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Chiesa contestata, chiesa contestante
Stefano Tessaglia

Chiesa contestata, chiesa contestante

Paolo VI, i cattolici e il Sessantotto

Prezzo di copertina: Euro 22,00 Prezzo scontato: Euro 20,90
Collana: Books
ISBN: 978-88-399-2889-4
Formato: 13,5 x 21 cm
Pagine: 288
© 2018

In breve

Presentazione di Maurilio Guasco

Descrizione

Al centro di questo saggio vi è un momento particolare della storia recente della Chiesa: i movimenti di contestazione sorti anche all’interno di gruppi cattolici attorno al 1968 e la reazione di Paolo VI di fronte ai fermenti di questa protesta tutta ecclesiale ed interna. In quegli anni una Chiesa in aggiornamento – che usciva cioè dal Vaticano II trasformata nella liturgia, nell’organizzazione interna, nella comprensione di sé e del suo rapporto con la società moderna – incontrò i fermenti della contestazione sessantottina e assistette così alla nascita di un vero e proprio dissenso ecclesiale.
Si ripercorrono qui gli avvenimenti e si passano in rassegna i protagonisti, guardando anche al movimento generale di pensiero, alle sue radici, all’ancoramento al concilio da un lato e al Sessantotto dall’altro, ai principali temi emersi e agli sviluppi successivi.
Di fronte a questa straordinaria vitalità come reagiva il papa? L’autore coglie tutto il sentire di Paolo VI, ascoltando la sua viva voce e l’espressività sempre ricca, partecipe ed evocativa della sua parola. Nelle esortazioni di papa Montini emerge uno sforzo di comprensione raro e davvero umanissimo, che rende la sua figura molto più contemporanea a noi di quanto si possa pensare.

Recensioni

Lo studio di Stefano Tessaglia rappresenta una preziosa occasione per mettere a fuoco un periodo storico che, sia a livello civile, sia a livello ecclesiale, sovente sfugge alla manualistica tradizionale e solo raramente è incorporato all'interno dei corsi istituzionali proposti dalle facoltà ecclesiastiche. È difficile, infatti, che lo sviluppo sistematico vada molto oltre il concilio Vaticano II. Con lo studio dei documenti conciliari, della loro genesi e del dibattito a cui hanno dato luogo, si pensa spesso di aver detto tutto il possibile sia per quello che riguarda lo studio della storia della Chiesa, sia per altre discipline quali l'ecclesiologia, l'antropologia, la morale, la liturgia. Ogni successivo approfondimento è affidato (necessariamente) alla trattazione monografica e specialistica. In effetti, il Vaticano II può essere a ragione considerato il baricentro del ripensamento teologico del Novecento, l'asse attorno al quale si sono sviluppate le maggiori questioni che avevano mosso audacemente Giovanni XXIII a radunare tutti i vescovi del mondo per una discussione vera e aperta sul futuro della Chiesa. Una prima osservazione non può prescindere dal fatto che, in generale, lo studio della contemporaneità a tutti i livelli è sovente penalizzato per motivi di tempo fino ad essere quasi espunto dalla programmazione accademica classica.

A questa lacuna di metodo, si aggiunge una considerazione di merito. I fenomeni di contestazione del post-concilio sono stati quasi sempre affrontati con approcci parziali, quando non ideologici. Il primo di questi tentativi è indubbiamente la rimozione, l'idea cioè per la quale, se ci sono stati dei sommovimenti di protesta e di ribellione, essi vanno ascritti a pochi individui isolati, vittime perlopiù di un più ampio movimento di contestazione che riguardava gli universitari e il mondo intellettuale. Si è trattato di un'ubriacatura di stampo marxista che è entrata surrettiziamente anche nella comunità credente proponendo una sorta di deriva orizzontalista che la caduta del muro di Berlino avrebbe spazzato via dalla storia. La seconda chiave di lettura è quella legata alla nostalgia: la contestazione avrebbe potuto rappresentare una vera riforma della Chiesa e sarebbe stata la vera traduzione del Vaticano II nel vissuto delle Chiese locali. La mancata recezione della gerarchia rispetto a tali istanze avrebbe provocato inevitabili ritardi che l'attuale pontificato sta mettendo in luce. Il treno della storia è però perduto per sempre.

Il lavoro di Tessaglia sfugge indubbiamente alle tentazioni più semplicistiche per proporre invece un'analisi rigorosa e documentata. Egli struttura la propria ricerca in cinque capitoli. Nei primi tre si incarica di contestualizzare il fenomeno della contestazione all'interno di un orizzonte più ampio senza il quale esso perderebbe le proprie radici e parte del suo senso. Gli anni Cinquanta e Sessanta sono stati caratterizzati dalla contrapposizione ideologica tra il blocco dell'Est e quello dell'Ovest che ha dato origine ad una quarantennale guerra fredda. Le profonde ferite lasciate dal secondo conflitto mondiale non si sono rimarginate pacificamente, ma sono state continuamente riacuite dalla guerra di Corea, del Vietnam, dall'instabilità politica di molti Stati dell'America Latina, dai conflitti per l'indipendenza di molti paesi coloniali. Si tratta di un quadro imprescindibile perché il ruolo svolto in politica estera dagli Stati Uniti è considerato una delle chiavi interpretative e uno dei fattori che maggiormente ha catalizzato il dissenso.

