quanto cresce l’attrattiva del convertirsi o della sperimentazione e così siamo passati da una “religione senza conversione” a una “conversione senza religione” (cf 80).

Il terzo e più ampio capitolo (cf 83-135) è dedicato al rapporto tra annuncio missionario e conversione. Il nuovo contesto odierno per la missione è rappresentato dal pluralismo religioso che ha modificato molti paradigmi dell’autocomprensione cristiana. Questo ha rimesso al centro le domande sul valore delle religioni e sul rapporto tra cristianesimo e religioni cercando di riconoscere anche nelle religioni un valore positivo (salvifico) e di salvaguardare l’unicità del cristianesimo. Alla questione hanno dato risposta diverse teologie, le più rilevanti tra le quali sono la teologia pluralista di Hick e Knitter e l’inclusivismo (nelle su forme). Certamente il contesto del pluralismo religioso ha per certi versi travolto l’azione missionaria che a tratti per salvare la sua legittimità si è ridotta alla sola retorica del dialogo nella totale trascuratezza della questione della verità (cf 90-91). Il contesto chiede anche di ripensare e dire in modo nuovo l’unicità della mediazione cristologica e il ruolo della Chiesa. Ampio spazio viene dedicato alla posizione di Theobald (cf 104-110) con le sue idee cardine di santità ospitale, la distinzione tra fede umana e fede cristica e la missione come un andare gratuito e disinteressato verso l’altro risvegliando in lui la fede nella vita e creando lo spazio alla possibilità che da questo amore disinteressato la fede umana possa aprirsi e abbracciare la fede cristica. Vi è poi la questione del dialogo interreligioso e il rischio del proselitismo che è la fine della missione: quando anziché suscitare una fede personale e critica l’annuncio diventa una comunicazione autoritaria con intento egemonico delle proprie convinzioni religiose.

Il quarto capitolo infine mette a tema il diritto di convertirsi e, a esso connessa, la libertà religiosa. L'autore ricostruisce se è possibile e cosa significhi e comporti il convertirsi (nel senso di abbandonare e di abbracciare) nell’ebraismo, nell’induismo e nell’islam, nonché nella visione cattolica. Nel congedo (cf 189-194) troviamo una sintesi puntuale del volume che presenta una riguardevole bibliografia (cf 200-216) divisa secondo i quattro capitoli. Certamente il volume fa chiarezza e ci permette di orientarsi su una questione importante per l’evangelizzazione e la teologia del nostro tempo.


A. Sabetta, in Rassegna di Teologia 3/2022, 487-489

Due figure riassumono l’essenza della religiosità contemporanea secondo Danièle Hervieu-Léger: il pellegrino e il convertito. Sono entrambe figure di una religione in movimento, tipica di un’epoca, la nostra, contraddistinta da grandi migrazioni ma anche da grande accessibilità ad altre credenze e visioni del mondo.

Per Ugo Sartorio, autore del recente saggio per i tipi della Queriniana, Conversione. Un concetto controverso, una sfida per la missione cristiana, della Col­lana Biblioteca di teologia contemporanea, se aggiungiamo a queste due tipologie quella della meno usuale figura regressiva del fondamentalista identitario – il quale è spesso un convertito per radicalizzazione – si può facilmente capire come mai il tema della conversione, inteso in senso ampio, costituisca un tema centrale da approfondire e da cogliere nelle sue ampie sfumature. Già in am­bito cristiano, con le onde di impressionanti adesioni alle chiese evangeliche pentecostali, ci si chiede se il cristianesimo di domani sarà un «cristianesimo di conversione» o se rimarrà piuttosto un «cristianesimo attestatario» di tipo tradizionale.

