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Chi è «il discepolo che Gesù amava»?
Joseph Lê Minh Thông

Chi è «il discepolo che Gesù amava»?

Prezzo di copertina: Euro 17,00 Prezzo scontato: Euro 16,15
Collana: Biblioteca Biblica 34
ISBN: 978-88-399-2034-8
Formato: 16 x 23 cm
Pagine: 136
Titolo originale: Qui est «le disciple que Jésus aimait»?
© 2022

In breve

Prefazione di Luc Devillers

Per la lettura tradizionale, che si accontenta spesso di facili approssimazioni, il «discepolo che Gesù amava» è l’apostolo Giovanni, il figlio di Zebedeo e fratello di Giacomo. Esaminando la cosa da vicino, questa soluzione perde molta della sua pretesa limpidezza. L’analisi dell’autore, condotta con tocchi successivi alla maniera di un quadro impressionista, dimostrerà infatti che non è così.

Descrizione

Qual è l’identità misteriosa del «discepolo che Gesù amava»? Si tratta forse dell’apostolo Giovanni, il figlio di Zebedeo? È Lazzaro? Oppure Natanaele?
Né i dati dei quattro vangeli né le testimonianze storiche dei secoli antichi ci permettono di determinarlo. Prendendo atto dell’anonimato di quel discepolo e rispettandolo fino in fondo, Joseph Lê Minh Thông si concentra sull’enigma dell’identità della figura delineata dall’appellativo giovanneo: «Studieremo il personaggio del “discepolo che Gesù amava” valorizzando quanto viene effettivamente detto nel testo ed evitando di addentrarci in ricostruzioni ipotetiche su dettagli che in realtà non ci vengono forniti».
Si arriverà così a scoprire il significato della prossimità a Cristo di quel discepolo.Attraverso la sua testimonianza, non a caso, il progetto letterario del quarto vangelo ci invita a divenire noi stessi il discepolo che Gesù amava, e a fare dell’amore di Dio il nostro nome proprio.
Passo dopo passo, l’autore conduce la sua analisi con tocchi successivi alla maniera di un quadro impressionista, dando forma alla fine a un libro acuto, che parla tanto all’intelligenza quanto al cuore.

Recensioni

L’identità del «discepolo che Gesù amava» (DGA) continua a rendere vivace il dibattito tra gli specialisti del quarto vangelo (QV). Il volume del padre domenicano Joseph Lê Mihn Thông si pone ora tra gli studi che dovranno essere tenuti in considerazione riguardo la questione. Le domande cui cerca di rispondere sono così formulate dall’A. stesso: «L’inscriptio “Vangelo secondo Giovanni” e i documenti del II-IV secolo permettono di identificare il “discepolo che Gesù amava” con “Giovanni, il figlio di Zebedeo” (É. Cothenet) o con “Giovanni il Presbitero” (M.-É. Boismard) come autore del quarto vangelo? Il paragone fra il “discepolo che Gesù amava” nel quarto vangelo e “Giovanni l’apostolo” nei vangeli sinottici permette di identificare questo discepolo con Giovanni, il figlio di Zebedeo? Possiamo ritenere che il discepolo anonimo di Gv 1,37-40 sia il “discepolo che Gesù amava” (R. Bauckham) o Filippo (M.-É. Boismard)? E “l’altro discepolo” di 18,15-16 è il “discepolo che Gesù amava” (F. Neirynck)? Le proposte per identificare il “discepolo che Gesù amava” con un nome conosciuto – per esempio, “Giovanni, il figlio di Zebedeo” (É. Delebecque); “Tommaso” (J.H. Charlesworth); “Lazzaro” (M.W.G. Stibbe) ecc. – sono sostenibili? Il “discepolo che Gesù amava” è un personaggio letterario fittizio (A. Loisy)? Possiamo basarci su 21,24 per dire che questo discepolo è l’autore del quarto vangelo (F.J. Moloney)?» (pp. 11-12). Interrogativi ambiziosi, che l’A. affronta con acribia, entrando in dialogo con le molteplici correnti interpretative proposte dagli esegeti che lo hanno preceduto nell’indagine e prediligendo i dati forniti dal testo evangelico nella sua redazione finale anziché ipotesi storiche che esulano da esso.