In Europa e in Italia la contestazione del Sessantotto è segnata dal mondo operaio e dalle condizioni lavorative nelle grandi fabbriche. L'Italia del dopoguerra ha conosciuto un progressivo abbandono del mondo rurale e l'esplosione delle grandi periferie del Nord con la loro richiesta di manodopera industriale. Non si è trattato di un passaggio indolore sia a causa della rapidità con cui esso è avvenuto, sia per le trasformazioni ambientali (l'improvvisa urbanizzazione di centri abitati che hanno visto decuplicare la propria popolazione nel giro di pochi anni), sia per le lotte politiche e sindacali mediante le quali si cercava di tutelare i diritti dei lavoratori.

È controverso affermare che la Chiesa abbia respirato empaticamente questo clima. Ci sono stati, è vero, esempi virtuosi di prossimità all'emigrazione, alla povertà, alle masse operaie, al mondo giovanile, ma si tratta pur sempre di fenomeni isolati e spesso animati dal principio patemalistico e asimmetrico della direttiva morale e dottrinale. È questo l'esempio dei cappellani del lavoro, la cui opera non è in discussione quanto ad autenticità e disinteresse, sebbene sia innegabile il suo essere estrinseca rispetto alle dinamiche della fabbrica e del lavoro in genere. Il vero punto di svolta è rappresentato dal concilio Vaticano II perché solo in esso la Chiesa ha modificato strutturalmente la propria posizione rispetto al mondo, pensandosi non "contro" o "di fronte", ma "nel" mondo contemporaneo, secondo il celebre incipit di Gaudium et spes. Opportunamente Tessaglia richiama dunque nel terzo capitolo non solo la genesi e lo sviluppo conciliare nelle sue linee essenziali, ma anche il difficile compito di Paolo VI di aiutare la Chiesa intera a recepire in modo fedele e creativo gli impulsi conciliari. Scrive lo storico: «Sebbene siano profonde le differenze che separano circostanze prettamente ecclesiali, come l'applicazione di un concilio e le necessarie riforme, da fenomeni sociali, quali la contestazione operaia e le proteste studentesche, occorre rilevare una certa sovrapposizione tra i due movimenti. La chiara coincidenza di luoghi e tempi, nonché di tematiche, favorì certamente le reciproche influenze e anche vere e proprie contaminazioni» (127).

Il quarto capitolo rappresenta il cuore della ricerca. In esso l'A. richiama le principali tappe di sviluppo della contestazione (Milano, Trento, Parma, Firenze, Bologna, Roma) mettendo in luce protagonisti, associazioni, contesti, e sottolineando di volta in volta ciò che era realmente gioco: il rapporto tra autorità e obbedienza, la questione della povertà, il ruolo del ministero, l'impegno politico dei cristiani come nuova e profetica forma di responsabilità. In una parola: la fedeltà della Chiesa al Vangelo. Le radici della contestazione sono molteplici, le domande svariate, le opzioni culturali molto diverse tra loro: «I giovani contestatori si dimostravano, anche nel nostro paese, particolarmente affascinati dalle aperture sociali e dalle garanzie di riscatto promesse dalle teorie marxiste e molti gruppi giovanili, guidati dai loro preti, si avvicinarono a queste tendenze. In Italia è del 1966 la pubblicazione del testo, di enorme diffusione, di don Giulio Girardi, Marxismo e cristianesimo, in cui è sostenuta non soltanto la possibilità teorica, ma anche la necessità pratica di instaurare un dialogo proficuo tra quei due sistemi di pensiero considerati tradizionalmente antitetici e inconciliabili» (131).

Il quinto e ultimo capitolo è dedicato all'atteggiamento di Paolo VI di fronte alla contestazione. Il pontificato di Montini è attraversato da letture profondamente diverse tra loro. Per alcuni egli è colui che ha tentato di normalizzare le spinte riformatrici del Vaticano II assecondando una minoranza conservatrice e a tratti isterica, operazione che lo ha condotto a forzare la mano durante il dibattito conciliare, ad introdurre la Nota esplicativa previa come argine alla dottrina della collegialità e a reprimere più o meno elegantemente l'aggiornamento del post-concilio. Espressione massima dell'atteggiamento intrinsecamente tradizionalista di Paolo VI sarebbe l'Humanae vitae, la pietra tombale collocata sopra ai tentativi di ripensamento della morale sessuale cattolica. Per altri, al contrario, si devono proprio a Montini tutti gli abusi del concilio e del post-concilio, alla sua debolezza caratteriale, alla sua indecisione, al suo timore, al suo atteggiamento prono rispetto alla modernità.