Le domande che conseguono da una rapida sosta davanti alla realtà della conversione sono, come si può ben intuire, proprio tante: Che cos’è la conversione? È un evento emotivo o razionale? È qualcosa che accade nell’improvviso o è un processo che si prepara nel tempo? È un fatto indivi­duale e personale o comunitario? Come viene concepita la conversione nelle varie tradizioni religiose? È ancora attuale l’annuncio cristiano alle religioni in vista della conversione? Cos’è il proselitismo? Ecc… Il testo di Sartorio, do­cente di teologia sistematica presso la Facoltà Teologica del Triveneto, riprende queste domande e cerca di apportarvi analisi e risposte nei quattro capitoli del volume. Il primo capitolo (13-54), intitolato «Conversione: una pluralità di approcci», considera il tema della conversione alla luce di diversi studi socio­logici che forniscono delle chiavi di lettura utili per districarsi nella compren­sione della religiosità contemporanea. La pluralità delle prospettive presentate dall’autore aiuta a capire la complessità e la ramificazione del fenomeno della conversione. A mo’ d’esempio, l’autore presenta le tappe della conversione de­scritte da Rodney Stark e da John Lofland e le distinzioni fatte dallo stesso Lo­fland e da L. Norman Skonovd, i quali elencano sei tipologie di conversione: la conversione intellettuale, la conversione mistica, la conversione sperimentale, la conversione affettiva, la conversione di risveglio e la conversione coercitiva. Queste analisi manifestano come le risposte alle domande poste poc’anzi non sono unilaterali, ma piuttosto dialettiche. La conversione si manifesta come una realtà graduale e progressiva, personale e culturale e, in ogni caso, come un fenomeno pluridimensionale e, per così dire, con diversi affluenti che indu­cono a parlare della conversione non solo come fenomeno teologico, ma come fenomeno socio-psico-culturale. Il capitolo prosegue argomentando che no­nostante l’attenzione necessaria alle dimensioni orizzontali della conversione, non bisogna dimenticare la dimensione teologica cruciale per la comprensione della struttura della conversione.

Il secondo capitolo (55-82) riflette sulla conversione in seno al cristiane­simo considerandone i modelli, le tendenze e i percorsi. Il capitolo, di stampo storico, non trascura la problematizzazione delle istanze considerate, le quali hanno contribuito a formare la prassi ecclesiastica dell’accoglienza in seno alla comunità cristiana. A conclusione della rassegna storica, l’autore tira fuori dalla complessità e ampiezza del percorso che attraversa due millenni alcuni elementi comuni che confermano «l’importanza della conversione nell’espe­rienza cristiana e le necessità di perseverarne il genuino carattere evangelico, senza contraffazioni e sequestri di sorta. Non esistono, infatti, luoghi depu­tati alla conversione che vadano oltre la vita cristiana tout court, così come la conversione può essere accolta unicamente come dono di grazia nell’assoluta libertà di scelta, senza pressioni o condizionamenti. Insomma, la storia del Cri­stianesimo si può leggere come la storia di un annuncio, di una chiamata a conversione affinché ogni individuo possa incontrare Gesù Cristo come suo Salvatore e Signore, e se questo vale per i secoli passati vale a maggior ragione per tempi come i nostri, caratterizzati da un sistematico disboscamento della fede dal venir meno di un humus sociale culturale nel quale la fede possa af­fondare le radici» (80-81). L’autore non esita a parlare con R. Lacroix della ne­cessità che il cattolicesimo diventi anzitutto un «cattolicesimo di conversione». Lungi dall’essere una risposta semplice che faccia svanire gli interrogativi, la prospettiva del cattolicesimo di conversione riscontra tante problematiche, ambiguità e sfide che l’autore tematizza nel terzo capitolo (83-135) intitolato «Annuncio missionario e conversione». In esso affronta la problematica della conversione in ciò che chiama il conflitto delle interpretazioni riflettendo tra l’altro sui paradigmi (auto)-interpretativi del cristianesimo come il paradigma teocentrico, cristocentrico ed ecclesiocentrico. L’adozione del modello com­prensivo della fede cristiana – teocentrico, regnocentrico o soteriocentrico –impone una comprensione e una esigenza diversa di missione e di necessità di conversione. La decentralizzazione soteriologica, ad esempio, rende la missione e la conversione superflue. «Se è vero, ad esempio, che ognuno si salva all’interno della propria religione di appartenenza, l’evangelizzazione dovrebbe essere sostituita con il dialogo interreligioso, sostanzialmente con uno scambio a livello valoriale di ciò che la propria credenza attesta e per­segue» (101). È contro una tale riduzione del caso serio della missione che si levano le voci di Giovanni Paolo II e di Joseph Ratzinger. Quest’ultimo, an­cora cardinale, scrive, prevenendo, di una concezione estrema del dialogo che «diventa addirittura l’essenza del credo relativista è l’opposto della conver­sione della missione». Su un altro versante, l’autore riflette sul problema del proselitismo, sia a partire dal «refrain di papa Francesco» (123-127), sia con un approfondimento biblico (127-130), per concludere sulla complessità del fenomeno e le difficoltà che esso pone all’attuale missione cristiana. Il capitolo quarto (137-185), «Il diritto di convertirsi», costituisce un documentato quadro sinottico della conversione e della sua possibilità e accettabilità nelle grandi religioni mondiali. Lo sguardo sinottico proposto su ebraismo, induismo, Islam e cristianesimo evidenzia come, pur nella comunanza di alcuni aspetti, la “ricezione” e l’accezione della conversione differisce profondamente tra una religione e l’altra. Ad esempio, l’autore ricorda come «nella prospettiva dell’I­slam, il diritto di convertirsi e di scegliere altre religioni è concesso solo ai non musulmani. I seguaci della religione islamica, in caso di conversione, vengono accusati di apostasia e corrono seri rischi, soprattutto in alcuni stati dove vige l’osservanza rigida della sharia. In conseguenza della gravità dell’apostasia, il proselitismo, ma in verità ogni tentativo di favorire la conversione, è conside­rato un atteggiamento improprio in molti casi perseguito dalla legge» (184).