Il volume si struttura, dopo l’introduzione, in cinque capitoli, i cui risultati sono sintetizzati nelle conclusioni generali. Nell’introduzione (pp. 11-16) Lê Mihn Thông, dopo la presentazione degli interrogativi che guidano la ricerca e il piano dell’opera, esamina l’impiego dei termini apostolos e mathētēs nel QV. L’attribuzione – per undici volte – del secondo termine al DGA indicherebbe che questi è presentato come il modello ideale di discepolo. L’A. contesta anche la dicitura «discepolo prediletto» spesso impiegato nella letteratura passata: questo titolo, infatti, metterebbe al centro più il discepolo invece dell’amore di Gesù, che dona identità e nome a questa figura. Le testimonianze dei documenti compresi tra il II e il IV secolo dell’era corrente sono discusse nel primo capitolo (pp. 17-38). Dall’analisi proposta emerge che tali testimonianze attestano la presenza di parecchie tradizioni divergenti sull’autore del Vangelo giovanneo e sul DGA. La ragione di questo fenomeno potrebbe spiegarsi con il fatto che «la preoccupazione della tradizione di attribuire il quarto vangelo all’apostolo Giovanni ha come scopo di garantire l’autorità e la credibilità teologiche di questo vangelo» (p. 37). Ne consegue che gli autori del II-IV secolo non risultano essere pienamente affidabili per identificare l’autore del QV con «Giovanni l’apostolo», «Giovanni il figlio di Zebedeo» e «il discepolo che Gesù amava».

Nel secondo capitolo (pp. 39-53) si passa a verificare la presenza di elementi nel QV e nei Sinottici che permettano di identificare il DGA con l’apostolo Giovanni, figlio di Zebedeo. Poiché in Gv 21,2 sono menzionati – per la prima volta nel QV – i figli di Zebedeo e due discepoli anonimi, l’A. condivide l’ipotesi degli autori secondo cui Giovanni è uno dei figli di Zebedeo mentre il DGA è uno dei due anonimi e, pertanto, non può essere contemporaneamente anche Giovanni, figlio di Zebedeo. Dal confronto con i Sinottici, inoltre, emerge come Giovanni riceve rimproveri da Gesù e va incontro ad alcune incomprensioni. Nel QV, invece, il DGA non presenta debolezze o cedimenti nella sequela. Esaminando i brani in cui compaiono discepoli anonimi nel QV (1,37-40; 18,15-16; 21,2) l’A. cerca di mostrare che il DGA non corrisponde a nessuno di essi, bensì è anch’egli uno dei discepoli anonimi (1,37-40; 18,15-16; 21,2). Con chi sia identificabile il DGA è oggetto del terzo capitolo (pp. 55-75). L’A. passa in rassegna le varie ipotesi degli specialisti, raggruppate in tre filoni: (1) identificazione con uno dei Dodici; (2) identificazione con un personaggio o una funzione; (3) una figura letteraria o simbolica. L’ipotesi condivisa con molti studiosi e suggerita da Lê Mihn Thông è che del DGA occorre preservare l’anonimato, riconoscendone quattro caratteristiche: (1) è un personaggio storico e simbolico; (2) non si tratta dell’apostolo Giovanni; (3) non appartiene al gruppo dei Dodici; (4) la sua presenza nel QV assiste a tre tappe. La storicità del personaggio è fondata testualmente nella menzione della sua morte in Gv 21,23. Allo stesso tempo, tuttavia, egli è anche una figura simbolica, perché rappresenta il discepolo per eccellenza. La sua presenza nel QV registra una prima tappa, in cui come personaggio storico è fondatore della scuola-comunità giovannea, discepolo di Gesù e testimone oculare della sua missione. Una seconda tappa vede assumere un valore simbolico a questa figura, a motivo della sua fedeltà a Gesù, la sua testimonianza, la sua fede, la sua comprensione e intimità con il Nazareno. In una terza tappa, il DGA è la figura d’autorità che convalida l’autenticità del Vangelo agli occhi del redattore.