Lo studio di Tessaglia mostra con evidenza che l'atteggiamento del papa bresciano è irriducibile e non si presta ad alcuna semplificazione. Egli era infatti assai conscio della complessità della stagione storica che il mondo stava vivendo, dei grandi cambiamenti e del profondo rinnovamento che riguarda ogni forma di vita: «Il pensiero, il costume, la cultura, le leggi, il tenore economico e domestico, i rapporti umani, la coscienza individuale e collettiva, la società intera» (181). Tale complessità spinse Paolo VI a non avocare a sé ogni direttiva e ogni interpretazione del reale, bensì a ritenere indispensabile almeno il tentativo di incarnare concretamente quel dialogo di cui egli era stato un forte propugnatore. Per questo Montini «in quel tempo di contestazioni e di proteste, concedeva il giusto spazio alle riflessioni e anche alle prese di posizione delle comunità locali, in una sorta di decentramento o di principio di sussidiarietà di spirito tipicamente conciliare, che contrastava con chi avrebbe voluto accrescere ancora di più l'accentramento romano» (191). In Paolo VI è dunque chiaramente rinvenibile il tentativo di far progredire sempre più la Chiesa verso quell'ideale evangelico a cui essa è chiamata. È questo il motivo per cui il Papa di Concesio non riteneva ammissibile l'introduzione di categorie marxiste all'interno del pensiero credente, proprio per la ragione teologica per la quale la Chiesa non ha bisogno d'altro che del Vangelo tout court.

In definitiva, lo studio di Tessaglia si rivela uno strumento assai utile perché aiuta a mettere a fuoco le proteste e le occupazioni come un vero e proprio terremoto per la Chiesa, che contribuì ad accelerare «alcuni moti già in atto nel mondo cattolico» (256). È questo il motivo per cui egli ritiene plausibile «l'interpretazione di coloro che attribuiscono al concilio e alle sue idee fondamentali la scintilla scatenante della contestazione ecclesiale e per certi aspetti di tutto il movimento sessantottino» (256). Si tratta di una pagina di storia che ha ancora molto da dire alla Chiesa di oggi e di cui riappropriarsi in modo profetico perché da quello sforzo culturale i credenti di oggi possano trovare i criteri per orientarsi nel clima sociale odierno.


E. Brancozzi, in Firmana 1/2019, 97-100

Tra i diversi volumi editi nel 2018, vuoi dedicati al cinquantennale del Sessantotto, vuoi alla figura di Paolo VI nel quarantennale della sua morte - o se si preferisce nell'anno della sua canonizzazione -, merita d'essere citato anche questo lavoro di Stefano Tessaglia, presbitero della diocesi di Alessandria. E non solo perché ci si trova davanti a un saggio scritto in un linguaggio chiaro e dunque in grado di rivolgersi a fasce diverse di lettori.

Il suo pregio principale è infatti la capacità di mettere i due argomenti - l'anno della contestazione e papa Montini – in una relazione dinamica e stratificata, che sì osserva il 1968 su scala globale, ma poi scende sul terreno dei mutamenti ecclesiali ben al di là della dinamica base-magistero, evidenziandone radici, nodi problematici, teologie e culture di riferimento.

È una scelta vincente, o almeno capace di scansare l'agguato delle interpretazioni troppo rigide, incapaci di restituire la ricchezza della storia o abilissime a intrappolarla nei loro manicheismi. È una scelta che libera lo stesso Paolo VI dalle etichette appiccicategli addosso ai suoi tempi, per farne un Pontefice capace di aprire – con mitezza e capacità di mediazione - le vie del cristianesimo del futuro.
A. Guasco, in Jesus 5/2019, 92

Il 2018 è stato ricco di incontri, convegni, seminari di studio, pubblicazioni per richiamare alla memoria l’evento del Sessantotto e riflettervi in maniera critica a cinquant’anni dal suo imporsi alla cultura internazionale. Il volume di Tessaglia affronta il problema della contestazione nella Chiesa da parte di movimenti cattolici durante il pontificato di Paolo VI e come egli abbia risposto e agito.

Un testo interessante, non solo per la tematica indagata, ma anche per il modo in cui è accostata: metodo storico, ricchezza di documentazione, ampia e fondata bibliografia consultata.

Il volume si compone di cinque capitoli tra loro ben strutturati e in sequenza logica: 1. Il contesto storico; 2. Il “68 e la contestazione; 3. La vita della Chiesa; 4. La contestazione nella Chiesa; 5. Paolo VI di fronte alla contestazione. Seguono alcune pagine dal titolo Quale bilancio?, la ricca Bibliografia e l’Indice dei nomi.

Il contesto storico, posto all’inizio, risulta fondamentale per comprendere le motivazioni e le radici profonde della contestazione, che culmina nel ‘68. Infatti, sondare gli anni che vedono affacciarsi sulla scena politica Kennedy, Kruscëv e Mao; far notare il clima della guerra fredda tra Stati Uniti e Russia in un crescendo di tensione; annotare l’impatto sui giovani della rivoluzione culturale della Cina e la guerra del Vietnam, l’instabilità politica dell’America Latina; i cambiamenti sociali dell’Italia degli anni ’60, fa cogliere alla sorgente quei fermenti di generale insoddisfazione, di tensione verso nuove forme di pensiero, di politica, di autorità, che nel clima rinnovato dal Concilio Vaticano II troveranno terreno fecondo nel dissenso ecclesiale.

