Lo studio di Stefano Tessaglia rappresenta una preziosa occasione per mettere a fuoco un periodo storico che, sia a livello civile, sia a livello ecclesiale, sovente sfugge alla manualistica tradizionale e solo raramente è incorporato all'interno dei corsi istituzionali proposti dalle facoltà ecclesiastiche. È difficile, infatti, che lo sviluppo sistematico vada molto oltre il concilio Vaticano II. Con lo studio dei documenti conciliari, della loro genesi e del dibattito a cui hanno dato luogo, si pensa spesso di aver detto tutto il possibile sia per quello che riguarda lo studio della storia della Chiesa, sia per altre discipline quali l'ecclesiologia, l'antropologia, la morale, la liturgia. Ogni successivo approfondimento è affidato (necessariamente) alla trattazione monografica e specialistica. In effetti, il Vaticano II può essere a ragione considerato il baricentro del ripensamento teologico del Novecento, l'asse attorno al quale si sono sviluppate le maggiori questioni che avevano mosso audacemente Giovanni XXIII a radunare tutti i vescovi del mondo per una discussione vera e aperta sul futuro della Chiesa. Una prima osservazione non può prescindere dal fatto che, in generale, lo studio della contemporaneità a tutti i livelli è sovente penalizzato per motivi di tempo fino ad essere quasi espunto dalla programmazione accademica classica.
A questa lacuna di metodo, si aggiunge una considerazione di merito. I fenomeni di contestazione del post-concilio sono stati quasi sempre affrontati con approcci parziali, quando non ideologici. Il primo di questi tentativi è indubbiamente la rimozione, l'idea cioè per la quale, se ci sono stati dei sommovimenti di protesta e di ribellione, essi vanno ascritti a pochi individui isolati, vittime perlopiù di un più ampio movimento di contestazione che riguardava gli universitari e il mondo intellettuale. Si è trattato di un'ubriacatura di stampo marxista che è entrata surrettiziamente anche nella comunità credente proponendo una sorta di deriva orizzontalista che la caduta del muro di Berlino avrebbe spazzato via dalla storia. La seconda chiave di lettura è quella legata alla nostalgia: la contestazione avrebbe potuto rappresentare una vera riforma della Chiesa e sarebbe stata la vera traduzione del Vaticano II nel vissuto delle Chiese locali. La mancata recezione della gerarchia rispetto a tali istanze avrebbe provocato inevitabili ritardi che l'attuale pontificato sta mettendo in luce. Il treno della storia è però perduto per sempre.
Il lavoro di Tessaglia sfugge indubbiamente alle tentazioni più semplicistiche per proporre invece un'analisi rigorosa e documentata. Egli struttura la propria ricerca in cinque capitoli. Nei primi tre si incarica di contestualizzare il fenomeno della contestazione all'interno di un orizzonte più ampio senza il quale esso perderebbe le proprie radici e parte del suo senso. Gli anni Cinquanta e Sessanta sono stati caratterizzati dalla contrapposizione ideologica tra il blocco dell'Est e quello dell'Ovest che ha dato origine ad una quarantennale guerra fredda. Le profonde ferite lasciate dal secondo conflitto mondiale non si sono rimarginate pacificamente, ma sono state continuamente riacuite dalla guerra di Corea, del Vietnam, dall'instabilità politica di molti Stati dell'America Latina, dai conflitti per l'indipendenza di molti paesi coloniali. Si tratta di un quadro imprescindibile perché il ruolo svolto in politica estera dagli Stati Uniti è considerato una delle chiavi interpretative e uno dei fattori che maggiormente ha catalizzato il dissenso.
In Europa e in Italia la contestazione del Sessantotto è segnata dal mondo operaio e dalle condizioni lavorative nelle grandi fabbriche. L'Italia del dopoguerra ha conosciuto un progressivo abbandono del mondo rurale e l'esplosione delle grandi periferie del Nord con la loro richiesta di manodopera industriale. Non si è trattato di un passaggio indolore sia a causa della rapidità con cui esso è avvenuto, sia per le trasformazioni ambientali (l'improvvisa urbanizzazione di centri abitati che hanno visto decuplicare la propria popolazione nel giro di pochi anni), sia per le lotte politiche e sindacali mediante le quali si cercava di tutelare i diritti dei lavoratori.
È controverso affermare che la Chiesa abbia respirato empaticamente questo clima. Ci sono stati, è vero, esempi virtuosi di prossimità all'emigrazione, alla povertà, alle masse operaie, al mondo giovanile, ma si tratta pur sempre di fenomeni isolati e spesso animati dal principio patemalistico e asimmetrico della direttiva morale e dottrinale. È questo l'esempio dei cappellani del lavoro, la cui opera non è in discussione quanto ad autenticità e disinteresse, sebbene sia innegabile il suo essere estrinseca rispetto alle dinamiche della fabbrica e del lavoro in genere. Il vero punto di svolta è rappresentato dal concilio Vaticano II perché solo in esso la Chiesa ha modificato strutturalmente la propria posizione rispetto al mondo, pensandosi non "contro" o "di fronte", ma "nel" mondo contemporaneo, secondo il celebre incipit di Gaudium et spes. Opportunamente Tessaglia richiama dunque nel terzo capitolo non solo la genesi e lo sviluppo conciliare nelle sue linee essenziali, ma anche il difficile compito di Paolo VI di aiutare la Chiesa intera a recepire in modo fedele e creativo gli impulsi conciliari. Scrive lo storico: «Sebbene siano profonde le differenze che separano circostanze prettamente ecclesiali, come l'applicazione di un concilio e le necessarie riforme, da fenomeni sociali, quali la contestazione operaia e le proteste studentesche, occorre rilevare una certa sovrapposizione tra i due movimenti. La chiara coincidenza di luoghi e tempi, nonché di tematiche, favorì certamente le reciproche influenze e anche vere e proprie contaminazioni» (127).