Nel quarto capitolo (pp. 77-99) sono presi in esame i brani in cui «il discepolo che Gesù amava» entra in scena (13,21-26; 19,25-27; 19,35; 20,2-8; 21,1-7; 21,20-23; 21,24). Il ritratto che l’A. dipinge assume queste tinte: il DGA è un discepolo anonimo, nella cui identità emerge l’amore che Gesù ha per lui; ha una relazione intima con il Maestro; gli resta fedele fino alla fine; è responsabile della nuova famiglia dei credenti; ha la capacità di «vedere, credere, conoscere»; è il discepolo ideale rispetto a tutti gli altri; è un modello per i credenti; è testimone autorizzato della passione, morte di Gesù e dell’insieme del vangelo. «Senza essere l’autore dell’insieme del vangelo, svolge un ruolo cruciale nella fase della redazione finale» (p. 99). Quest’ultimo assunto è approfondito nel quinto capitolo (pp. 101-109). Dal momento che il DGA ha messo per iscritto la sua testimonianza (21,24), qual è il suo ruolo nella redazione finale del vangelo? Le tre tappe individuate sono ormai classiche nel panorama scientifico: (1) il DGA, capofila di una comunità e testimone oculare della morte e risurrezione di Gesù, ha scritto la sua testimonianza, (2) l’evangelista ha composto la parte essenziale dei capitoli 1-20, con la prima conclusione in Gv 20,30-31 e (3) il redattore finale ha dato al testo la forma finale, con la seconda conclusione in Gv 21,24-25. Queste tappe sono interpretate come un processo di rilettura e intertestualità.

Nella conclusione (pp. 111-115), l’A. sintetizza il percorso della ricerca e ripropone i risultati dei singoli capitoli. Lo studio di Lê Mihn Thông offre una sintesi precisa, sintetica e ponderata dello stato della ricerca sul tema del DGA. Più che offrire intuizioni nuove, l’A. offre una presentazione ragionata delle ipotesi che egli accoglie da chi l’ha preceduto nella ricerca, mettendo in risalto le tante sfumature attribuibili alla ricca e complessa figura del DGA. Tra le tante, l’A. non prende in considerazione quella di H. Cazelles, «Jean, fils de Zébédée, “prêtre” et “apôtre”», Recherches de science religieuse 88 (2000) pp. 253-258. Questo studioso ha fatto notare che molti sacerdoti giudei del tempo di Gesù avevano attività lavorative fuori Gerusalemme e che l’attribuzione «Zebedeo» compare in vari testi che menzionano sacerdoti. Se Lê Mihn Thông non sposa l’ipotesi che il DGA possa essere Giovanni, figlio di Zebedeo, la possibilità che appartenga al gruppo sacerdotale è da escludere a priori? E come integrare, nella discussione, la qualificazione data dal verbo akoloutheō ai vari discepoli anonimi del QV (1,38; 18,15-16; 21,20)? Sicuramente il dibattito rimane ancora aperto.


A. Albertin, in Studia Patavina 2/2024, 364-366

La collana «Biblioteca biblica» dell’editrice Queriniana vede nel suo catalogo la presenza di libri di alto profilo esegetico accompagnati ad altri di natura più divulgativa. Questo è il caso del testo di Lê Minh Thông. Uno scritto breve e scorrevole su una ricerca che ha già dato frutti condivisi nel mondo accademico tanto da non impegnare a fondo alcun dibattito corrente, utile però a informare i curiosi appassionati della materia biblica. Da diversi anni a questa parte, infatti, i commentatori del quarto Vangelo dedicano alla domanda riguardante l’identità e la funzione del «discepolo che Gesù amava» una risposta nelle note relative ai sette passi in cui il personaggio compare secondo la locuzione completa (13,21-26; 19,25-27; 19,35; 20,2-8; 21,1-8; 21,20-23; 21,24), e ai tre (1,37.40; 18,15-16, 21,2) che ricordano la presenza di un discepolo anonimo, designato unicamente come «l’altro discepolo». Il personaggio ritorna poi comunemente, nel paragrafo che descrive la composizione e la struttura dell’opera, in qualità di autore del nucleo originale del racconto giovanneo.