Il volume costituisce una panoramica ampia sulla conversione. L’autore non cede alla tentazione di facili risposte o di temerarie proposte. Si può dire che il volume sia meno per chi cerca risposte e più per chi cerca di inquadrare le domande sulla problematica ampia della conversione vista nella sua com­plessità quella teologica ma anche quella orizzontale, psico-socio-culturale.


R. Cheaib, Teresianum . 2/2022, 675-678

Conversione, missione, proselitismo: sono termini che rinviano a concetti distinti, spesso, però, confusi tra di loro. L’epoca attuale è caratterizzata dal «nomadismo religioso» che si basa su due precise figure: il pellegrino e il convertito. Muovendo da quest’ultimi, Sartorio riflette sulle nuove condizioni del credere e su quel desiderio incontenibile che afferra tutti coloro che sentono forte la spinta al cambiamento rispetto a qualsiasi appartenenza trasmessa per tradizione familiare, o in un qualche modo ricevuta.

Innegabilmente il tema della conversione è centrale per il futuro del cristianesimo. Affrontare la problematica che sottende la conversione, d’altra parte, non è cosa da poco. Sartorio parte dalla constatazione che lo spirito missionario comporta annunciare Cristo, compito inderogabile da parte della Chiesa, nel rispetto dell’altro, a differenza del proselitismo che, invece, mira a conquistare l’altro. Il «cristianesimo di conversione», pertanto, può significare «avviare processi di seria personalizzazione della fede senza per questo attivare filtri selettivi che compromettano la sua connotazione popolare», senza scadere, dunque, nella setta.

Forte di questo assunto il volume si dipana in 4 limpidi capitoli. Il primo riflette sull’interdisciplinarietà che caratterizza l’idea di conversione, il secondo presenta un profilo storico di come la stessa conversione sia stata letta sulla base del paradigma interpretativo, il terzo analizza il significato d’essere passati dall’extra Ecclesiam nulla salus al «senza la Chiesa non c’è salvezza», avendo come interlocutore privilegiato Christoph Theobald, il cui approccio stilistico è interessato alla conversione pastorale di tutta la Chiesa. Da ultimo, s’affronta la vexata quaestio del «diritto a convertirsi» che mentre in un’Europa secolarizzata è un dato scontato nell’attuale fase storica di ricerca della propria identità, in altri contesti, in particolare a tradizione musulmana, non è riconosciuto e pone a rischio addirittura la vita stessa.


D. Segna, Il Regno Attualità 16/2022, 513

«Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15). Fin dal suo primo risuonare sulla scena pubblica, la proclamazione del vangelo di Dio da parte dello stesso Gesù contempla esplicitamente la conversione. Si comprende allora l'interesse del volume di Ugo Sartorio, docente di teologia sistematica presso la Facoltà Teologica del Triveneto (Padova), scritto per rispondere alla domanda: «Che cos'è la conversione?».