Il riferimento al ‘68 e alla contestazione verificatasi a livello internazionale, con particolare attenzione al “maggio francese”, il “maggio di Parigi” con l’occupazione della Sorbona e il tentativo degli studenti di organizzare una forma di democrazia diretta con il famoso slogan “l’immaginazione al potere”, consente di inserire nella contestazione più vasta quella italiana avviata con le agitazioni studentesche che si verificarono all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, alla Facoltà di Sociologia dell’Università di Trento, per poi estendersi a molte altre sedi universitarie. La contestazione sessantottina ebbe nel nostro Paese una forte connotazione in senso marxista e rivoluzionario. Sempre in Italia, sebbene i cattolici negli anni del dopoguerra costituissero la comunità religiosa culturalmente dominante, in diversi ambienti s’iniziava a percepire il progressivo distacco dalla fede tradizionale e dalla pratica religiosa, in particolare nelle aree urbane.

L’elezione di Giovanni XXIII, insieme ad alcuni suoi gesti semplici e spontanei, l’enciclica Pacem in terris in cui per la prima volta si afferma che nell’età della bomba atomica e degli armamenti nucleari una guerra non può definirsi giusta, l’annuncio di un concilio per il mondo, imprimono un nuovo corso nel cammino della Chiesa. Il Concilio Vaticano II iniziato da Giovanni XXIII sarà continuato, portato a termine e fatto recepire da Paolo VI, che deve far fronte con notevole equilibrio e saggia fermezza alle tensioni interne alla stessa assise come a quelle esterne. Infatti i credenti, grazie al clima di libera discussione avvertita nell’assemblea conciliare, all’impegno di recepire il Vaticano II e i suoi documenti, in particolare la Gaudium et spes, hanno la sensazione di «essere all’inizio di un nuovo corso del cammino della Chiesa e si diffonde l’ideale di una realtà ecclesiale in cui i cambiamenti si sarebbero potuti moltiplicare ancora e ancora: nell’impegno in prima persona dei laici, con una crescita della comunione e della partecipazione nelle comunità, nel dialogo con i credenti di altre religioni o Chiese, costruendo insieme opere di giustizia e di pace, nella solidarietà con gli emarginati della società dei consumi e con i popoli in via di sviluppo, in orientamenti politici ed etici rinnovati e più solidali» (p. 126).

Tale clima favorisce un’influenza reciproca ed anche vere e proprie contaminazioni tra la contestazione operaia, le proteste studentesche del ‘68 e ampi settori del clero e del laicato, che non si accontentano più di adeguare le proprie scelte di vita all’obbedienza della Chiesa e non accettano l’autoritarismo nella comunità cristiana, nella famiglia, nella scuola decisi a percorrere strade nuove. In tale contesto nasce e si sviluppa una vera e propria contestazione della Chiesa e della sua gerarchia.

Che Guevara, Fidel Castro, Camillo Torres sono le figure emblematiche di riferimento sia dei giovani contestatori del mondo come dei cattolici. Oltre a ciò non va dimenticato che, in Italia, negli anni Sessanta si afferma la rivista Testimonianze di padre Balducci, si diffondono le opere di don Primo Mazzolari, riemerge don Zeno di Nomadelfia, si ascolta con interesse padre Turoldo, nel 1967 viene pubblicata Lettera a una professoressa di don Lorenzo Milani e della sua scuola di Barbiana. Nel 1968 sono pubblicati o tradotti tre volumi, che hanno un impatto notevole sulle comunità: Resistenza e resa di D. Bonhoeffer, Introduzione al cristianesimo di J. Ratzinger e Sulla teologia del mondo di J. B. Metz. Quando nel settembre del 1968 I protagonisti - gruppo di giovani studenti insieme a giovani preti - occupano la cattedrale di Parma, la comunità di uno dei quartieri più poveri di Firenze, l’Isolotto, esprime la propria solidarietà agli occupanti divenendo il simbolo della contestazione in Italia. Questa non si ferma a studenti o giovani sacerdoti, ma è espressa anche da teologi, da sacerdoti professori in università di orientamento cattolico e, con le loro pubblicazioni, orientano all’ideologia marxista e all’agire rivoluzionario. Paolo VI, sempre aperto agli eventi che vuole comprendere nelle loro profonde ragioni e che non si azzarda a dare giudizi avventati, si trova nell’“occhio del ciclone” del dissenso ecclesiale, soprattutto dopo l’uscita delle encicliche Humanae vitae (1968) e Sacerdotalis coelibatus (1967).