Che l’identità del «discepolo che Gesù amava» non sia un mistero ancora tutto da svelare è, comunque, ben presente alla mente dell’autore. Il suo intento è piuttosto quello di presentare a un vasto pubblico un quadro d’insieme delle informazioni relative al personaggio.

La linea scelta per chiarirne il ruolo e la rilevanza segue due profili: quello storico e quello simbolico. Il testo è organizzato in cinque sezioni suddivise in brevi capitoli di agile lettura precedute da un’introduzione in cui una serie di domande relative alla figura del «discepolo che Gesù amava» preparano all’articolarsi delle risposte. La prima parte si interroga sull’autore del quarto Vangelo, a partire dalla ricerca sulla precoce comparsa dell’inscriptio, euanghelion kata ioannen. Una sintetica esposizione delle teorie degli apologeti cristiani dal ii al iv secolo rispetto alla possibilità che il nome Giovanni possa fare riferimento a uno dei discepoli dei vangeli sinottici e al contempo svelare l’identità del «discepolo che Gesù amava», porta l’esegeta a escludere questa ipotesi, confermando così la posizione della maggioranza degli studiosi. E cioè che l’attribuzione di questo Vangelo all’apostolo Giovanni, fratello di Giacomo e figlio di Zebedeo, sia comparsa durante il processo di canonizzazione dello stesso per garantirne l’autorità e la credibilità teologica.

La seconda parte affronta in maniera più dettagliata la comparazione tra il «discepolo che Gesù amava» e il personaggio di Giovanni, figlio di Zebedeo, dei sinottici. La tradizione della chiesa antica aveva, infatti, compiuto un ulteriore passaggio ponendo in relazione l’apostolo Giovanni, presunto autore del Vangelo e delle tre epistole che portano il suo nome, con l’anonima figura del discepolo che Gesù amava. Ma dall’analisi parallela dei racconti sinottici su Giovanni l’apostolo e dei racconti giovannei sul «discepolo amato da Gesù» risultano, secondo l’autore, caratteristiche incompatibili fra i due. Così come si deve distinguere quest’ultimo dai due discepoli anonimi che si incontrano in 1,37-40, uno dei due primi discepoli compagno di Andrea; 18,15-16, il discepolo conosciuto dal Sommo sacerdote e 21,2, uno dei due testimoni anonimi della pesca. Questa affermazione lo distanzia da Zumstein, verso la cui ricerca, però mostra con evidenza un debito maggiore rispetto ad altri esegeti.

La terza parte è conseguente a quanto finora enunciato e dichiara la necessità di abbandonare il tentativo di recuperare l’identità del discepolo attraverso l’associazione a un nome, un personaggio o figura letteraria da rintracciare nel Nuovo o, secondo una lettura tipologica, nell’Antico Testamento. È bene accettarne l’anonimia mantenendo legati i due aspetti di persona storica, quale testimone oculare e autore del nucleo del Vangelo, e figura simbolica portatrice del tipo ideale di intima comunione con Gesù.

Nella quarta parte vengono presi in esame i sette passi in cui compare il discepolo secondo il suo nome completo; il suo complesso rapporto con Pietro e, rispetto a questi, la sua condizione di interprete privilegiato di Cristo. La quinta e conclusiva sezione tira le fila di questo studio riassumendo il ruolo del «discepolo che Gesù amava» in due punti: l’identificazione storica che lo vede autore del testo originario del Vangelo, poi sviluppato dall’evangelista e compilato nella forma recepita dal redattore, e la valenza simbolica. Fin dalla sua prima apparizione nel racconto è descritto come legato a Gesù da un rapporto speciale di intimità, fedeltà e comprensione del Maestro che, nella complessità del rapporto che lo lega alla figura di Pietro, fa di lui, però, il mediatore più attendibile tra Cristo e quanti desiderano entrare nella sua sequela.