Il quarto capitolo rappresenta il cuore della ricerca. In esso l'A. richiama le principali tappe di sviluppo della contestazione (Milano, Trento, Parma, Firenze, Bologna, Roma) mettendo in luce protagonisti, associazioni, contesti, e sottolineando di volta in volta ciò che era realmente gioco: il rapporto tra autorità e obbedienza, la questione della povertà, il ruolo del ministero, l'impegno politico dei cristiani come nuova e profetica forma di responsabilità. In una parola: la fedeltà della Chiesa al Vangelo. Le radici della contestazione sono molteplici, le domande svariate, le opzioni culturali molto diverse tra loro: «I giovani contestatori si dimostravano, anche nel nostro paese, particolarmente affascinati dalle aperture sociali e dalle garanzie di riscatto promesse dalle teorie marxiste e molti gruppi giovanili, guidati dai loro preti, si avvicinarono a queste tendenze. In Italia è del 1966 la pubblicazione del testo, di enorme diffusione, di don Giulio Girardi, Marxismo e cristianesimo, in cui è sostenuta non soltanto la possibilità teorica, ma anche la necessità pratica di instaurare un dialogo proficuo tra quei due sistemi di pensiero considerati tradizionalmente antitetici e inconciliabili» (131).
Il quinto e ultimo capitolo è dedicato all'atteggiamento di Paolo VI di fronte alla contestazione. Il pontificato di Montini è attraversato da letture profondamente diverse tra loro. Per alcuni egli è colui che ha tentato di normalizzare le spinte riformatrici del Vaticano II assecondando una minoranza conservatrice e a tratti isterica, operazione che lo ha condotto a forzare la mano durante il dibattito conciliare, ad introdurre la Nota esplicativa previa come argine alla dottrina della collegialità e a reprimere più o meno elegantemente l'aggiornamento del post-concilio. Espressione massima dell'atteggiamento intrinsecamente tradizionalista di Paolo VI sarebbe l'Humanae vitae, la pietra tombale collocata sopra ai tentativi di ripensamento della morale sessuale cattolica. Per altri, al contrario, si devono proprio a Montini tutti gli abusi del concilio e del post-concilio, alla sua debolezza caratteriale, alla sua indecisione, al suo timore, al suo atteggiamento prono rispetto alla modernità.
Lo studio di Tessaglia mostra con evidenza che l'atteggiamento del papa bresciano è irriducibile e non si presta ad alcuna semplificazione. Egli era infatti assai conscio della complessità della stagione storica che il mondo stava vivendo, dei grandi cambiamenti e del profondo rinnovamento che riguarda ogni forma di vita: «Il pensiero, il costume, la cultura, le leggi, il tenore economico e domestico, i rapporti umani, la coscienza individuale e collettiva, la società intera» (181). Tale complessità spinse Paolo VI a non avocare a sé ogni direttiva e ogni interpretazione del reale, bensì a ritenere indispensabile almeno il tentativo di incarnare concretamente quel dialogo di cui egli era stato un forte propugnatore. Per questo Montini «in quel tempo di contestazioni e di proteste, concedeva il giusto spazio alle riflessioni e anche alle prese di posizione delle comunità locali, in una sorta di decentramento o di principio di sussidiarietà di spirito tipicamente conciliare, che contrastava con chi avrebbe voluto accrescere ancora di più l'accentramento romano» (191). In Paolo VI è dunque chiaramente rinvenibile il tentativo di far progredire sempre più la Chiesa verso quell'ideale evangelico a cui essa è chiamata. È questo il motivo per cui il Papa di Concesio non riteneva ammissibile l'introduzione di categorie marxiste all'interno del pensiero credente, proprio per la ragione teologica per la quale la Chiesa non ha bisogno d'altro che del Vangelo tout court.
In definitiva, lo studio di Tessaglia si rivela uno strumento assai utile perché aiuta a mettere a fuoco le proteste e le occupazioni come un vero e proprio terremoto per la Chiesa, che contribuì ad accelerare «alcuni moti già in atto nel mondo cattolico» (256). È questo il motivo per cui egli ritiene plausibile «l'interpretazione di coloro che attribuiscono al concilio e alle sue idee fondamentali la scintilla scatenante della contestazione ecclesiale e per certi aspetti di tutto il movimento sessantottino» (256). Si tratta di una pagina di storia che ha ancora molto da dire alla Chiesa di oggi e di cui riappropriarsi in modo profetico perché da quello sforzo culturale i credenti di oggi possano trovare i criteri per orientarsi nel clima sociale odierno.
E. Brancozzi, in
Firmana 1/2019, 97-100