L’Autore, grazie alla ricca scelta di testi, che rimandano alle Udienze generali, ai Discorsi tenuti a cardinali e parroci, coglie tutto il sentire di Paolo VI. Se da una parte egli sollecita il dialogo nella Chiesa, l’apertura al mondo voluta dal Concilio, dall’altra ricorda i limiti oltre i quali il credente non può andare. Infatti il Concilio Vaticano II rimase per papa Montini «l’ideale a cui tutti i credenti dovevano guardare e da cui farsi guidare, la bussola del suo pontificato, per portare a compimento quel necessario aggiornamento iniziato da Giovanni XXIII, rifiutando però sempre ogni eccesso distruttivo o di utopia rivoluzionaria. […] Bisogna così riconoscere che uno dei meriti principali di Paolo VI nei confronti del Vaticano II consistette nel preparare le condizioni per una sua attuazione che si prolungasse nel tempo e che fosse quindi conciliabile con il contesto e gli usi di tutta la Chiesa» (p. 227-228). Pertanto, nelle esortazioni di papa Montini emerge uno sforzo di comprensione raro e davvero umanissimo, che rende la sua figura molto più contemporanea a noi di quanto si possa pensare.

Concludendo, posso dire di condividere pienamente quanto scritto sulla quarta di copertina, che sintetizza la qualità del testo in esame: «Un illuminante saggio storicoteologico per ricordare, per capire, per pensare».


R. Lanfranchi, in Rivista di Scienze dell’Educazione 1/2019, 164-167

Quale fu l’atteggiamento di Paolo VI rispetto al Sessantotto? Alcuni discorsi pronunciati all’udienza generale del mercoledì nei mesi successivi alle proteste di maggio ci aiutano a capire la sua posizione. Il 15 gennaio 1969, ad esempio, il pontefice diceva: «L’età nostra segna una stagione storica di grandi cambiamenti e di profondo rinnovamento, che toccano ogni forma di vita: il pensiero, il costume, la cultura, le leggi, il tenore economico e domestico, i rapporti umani, la coscienza individuale e collettiva, la società intera». Montini poi specificava che «l’attuale generazione è come inebriata da questa mutazione», notando però in questa frenesia di cambiamento il manifestarsi di «segni di impazienza e di intolleranza». L’esaltazione della novità fine a se stessa portava a dimenticare il passato e ad abbandonare la tradizione in toto: «Così si parla sempre di rivoluzione, così si solleva in ogni campo la contestazione, senza spesso che ne sia giustificato né il motivo, né lo scopo». Poche settimane dopo, il 5 marzo, il papa cambiava i toni e ribadiva la visione positiva e ottimistica del mondo espressa dal Concilio: il mondo non è da intendere come il regno delle tenebre e del peccato, ma va identificato con l’umanità, e di fronte a esso la Chiesa «non evade, non si estranea dalla situazione esistenziale del mondo». Rivolgendosi poi ai fedeli il 10 settembre di quell’anno, riconosceva «il fondo di bontà che c’è in ogni cuore; conosciamo i motivi di giustizia, di verità, di autenticità, di rinnovamento, che sono alla radice di certe contestazioni, anche quando queste sono eccessive, ingiustificate e quindi riprovevoli», soprattutto «quelle dei giovani partono per lo più da reazioni e da aspirazioni che meritano considerazione e obbligano a rettificare il giudizio dell’etica sociale, viziato da abusi inveterati e al giorno d’oggi insostenibili».

Leggendo queste e tante altre prese di posizione, si comprende come la riflessione di Paolo VI sia stata meditata e articolata. Da un lato egli cercava di valorizzare le giuste istanze di cambiamento, nella società e nella Chiesa, dall’altro si premurava di sottolineare come il processo di riforma non dovesse mai tralignare nel rigetto totale della tradizione o assumere forme violente. Le sue parole non sono mai dure o intransigenti, ma partecipi e a volte sofferte. In ogni caso, in lui nessun tentennamento, come qualcuno ingiustamente ha rilevato. Anche quando, alcuni anni più tardi, probabilmente addolorato per la rottura lefebvriana ed esasperato per alcune spinte del dissenso cattolico che arrivavano a mettere in discussione le fondamenta stessa della Chiesa, alluse al «fumo di Satana» che aveva portato incertezza, buio e tempesta all’interno del «tempio di Dio», egli non abbandonava il concetto di Ecclesia semper reformanda. La posizione di Montini rispetto al maggio ’68 e al postConcilio è assai ben ricostruita nel volume Chiesa contestata, Chiesa contestante. Paolo VI, i cattolici e il Sessantotto, appena pubblicato da Stefano Tessaglia per i tipi di Queriniana (pagine 282, euro 22,00; prefazione di Maurilio Guasco). Si tratta di un saggio storico-teologico che, senza operare un collegamento diretto, ci fa capire come il rapporto fra cattolici e ’68 sia stato determinato dalle aperture del Vaticano II: «Sebbene siano profonde – scrive l’autore – le differenze che separano circostanze prettamente ecclesiali, come l’applicazione di un concilio e le necessarie riforme, da fenomeni sociali, quali la contestazione operaia e le proteste studentesche, occorre rilevare una certa sovrapposizione fra i due movimenti».