Il volume segna dei punti a suo favore nell’accessibilità (anche economica) del testo e nella chiarezza di linguaggio, rivelandosi uno studio biblico di buon livello divulgativo destinato a un pubblico non specialistico, desideroso, però, di avere maggiori strumenti di indagine. Fornisce, infatti, un quadro dello status quaestionis e una sintetica ricostruzione della storia della ricezione del tema. Questo segna anche il suo limite. Alle interpretazioni tradizionali, Lê Minh Thông aggiunge la sua che, però, risulta essere in linea con quella della maggioranza degli specialisti neotestamentari. Detto ciò, è una consigliabile lettura per chi desiderasse comprendere meglio questo singolare exemplum di discepolato senza addentrarsi in analisi esegetiche maggiormente impegnative.


E. Natoli, in Protestantesimo vol. 78 (3-4/2023), 322-323

L’autore di questo contributo è un frate domenicano del Vietnam che ha dedicato i suoi anni giovanili allo studio del vangelo di Giovanni conseguendo il dottorato presso l'Università Cattolica di Lione. Ha tenuto corsi a Gerusalemme e ora insegna nel suo paese.

Dalla seconda metà del secondo secolo una tradizione costante attribuisce il quarto vangelo all'apostolo Giovanni, figlio di Zebedeo. Questa attribuzione è stata messa in dubbio per la prima volta nel 1820 e da allora ha costituito oggetto di discussioni appassionate. In tali discussioni si inserisce anche J. Le Minh Thong. Passo dopo passo l'autore conduce la sua analisi alla maniera di un quadro impressionista.

Egli riassume le caratteristiche del «discepolo che Gesù amava» in otto punti. È un discepolo anonimo, rappresentante di tutti i credenti, perché Gesù ha amato i suoi sino alla fine (Gv 13,1). È vicino e intimo nella relazione con Gesù: come Gesù è nel seno del Padre, in maniera analoga questo discepolo è nel seno di Gesù. È il discepolo che resta fedele a Gesù fino alla fine: non lo lascia solo sulla croce. È responsabile della nuova famiglia dei credenti: accoglie con sé la Madre di Gesù (l'Israele fedele a Dio può unirsi alla comunità del discepolo). È il discepolo che ha una capacità eccezionale di «vedere», «credere» e «conoscere» (è il primo che vede e crede davanti alla tomba vuota [Gv 20,8]; è il primo a riconoscere Gesù sulla riva del mare di Tiberiade [Gv 21,7]). È un discepolo perfetto rispetto a san Pietro e agli altri discepoli (Gesù non gli rivolge nessun rimprovero). È un ideale per tutti i credenti.

In virtù del fatto che rimane anonimo, l'amore di Gesù non è solo per lui. Il lettore è invitato a identificarsi con questo discepolo. Infine, è il testimone autorizzato della passione, della morte di Gesù e dell'insieme del vangelo. La sua testimonianza messa per iscritto garantisce l'autenticità del vangelo. Senza essere l'autore dell'insieme del vangelo, svolge un ruolo cruciale nella fase della redazione finale. A questo tema, Le. Minh Thong dedica il capitolo finale del suo contributo.

Egli distingue tre tappe della formazione del quarto vangelo. La prima tappa è attribuita al «discepolo che Gesù amava» (Gv 20,2; 21,7.20), il quale ha scritto il nucleo del vangelo. Il responsabile della seconda tappa è l'evangelista, che ha scritto l'essenziale dei primi venti capitoli. La terza tappa spetta al redattore, che ha dato al vangelo la sua forma attuale. Questo lavoro, come scrive Luc Devillers nella Prefazione, può essere certamente guida preziosa allo studio del vangelo di Giovanni, ma vuole essere anche un invito a leggere il vangelo come lettori attivi alla ricerca del cibo che non perisce, dell'acqua viva, dell'amore, dell'amicizia e della vita vera.

