Teologia a rilascio lento, buona per tener fertile la vita cristiana nell'inverno ecclesiale che stiamo vivendo. Questo saggio ci getta lungo una frontiera viva e vivace dove l'incontro e il dialogo profondo non sono posture teologiche predicate al sicuro ciascuno delle proprie chiese, ma esperienze quotidiane vissute sul territorio scomodo e spesso impetuoso dell'«altro».
È già noto a tutti chi sia Christian De Chergé (1937-1996) e le vicende vissute insieme coi suoi fratelli a Tibhirine. L’autore, poi, è già noto per averci parlato di loro in altri suoi saggi. Ottimo conoscitore degli scritti di De Chergé, in questo saggio ne trae con sapienza e competenza (in verità prende a piene mani dal lavoro di ricerca teologica importante fatta in équipe dall'Istituto di scienze religiose e teologia delle religioni di Marsiglia, da lui diretto) stavolta i caposaldi teologici che innervano, per poi emergere con tutta la loro novità, la vita e le opere dei beati de Chergé e fratelli.
Teologi perché monaci; monaci perché teologi. Nel dibattito odierno la loro teologia è pioniera, promessa, speranza non tanto per il dialogo interreligioso (e sarebbe già tanto), ma per la stessa teologia delle religioni. Novità?
L’autore caratterizza questa teologia come «teologia dell'incontro delle religioni». La stessa ci pare dei primi anni del cristianesimo. Difficile oggi perché si preferisce esercitarla in luoghi "sterili" per tutti dove si pratica la diplomazia più che la "visitazione" delle vite concrete.
Incontro si ha quando non solo vediamo l'altro dal nostro punto di vista, ma soprattutto quando l'altro feconda (ampliandola, arricchendola, rinnovandola) la nostra stessa fede. All'origine della vocazione monastica di De Chergé c'è il sangue di un musulmano. Un saggio da leggere soprattutto dai "teologi".
Dopo una sezione (3 cc.) dedicata a esporre le cornici storiche, teologiche e politiche del tema, si apre la vasta seconda parte (7 cc.) dove si trovano le questioni centrali: il posto dell'islam nel piano di Dio, le vie del dialogo, la comprensione di Cristo e della chiesa, la fondamentale prospettiva escatologica che radica in Dio pensieri, parole e opere. L’ultima parte (4 cc.) sono il tentativo di una sintesi teologica ben riassunta dal sottotitolo: per «una teologia della speranza». Emblematica per un giubileo che "vuol fare" della speranza la sua profezia.
D. Passarin, in
CredereOggi 1/2025, 152