È del resto innegabile la partecipazione dei cattolici al Sessantotto, così come i contenuti della protesta sono in gran parte desumibili da quanto emerso dal Concilio: l’aspirazione all’uguaglianza e alla giustizia, la messa in discussione di modelli autoritari e la richiesta di una partecipazione comunitaria, la condivisione con i poveri e gli emarginati, l’apertura verso il Terzo mondo. Il volume ripercorre vari eventi che scossero la società e la Chiesa italiana, dall’occupazione dell’Università Cattolica nel novembre 1967 alle proteste alla facoltà di Sociologia di Trento che videro protagonisti gli studenti cattolici, fino a gesti clamorosi come l’occupazione del Duomo di Parma. «Questo multiforme e complesso processo – scrive Tessaglia – non ebbe come esito immediato l’allontanamento dalla fede o da modelli di vita cristiani», anzi la spinta propulsiva era proprio il desiderio di un radicamento reale nel Vangelo e nella distanza dal potere, in nome del pauperismo. Così, il cardinale Pellegrino, arcivescovo di Torino, quando 150 operaie di una fabbrica occuparono una chiesa, disse: «Se hanno scelto la chiesa preferendola a una sede sindacale o di un partito perché convinti che la Chiesa è dei poveri, il loro gesto ci conforta. Cristo si sente più onorato dalla presenza di persone che riversano pene e reclamano riconoscimenti di diritti che dal silenzio dovuto all’assenza di gente». Sulla stessa linea Adriana Zarri: «Non ci lamentavamo delle chiese vuote e ci lamentiamo delle chiese occupate, non ci lamentavamo del disinteresse e ci lamentiamo della contestazione appassionata. Forse non meritiamo questo fenomeno stupendo e meriteremmo che tutto tornasse come prima: grigi fedeli devoti e assenti, che naufragano nel disinteresse generale. Staremmo tutti più tranquilli. Saremmo tutti più morti». Sulla scia del Concilio, si invocava una Chiesa che seguisse il modello delle Beatitudini, una Chiesa che stesse dalla parte dei poveri, degli oppressi e dei perseguitati. Ovvio ricordare che questi fermenti portarono pure a numerosi eccessi, quelli che fecero preoccupare Montini, sino all’abbandono della fede cristiana da parte di molti, anche preti, che scelsero l’impegno sociopolitico esclusivo. Tessaglia distingue tre fasi del dissenso ecclesiale: una prima, subito dopo il Concilio, la cui problematica è tutta interna alla Chiesa; una seconda, dopo il ’68, in cui prevale la politicizzazione e inizia la critica alla Chiesa vista come luogo di potere; una terza, dopo il 1970, che vede nascere i movimenti delle comunità di base e dei cristiani per il socialismo.

Nel 1968 il Vaticano II si era concluso da solo tre anni e la Chiesa cattolica era impegnata in un processo di riforma che è giunto fino a oggi. Inutile negare che vi furono ritardi, incomprensioni, fughe in avanti, come il cedimento di alcune correnti teologiche e di alcuni movimenti di base verso l’ideologia marxista. L’aveva ben capito Oscar Romero che nel 1965, alla chiusura del Concilio, scrisse: «La Chiesa è in un momento di aggiornamento, cioè di crisi della sua storia. E come tutti gli aggiornamenti emergono due forze antagoniste: da una parte un affanno smisurato di novità, definito da Paolo VI “sogni arbitrari di rinnovamenti artificiosi”; e dall’altra parte, un attaccamento all’immobilità delle forme rivestite dalla Chiesa lungo i secoli e il rifiuto dell’indole dei tempi nuovi. I due estremi peccano di esagerazione».
R. Righetto, in Avvenire 5 dicembre 2018

Don Stefano Tessaglia, alessandrino, classe 1981 e prete dal 2006, è attualmente cappellano presso l'ospedale civile, l'infantile e il Borsalino. Oltre a essere docente di storia della Chiesa è anche giornalista e collaboratore stabile del nostro settimanale diocesano da decenni. Il mese scorso è uscito un suo saggio storico su Paolo VI che vogliamo approfondire.

Don Stefano, perché questo titolo "Chiesa contestata, Chiesa contestante"?

II titolo, che ha sicuramente un intento "pubblicitario", vuole sottolineare il fatto che la Chiesa, come tutte le altre istituzioni, non soltanto venne contestata durante i movimenti del 1968, in quanto assimilata a tutte le altre istituzioni tradizionali, come la scuola, la famiglia, la fabbrica, ma vide anche al suo interno svilupparsi movimenti di contestazione portati avanti da cattolici, all'interno di istituzioni cattoliche, com'erano l'Università Cattolica di Milano o la miriade di gruppi parrocchiali e di gruppo spontanei. Per questo possiamo dawero parlare di un dissenso cattolico, di una contestazione portata avanti da cattolici. Per cui, appunto, una "Chiesa contestante".

Il sottotitolo del libro è: Paolo VI, i cattolici e il Sessantotto.

Una parte significativa del saggio è dedicata proprio alla figura di Paolo VI. Nei miei studi, guidato da don Maurilio Guasco, ho sviluppato un forte interesse per questo Pontefice spesso dimenticato, schiacciato tra due figure di forte impatto emotivo e mediatico come Giovanni XXIII e Giovanni Paolo Il. Inoltre Montini nell'opinione pubblica è spesso solo associato, e con un po' di livore, alle sue chiusure, per esempio nei confronti della regolazione artificiale delle nascite, del divorzio o del celibato dei preti.