Alla fine della lettura di questo testo certamente non possiamo che rimanere meravigliati che un tale discepolo che vediamo vicino a Pietro, che partecipa con gli altri all'ultima cena, che si trova davanti alla croce assieme a Maria e altre donne discepole, e che è presente alla pesca miracolosa con altri discepoli, rimanga anonimo.


T. Lorenzin, in CredereOggi 5/2022, 151-152

Sono molti i lettori del Vangelo di Giovanni che danno per scontato il fatto che l’autore del quarto vangelo sia Giovanni, figlio di Zebedeo e fratello di Giacomo, colui che nella sua opera definisce se stesso come il «discepolo che Gesù amava». Ci si immagina allora l’apostolo che, dopo aver avuto il privilegio di vivere una relazione stretta con Gesù di Nàzaret e non averlo abbandonato nemmeno nel momento cruciale della morte, ormai vegliardo è responsabile della vivace comunità cristiana nata intorno a lui e ora residente a Efeso, dove verso la fine del I secolo viene terminato il lavoro di redazione del vangelo. Si tratta di una posizione semplice, un po’ approssimativa.

Il domenicano vietnamita, autore dell’agile analisi che abbiamo tra le mani, si addentra nella questione in modo asciutto e ordinato, mostrando che la soluzione tradizionale non rende giustizia né ai dati offerti dal quarto vangelo (che si presenta come opera anonima) né alla tradizione proto-cristiana (tutt’altro che univoca nel dirimere una certa confusione tra diversi personaggi portatori del nome Giovanni).

Non sono certamente mancati gli studi sul «discepolo che Gesù amava», ma l’autore di questo volumetto intende raccogliere in modo sintetico i frutti più maturi dell’esegesi giovannea degli ultimi anni, offrendo la propria interpretazione in modo semplice, puntuale e accessibile a tutti i lettori. Una dopo l’altra vengono così a cadere le varie nozioni spesso date per scontate, per esempio il fatto che la tradizione patristica antica sia unanime nell’indicare il figlio di Zebedeo come autore del vangelo, oppure il fatto che il «discepolo che Gesù amava» fosse uno dei Dodici. E così via.

È un lavoro pacato di decostruzione che sgombra il campo da pregiudizi e identificazioni indebite e permette, così, di accostarsi al testo del vangelo dando ad esso fiducia piena e non pretendendo di ricevere risposta a tutte le nostre domande sulla questione. Al termine di questo volume, utile e gradevole per chiunque sia interessato agli aspetti storici e teologici del vangelo, il lettore ha la percezione di essersi imbattuto in una questione molto complessa e non pienamente districabile, ma sente di aver raggiunto – grazie all’analisi dell’autore – alcuni punti fermi importanti sulla storia redazionale del quarto vangelo e sull’identità misteriosa del «discepolo che Gesù amava».

Egli è un discepolo storico di Gesù di Nàzaret, anche se il suo ruolo non fu così di primo piano da farlo emergere anche nella tradizione sinottica. Certo fu testimone della morte e della risurrezione del Signore e la testimonianza che egli mise anche per iscritto (Gv 21,24) sta alla base della formazione del vangelo nelle sue diverse redazioni. Il suo ruolo divenne però particolarmente importante nella comunità giovannea e perciò, dopo la morte, la sua figura venne sempre più idealizzata; in effetti in tutti i brani del vangelo che lo riguardano egli emerge per la sua fedeltà, la sua intimità con il Maestro, la sua fede incrollabile. L’ultima redazione del vangelo ne fa un personaggio che simbolicamente raccoglie tutti i discepoli (di ogni tempo) del Risorto: essi potranno rispecchiarsi in lui e desiderare sempre più di vivere ciò che lui ha vissuto con Cristo, ossia la prossimità, la fedeltà, la testimonianza.


M. Montaguti, in Parole di Vita 5/2022, 57-58