Il rilievo attuale di questa domanda e l'impegno nell'affrontarla sono motivati dall'autore dalla constatazione che il concetto di conversione è «oggi ampiamente dibattuto e che sarà sempre più centrale lungo il corso del XXI secolo» (p. 5). Il pluralismo che contraddistingue il mondo contemporaneo pone a stretto contatto differenti culture e religioni, inducendo ridefinizioni delle identità, cambiamenti di mentalità, mobilità delle appartenenze. Entro questo movimento epocale, l'annuncio cristiano della conversione, affidato alla missione della Chiesa, solleva nuovi interrogativi e richiede ulteriori configurazioni.

Lo svolgimento del discorso, strutturato in quattro capitoli, è indicato nel sottotitolo del libro: i primi due capitoli delineano i diversi significati che il termine conversione ha assunto nella storia, gli altri due trattano della conversione nell'orizzonte contemporaneo della missione cristiana e del pluralismo delle religioni. Più analiticamente, l'articolazione del volume, anticipata nelle pagine introduttive e riconsiderata in quelle di congedo, riserva: il primo capitolo all'odierna pluralità di approcci, non solo religiosi, alla conversione; il secondo capitolo ai modelli, tendenze e percorsi di conversione nella storia del cristianesimo; il terzo capitolo al senso attuale della missione cristiana in ottica di conversione; il quarto capitolo alla questione cruciale del "diritto di conversione" nelle religioni più diffuse.

L'approccio interdisciplinare all'idea di conversione, delineato nel primo capitolo, recupera anzitutto la concezione propria della filosofia antica, per la quale la ricerca della verità richiedeva anche un'effettiva conversione della prassi di vita. L'interesse per il tema della conversione tende a scomparire, fatto salvo in qualche autore (Ch. Taylor), con l'avvento della modernità, in cui la filosofia pensa l'accesso alla verità in chiave ristrettamente razionale e non più complessivamente esistenziale. Nell'ambito scientifico della psicologia religiosa, subito attenta al tema fin dal suo sorgere alla fine del XIX secolo, si assiste al passaggio da un vecchio paradigma a un nuovo paradigma, in cui la conversione è concepita come esperienza più processuale che puntuale, più ricorrente che unica, più collocabile nella giovinezza e nella prima età adulta che nell'adolescenza, più attivamente agita che emozionalmente sentita, più come realizzazione personale che come trasformazione drammatica.

L'interesse della psicologia religiosa verte anche sul fenomeno delle de-conversioni da una fede religiosa e delle dis-affiliazioni dalle istituzioni religiose. Anche la sociologia, tra le scienze umane, ha dedicato attenzione, specialmente negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, alla conversione, giungendo a prospettarla quale chiave di lettura della religiosità contemporanea. Le figure simboliche che più efficacemente la rappresentano sono quella del pellegrino, che evidenzia la costruzione biografica della propria identità religiosa, e specialmente quella del convertito, che esprime come l'identità religiosa può essere solo un'identità di scelta. Il concetto di conversione, inteso oggigiorno in senso più individuale che collettivo, non trova riscontro solo nella sfera religiosa, ma viene riferito anche al cambiamento degli stili di vita in altre sfere dell'esistenza personale, quali quelle alimentare, sessuale, sociale.

La pluralizzazione del concetto di conversione, se da un lato lo accredita come un «concetto ospitale», che può essere variamente declinato, dall'altro esige che sia riqualificato in senso propriamente teologico, cioè nel senso per cui la conversione è data dal concorso dell'azione divina e dell'azione umana.

Il secondo capitolo recensisce la storia della Chiesa mirando all'individuazione di paradigmi di conversione caratteristici di alcuni periodi, anche di lunga durata. L'attenzione si concentra anzitutto sui primi secoli dell'era cristiana, considerando la complessa vicenda della conversione dell'impero romano alla religione cristiana, la sua strutturazione nel catecumenato e quindi il suo identificarsi con il monachesimo. In epoca moderna, una nuova concezione della conversione è colta in riferimento alla Riforma protestante e soprattutto in rapporto alla diffusione del cristianesimo nei territori di missione conosciuti con la scoperta del Nuovo Mondo. Giungendo all'epoca attuale si nota, da una parte, una diffusa ripresa dei discorsi sulla conversione, e d'altra parte, invece, una certa diffidenza rispetto all'annuncio della conversione, cui andrebbe preferito l'atteggiamento della tolleranza religiosa.