Si parla anche del Concilio Vaticano II nel volume ...

Non serve che sia io a dire che il Vaticano II è stato il punto di svolta per tutta la Chiesa. Nel 1968 il Concilio si era chiuso soltanto da tre anni e soprattutto in Italia notiamo una significativa sovrapposizione tra il rinnovamento avviato dall'assemblea conciliare e i movimenti di contestazione del '68. Come a dire che in quegli anni, proprio grazie al Vaticano II, i cattolici erano quelli che avevano già le "antenne" alzate, o comunque avevano una percezione del cambiamento che stava atTivando ed erano pronti ad accoglierlo, come qualcosa di positivo. Se ci pensiamo bene, dal Concilio la Chiesa era uscita rinnovata: nella liturgia, con l'adozione della lingua italiana al posto del latino; in una certa sua struttura, e anche nella percezione di un rinnovato ruolo dei laici. Tutto questo non poteva che sposarsi alla perfezione con l'ondata di rinnovamento successiva, quella della contestazione.

Nel terzo capitolo del libro una parte è intitolata: "II contributo teorico: la teologia", in cui si parla anche, tra le altre, della teologia della liberazione.

Sicuramente anche il Sessantotto cattolico ha avuto le sue ispirazioni teoriche. È vero che i giovani non venivano immediatamente a contatto con la riflessione teologica o con gli studi specialistici. Tuttavia le nuove pubblicazioni, con le aperture della teologia nordeuropea e latinoamericana, influenzavano almeno i giovani sacerdoti, che spesso poi erano le guide, i leader, di questi gruppi. Significativa fu tutta la riflessione che si sviluppò in Francia già prima del Concilio con la cosiddetta "Nouvelle théologie", che rivalutava il ruolo del lavoro umano, sviluppando una vera e propria "Teologia delle realtà terrene". Poi certamente fu molto importante quella grande "Teologia di popolo", come preferisce oggi chiamarla papa Francesco, che fu la "Teologia della liberazione". Si tratta forse del più significativo frutto teologico del '900, sorto in America Latina come movimento di liberazione globale, che partendo da una matrice religiosa e spirituale puntava alla liberazione di tutti i popoli oppressi. Anche in Europa e in tutto il mondo i gruppi giovanili e di contestazione nel 1968 sostennero questo tipo di rivendicazioni, come a livello più generale sostennero tutte le aspirazioni di giustizia e di pace. Da ultimo, non possiamo dimenticare le manifestazioni per la fine della guerra in Vietnam.

E Paolo VI, in tutto questo?

Montini fu senza dubbio preoccupato da certi movimenti di contestazione che sembravano voler spazzare via tutte le istituzioni, e quindi anche la Chiesa. Nelle sue parole noi possiamo proprio leggere come egli temesse, a un certo punto, per la soprawivenza stessa della Chiesa, così come la tradizione gliel'aveva consegnata. D'altro canto, però, in lui conviveva un altrettanto forte sentimento di apertura, di ricerca a ogni costo della positività che poteva esserci in ogni movimento contemporaneo, anche del più duramente contestatore. In Paolo VI troviamo così, in una continua oscillazione e secondo il suo carattere complesso, parole di angoscia e di preoccupazione, insieme con sentimenti di grande fiducia nell'uomo e nelle sue capacità. Questo è dawero il suo grande spirito.

Giovanni XXIII, subito dopo la sua elezione, sorprese la Chiesa e il mondo indicendo il Concilio Vaticano II. Che "sorpresa" è stata la figura di Paolo VI?

Probabilmente non è stato una sorpresa. Sebbene una certa parte della curia romana da molti anni lo avesse allontanato e gli fosse ostile, Montini, che era l'arcivescovo di Milano, godeva della grande stima dell'episcopato mondiale. E dunque fu ritenuto dai cal'dinali quella guida sicura, alcuni storici lo chiamarono a regione il "timoniere", adatta a portare a termine, con il suo stile attento, quel Concilio che Giovanni XXIII aveva lanciato, come una bomba, nella Chiesa. La sorpresa può esserci per noi oggi, se con un po' di obiettività ci mettiamo a fare quello che papa Francesco ha invitato a fare: rileggere i suoi testi, le sue omelie, le sue catechesi. Non potremo che cogliere in Paolo VI un uomo sincero, davvero appassionato del mondo e degli uomini, ai quali si rivolgeva sempre con affetto, stima e grande, grande partecipazione. Un uomo davvero moderno, molto più contemporaneo a noi di quanto pensiamo.