Il terzo capitolo mette a fuoco il senso della conversione nell'attuale orizzonte dell'annuncio missionario. Se per un verso il pluralismo religioso ha indotto taluni ad abbandonare l'idea della missione come conversione di tutti i popoli a Cristo, per altro verso ha sollecitato altri a ripensare la missione della Chiesa, passando dall'idea che extra ecclesiam nulla salus a quella che sine ecclesia nulla salus. La Chiesa non è cioè più intesa come luogo unico di salvezza, ma come luogo paradigmatico di attestazione della realtà integrale della salvezza, che suscita attrazione senza scadere nel proselitismo. A questo riguardo, particolare attenzione è riservata al pensiero del teologo Christoph Theobald, il quale prospetta la conversione pastorale di tutta la Chiesa quale suo stile di presenza e di testimonianza nel mondo contemporaneo.

Il quarto capitolo, notando le difficoltà insite nell'entrare e nell'uscire da una religione, considera la visione e la regolamentazione della conversione nelle grandi religioni, passando in rassegna l'ebraismo, l'induismo, l'islam e, nell'ambito del cristianesimo, il cattolicesimo.

Le molteplici prospettive, scientifiche, filosofiche e religiose, nonché i numerosi contenuti presentati nel volume di Ugo Sartorio, lo rendono senz'altro di interesse per chi intendesse affrontare il tema della conversione. Lo studio non presenta un disegno compiuto, quanto piuttosto traccia delle linee e offre un abbozzo per la sua trattazione. Lo stesso autore, congedandosi dai lettori, confida che la sua «impressione è quella di aver appena scalfito un tema come quello della conversione, che esigerebbe di essere declinato in molte altre prospettive», e che «terrà impegnata la teologia ancora per molti anni».


A. Fumagalli, in La Scuola Cattolica 1/2022, 176-178

Molteplici sono le ragioni che giustificano l'opportunità di uno studio sul tema della conversione. Anzitutto vanno constatati l'interesse che la questione riscuote a livello di scienze sociali e il fatto che la sociologia religiosa già da alcuni anni ha assunto proprio la categoria del convertitocome cifra sintetica del credente di oggi. A tali fattori si aggiungono l'espansione del cosiddetto "cristianesimo di conversione", di matrice evangelica e pentecostale, nonché la provocazione lanciata dal pluralismo religioso. Questo, infatti, interroga la riflessione teologica sul rapporto tra missione e conversione: «Uno dei punti decisivi del dibattito contemporaneo sulla conversione è certamente quello dell'annuncio missionario: è una proclamazione in vista della conversione alla fede in Cristo, e come tale va ancora inteso, o è da sostituire con il dialogo interreligioso in vista del bene comune dell'umanità?» (7).

Il testo di Sartorio si iscrive nel solco di questa problematica e, senza la pretesa di esaustività, cerca di rendere conto della pluralità di discorsi con cui il tema conversione viene oggi affrontato e di cui è necessario essere edotti per indagarlo anche teologicamente. Da qui deriva l'articolazione in quattro capitoli a cui corrispondono quattro differenti approcci altema stesso.

Il primo capitolo dà spazio alla riflessione filosofica e alconfronto con alcuni ambiti delle scienze sociali; il secondo ricostruisce il concetto di conversione dentro la storia del cristianesimo; il terzo intende affrontare di petto il tema della conversione in rapporto alla missione ecclesiale; il quarto è dedicato all'indagine sul diritto a convertirsi dentro alcune delle principali esperienze religiose. Chiude il testo un breve congedo in cui vengono ricapitolati i passaggi principali del testo.

La questione teologica che, rispetto all'economia complessiva del testo, entra in gioco soprattutto nel terzo capitolo, è convocata già nel primo (Conversione: una pluralità di approcci).Il suo obiettivo, infatti, consiste nel provocare la riflessione teologica mediante il confronto con le modalità che alcuni apporti delle scienze sociali manifestano rispetto al tema e che, appunto, non possono non venir considerati dalla riflessione teologica. Della psicologia, mediante lo studio del pensiero di alcuni autori, Sartorio sottolinea in particolare il passaggio che nella seconda metà del XX secolo si è realizzato da un paradigma di comprensione della conversione che accentuava il legame tra questa e l'eccezionalità di un evento e, in particolare, la condizione adolescenziale, adun nuovo paradigma per cui la conversione e un tratto tipico dell'età adulta/matura, che si riferisce ad un percorso progressivo più che a qualcosa di subitaneo. Quanto allasociologia, viene anzitutto ripresa la tesi di D. Hervieu-Léger secondo cui ilconvertito, insieme al pellegrino, designa l'abbandono di identità religiose ereditate in favore della centratura sulla scelta che il sé pone; su di essa insiste anche l'osservazione di O. Roy per il quale oggi «assistiamo non a massicce conversioni di gruppo […] ma a un flusso infinito dì conversioni individuali, e questo ci dice che la "dimensione individuale è la chiave per comprendere le moderne conversioni"» (32). Per il sociologo G. Giordan la centralità del soggetto, dentro lo scenario pluralistico attuale, fa sì che «la conversione non appare più come qualcosa di drammatico, come una scelta angosciante tra bene e male […]. Una volta ammesso che tutte le religioni sono uguali, dunque, che senso assume la conversione?» (33). Su questa scia, si inserisce la considerazione di S. Blouin secondo cui oggi esiste anche una conversione senza religione: essa accade come trasformazione in riferimento a convinzioni intime e a determinati valori pubblici, ma non ha bisogno di chiamare in causa Dio.

Da questi approcci la teologia è provocata a complicare la sua comprensione della conversione, superando un accostamento apologetico e cercando in particolare di rendere conto di come la conversione coinvolga tutte le dimensioni dell'esistenza (1), dispiegandosi nel tempo (2), in un legame tra iniziativa divina e impegno umano (3).

A queste domande, si aggiunge la provocazione complessiva del secondo capitolo (La conversione al cristianesimo. Modelli, tendenze, percorsi)che, con un approccio storico, mostra iltrasformarsi nei diversi contesti della comprensione della conversione. Si possono riconoscere questi grandi affreschi: nei primi secoli la conversione come passaggio (esterno) al cristianesimo trova una sua istituzionalizzazione pratica mediante il catecumenato; esso va in decadenza quando la società è complessivamente cristiana e la convernione diventa trasformazione (interna) profonda del proprio sé ad appannaggio soprattutto dei monaci; segue la reazione luterana cbe richiama l'istanza secondo cui la conversione, che è anzitutto opera di Dio, è per tutti e non soltanto per qualcuno all'interno della Chiesa; la stagione missionaria, che ha la propria accelerazione nel XVI secolo, applica laconversione soprattutto acoloro che abitano le terre di missione, divenendo sinonimo di conquista; la sua problematizzazione avviene a metà del XX secolo quando l'Europa stessa si scopre terra di missione e bisognosa di conversione; ma ormai le spinte culturali, con l'incrinarsi del concetto di verità, fanno sì che «la conversione diventa un questione di gradimento personale, opzione individuale per la ricerca di una migliore realizzazione di sé, e soprattutto può essere reiterata all'infinito, perdendo il suo carattere di unicità e soprattutto di drammaticità» (80-81).

Le sollecitazioni emerse ai capitoli precedenti vengono raccolte e considerate sotto il profilo teologico nel capitolo terzo (Annuncio missionario e conversione). Con il riferimento a J. Hick e P.F. Knitter, Sartorio si confronta con il filone della teologia pluralista, sintetizzandone il pensiero e, al contempo, mostrandone quei riduzionismi (gnoseologico, soteriologico, antropologico, storico) alla cui radice sta l'obliterazione del tema della verità. In nome dell'istanza per cui la verità divide, questa prospettiva teologica sostiene infatti un atteggiamento di confronto tra le religioni che, mettendo da parte il loro desiderio di assolutezza, si dispiega nella disponibilità al mutuo apprendimento e ad un dialogo che approda ad una condivisa finalizzazione al bene. L'Autore mostra poi la dura critica che, a tale linea teologica, è stata rivolta dal magistero, in particolare dall'enciclica Redemptioris missio di Giovanni Paolo II: essa ribadisce la decisività del riferimento a Cristo e la necessità della mediazione ecclesiale.