A. Antonuccio, in La Voce Alessandrina 29 ottobre 2018

Il saggio mette a fuoco non solo le dinamiche che determinarono la nascita dei gruppi cattolici, ma anche la reazione di papa Montini davanti agli avvenimenti di quella contestazione che fu interna e coinvolse le gerarchie ecclesiastiche. Se Tessaglia ripercorre le vicende non tralasciando di far emergere i protagonisti, come i teologi Gongar o Chenu della Nouvelle théologie che impostarono la loro disciplina al di fuori degli schemi della neoscolastica, per quanto riguarda Paolo VI sceglie di far ascoltare al lettore, tramite ampi brani, le parole vive del pontefice di cui quest’anno ricorre l’anniversario della morte.

Sono esortazioni che restituiscono un ritratto attualissimo di un papa tutto teso nello sforzo di comprendere i segni dei tempi toccatigli in sorte, i quali sconvolsero a livello socio-antropologico consolidati ruoli definiti da secoli secondo determinati canoni.
D. Segna, in Il Regno Attualità 18/2018, 548

Nel libro “Chiesa contestata, Chiesa contestante. Paolo VI, i cattolici e il Sessantotto”, don Stefano Tessaglia analizza minuziosamente il contesto storico, la vita della Chiesa, il Concilio e il ruolo di Giovanni Battista Montini in un periodo molto complicato. Negli anni successivi al dopoguerra, segnati dal boom economico, i cattolici erano ben radicati sul terreno sociale e culturale ed erano rappresentati a livello politico. Nonostante questo, «in diversi ambienti – racconta l’autore – s’iniziava a percepire il progressivo distacco dalla fede tradizionale e dalla pratica religiosa, soprattutto nelle aree urbane ed economicamente più sviluppate: si assisteva all’affermazione di valori materialisti e secolarizzati, al diffondersi di comportamenti e di costumi (soprattutto in materia morale) diversi dal magistero».  

Paolo VI si ritrovò a guidare una nave nel mare in tempesta. E l’ha fatto a partire dalla sua capacità di dialogare con il mondo. Basta rileggere la sua prima enciclica, la Ecclesiam suam, che avrà un’influenza profonda sul Concilio. «Il fenomeno della contestazione e del dissenso giunto anche all’interno del mondo cattolico suscitava chiaramente – spiega – l’apprensione del Papa, forse addirittura per le sorti della fede e della Chiesa come istituzione. Il tono delle parole di Paolo VI non era duro né intransigente, e se a volte poteva apparire polemico, era perché angosciato e partecipe. Vi era sempre nel Papa lo sforzo di comprendere, di cogliere anche gli aspetti più nascostamente positivi di avvenimenti che apparivano senza dubbio distruttivi della tradizione della Chiesa».  

 Sullo sfondo c’è il ritratto di un leader carismatico: «Oggi, a distanza di cinquant’anni, possiamo affermare che chi lo accusava di debolezza o di mancanza di comprensione dei problemi non arrivava a comprendere la grandezza spirituale e il messaggio alla Chiesa di una figura complessa come quella di Montini, molto più contemporanea all’uomo d’oggi di quanto si possa pensare».  

 Difficile allora comprendere le motivazioni che hanno catalogato il Papa bresciano, nonostante i suoi testi e le sue parole siano ancora oggi una bussola importante, come una persona grigia. «È stata una figura spesso trascurata, schiacciato tra due personalità di grande impatto emotivo e mediatico come Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, soltanto di recente rivalutata con la beatificazione e ora la canonizzazione. Per lungo tempo, Paolo VI è stato rimosso, ritenuto una figura scomoda, associandolo ad esempio alla chiusura nei confronti della regolazione artificiale delle nascite e del divorzio o con l’indisponibilità ad aperture sulla questione del celibato dei preti».  

 Il Concilio grazie a lui aiutò a «riconoscere che le attività umane e temporali – come il lavoro o il matrimonio – non sono soltanto dei mezzi (profani) di cui l’uomo può servirsi per raggiungere il suo fine ultimo (sacro), ma hanno un valore in sé, una connotazione positiva che deriva dalla creazione di Dio. Ogni impegno umano, così concepito, si inserisce per sua natura nel piano di Dio e contribuisce all’edificazione della società».  Lo stesso Pontefice nella Gaudium et spes spiegava lo studio del mondo moderno apportato dal Vaticano II: «Forse mai come in questa occasione la chiesa ha sentito il bisogno di conoscere, di avvicinare, di comprendere, di penetrare, di servire, di evangelizzare la società circostante, e di coglierla, quasi inseguirla nel suo rapido e continuo mutamento».  

 Il Sessantotto ha segnato una generazione di persone. Anche la Chiesa, seppur con le sue fatiche, si è dovuta confrontare con questa rivoluzione culturale. «Negli anni ‘60 e ‘70 possiamo cogliere un momento fondamentale per lo sviluppo della società e anche della Chiesa del nostro tempo. Ad esempio, il tema del rapporto tra Chiesa e mondo contemporaneo, che il Concilio pone alla ribalta, è – conclude Tessaglia – la linea rossa che percorre tutta l’epoca successiva, fino ai giorni nostri. Infatti cos’altro propone continuamente ai fedeli Papa Francesco se non un rinnovato stile di presenza della Chiesa nel mondo di oggi?».


L. Zanardini, VaticanInsider 12 ottobre 2018