L'esito consiste in un superamento della riduzione della missione al dialogo edel falso dilemma tra "missione come annuncio" e "missione come dialogo": «Il dialogo della chiesa con le religioni, infatti, non è solo motivato dalla consapevolezza che la verità da servire è più grande di ognuno degli interlocutori, ma si radica nell'originalità assoluta dell'incontro in Cristo con il fratello»(99). Da questa convinzione derivano alcune riprese che Sartorio propone sul dialogo interreligioso (117-123), inteso non come sostitutivo della missione, ma come interno ad essa, e sulla devianza che la missione assume quando sfocia nel proselitismo: «rispetto all'evangelizzazione è come l'erotismo rispetto all’amore, perché ha di quest'ultimo le movenze ma è senz'anima, senza un vero interesse per l'altro, essendo la sua intenzionalità unicamente captativa e manipolatoria» (127).

Dentro la più ampia tematica della missione, Sartorio si confronta anche con gli studi di C. Theobald e con la sua ricomprensione della missione nell'orizzonte di un'Europa ormai secolarizzata: in lui prevale il riferimento alla nozione di stile evangelizzatore e l'accento è posto non tanto sull'obiettivo di conversione dell'altro, quanto sulla conversione della Chiesa. La missione ecclesiale consiste, infatti, nel «mettere in luce e attivare la fede dovunque essa sia, anche là dove non ci si aspetta» (114).

Il quarto e ultimo capitolo (Il diritto di converstirsi) mostra come la questione della conversione venga compresa e accolta (o rifiutata) all'interno di alcune delle principali religioni a livello mondiale: ebraismo, induismo, islam e cristianesimo. Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, Sartorio ricostruisce il modo in cui al Vaticano II, grazie in particolare al documento Dignitatis humanae,si è affrontata laquestione della libertà religiosa. Essa è certo teologica, ma interagisce con problematiche di carattere legislativo e statale. Ciò emerge soprattutto in alcune regioni del mondo come l'India, con le sue leggi anti-conversione, e come alcune nazioni islamiche, segnate dall'impossibilità di convertirsi. La questione non è pacifica neppure in Europa, poiché interagisce con la discussa postura della laicità: «La libertà religiosa viene confusa, dallo Stato come dai singoli credenti, con una presunta neutralità, presunta nel senso che contiene un retropensiero tutto sommato sfavorevole alla religione, il che trasforma la laicità inuna laicità oppositiva, tutt'altro che neutrale» (179).

Dalla breve ricognizione del testo qui proposta, emerge un quadro variegato, sicuramente stimolante. Molti temi, come il rapporto tra dialogo e annuncio e quello tra verità e pluralismo, meritano un approfondimento ulteriore sia di carattere teologico-fondamentale/sistematico che di taglio pastorale. Lo studio di Sartorio lo prepara in modo efficace.


P. Carrara, in Teologia 1/2022, 175-177

La collana è la prestigiosa «Biblioteca di teologia contemporanea» di Queriniana. L’autore, Ugo Sartorio, un teologo capace di divulgazione. Il tema è quello, caldo e spinoso insieme, della conversione. Sotto il profilo teologico «un concetto controverso, una sfida per la missione cristiana».

Basterebbe ricordare quanto accade in Paesi come l'India, dove sono in vigore norme anticonversione, o all'impossibilità, in alcune nazioni islamiche, di convertirsi al cristianesimo senza incorrere in dure sanzioni, per comprendere quanto cruciale sia la questione. Quello che appare come un diritto scontato in Occidente non lo è in molti altri contesti. Ma naturalmente non possiamo dimenticare, né lo fa l'autore, che per secoli l'evangelizzazione cristiana ha puntato, più che sulla testimonianza disarmata di Cristo, sul tentativo di annessione, non di rado violenta, di nuovi fedeli alla Chiesa.

Nel volume, oltre a una rilettura storica del tema, l'autore si misura con alcuni degli interrogativi più delicati: la conversione è un evento improvviso, emozionale, o un processo che si distende nel tempo? Solo un fatto personale o tale da coinvolgere il gruppo di appartenenza? E infine: è ancora attuale l'annuncio cristiano in vista della conversione?

Tra le risposte offerte, che l'autore presenta attingendo al pensiero di Christoph Theobald, c'è l'affermazione chiara che la missione della Chiesa, in un'epoca segnata dal pluralismo, deve porsi al riparo da ogni sospetto di proselitismo, senza per questo rinunciare alla proposta veritativa che le è propria.


G. Fazzini, in Jesus 2/2022, 93