L’identità del «discepolo che Gesù amava» (DGA) continua a rendere vivace il dibattito tra gli specialisti del quarto vangelo (QV). Il volume del padre domenicano Joseph Lê Mihn Thông si pone ora tra gli studi che dovranno essere tenuti in considerazione riguardo la questione. Le domande cui cerca di rispondere sono così formulate dall’A. stesso: «L’inscriptio “Vangelo secondo Giovanni” e i documenti del II-IV secolo permettono di identificare il “discepolo che Gesù amava” con “Giovanni, il figlio di Zebedeo” (É. Cothenet) o con “Giovanni il Presbitero” (M.-É. Boismard) come autore del quarto vangelo? Il paragone fra il “discepolo che Gesù amava” nel quarto vangelo e “Giovanni l’apostolo” nei vangeli sinottici permette di identificare questo discepolo con Giovanni, il figlio di Zebedeo? Possiamo ritenere che il discepolo anonimo di Gv 1,37-40 sia il “discepolo che Gesù amava” (R. Bauckham) o Filippo (M.-É. Boismard)? E “l’altro discepolo” di 18,15-16 è il “discepolo che Gesù amava” (F. Neirynck)? Le proposte per identificare il “discepolo che Gesù amava” con un nome conosciuto – per esempio, “Giovanni, il figlio di Zebedeo” (É. Delebecque); “Tommaso” (J.H. Charlesworth); “Lazzaro” (M.W.G. Stibbe) ecc. – sono sostenibili? Il “discepolo che Gesù amava” è un personaggio letterario fittizio (A. Loisy)? Possiamo basarci su 21,24 per dire che questo discepolo è l’autore del quarto vangelo (F.J. Moloney)?» (pp. 11-12). Interrogativi ambiziosi, che l’A. affronta con acribia, entrando in dialogo con le molteplici correnti interpretative proposte dagli esegeti che lo hanno preceduto nell’indagine e prediligendo i dati forniti dal testo evangelico nella sua redazione finale anziché ipotesi storiche che esulano da esso.
Il volume si struttura, dopo l’introduzione, in cinque capitoli, i cui risultati sono sintetizzati nelle conclusioni generali. Nell’introduzione (pp. 11-16) Lê Mihn Thông, dopo la presentazione degli interrogativi che guidano la ricerca e il piano dell’opera, esamina l’impiego dei termini apostolos e mathētēs nel QV. L’attribuzione – per undici volte – del secondo termine al DGA indicherebbe che questi è presentato come il modello ideale di discepolo. L’A. contesta anche la dicitura «discepolo prediletto» spesso impiegato nella letteratura passata: questo titolo, infatti, metterebbe al centro più il discepolo invece dell’amore di Gesù, che dona identità e nome a questa figura. Le testimonianze dei documenti compresi tra il II e il IV secolo dell’era corrente sono discusse nel primo capitolo (pp. 17-38). Dall’analisi proposta emerge che tali testimonianze attestano la presenza di parecchie tradizioni divergenti sull’autore del Vangelo giovanneo e sul DGA. La ragione di questo fenomeno potrebbe spiegarsi con il fatto che «la preoccupazione della tradizione di attribuire il quarto vangelo all’apostolo Giovanni ha come scopo di garantire l’autorità e la credibilità teologiche di questo vangelo» (p. 37). Ne consegue che gli autori del II-IV secolo non risultano essere pienamente affidabili per identificare l’autore del QV con «Giovanni l’apostolo», «Giovanni il figlio di Zebedeo» e «il discepolo che Gesù amava».
Nel secondo capitolo (pp. 39-53) si passa a verificare la presenza di elementi nel QV e nei Sinottici che permettano di identificare il DGA con l’apostolo Giovanni, figlio di Zebedeo. Poiché in Gv 21,2 sono menzionati – per la prima volta nel QV – i figli di Zebedeo e due discepoli anonimi, l’A. condivide l’ipotesi degli autori secondo cui Giovanni è uno dei figli di Zebedeo mentre il DGA è uno dei due anonimi e, pertanto, non può essere contemporaneamente anche Giovanni, figlio di Zebedeo. Dal confronto con i Sinottici, inoltre, emerge come Giovanni riceve rimproveri da Gesù e va incontro ad alcune incomprensioni. Nel QV, invece, il DGA non presenta debolezze o cedimenti nella sequela. Esaminando i brani in cui compaiono discepoli anonimi nel QV (1,37-40; 18,15-16; 21,2) l’A. cerca di mostrare che il DGA non corrisponde a nessuno di essi, bensì è anch’egli uno dei discepoli anonimi (1,37-40; 18,15-16; 21,2). Con chi sia identificabile il DGA è oggetto del terzo capitolo (pp. 55-75). L’A. passa in rassegna le varie ipotesi degli specialisti, raggruppate in tre filoni: (1) identificazione con uno dei Dodici; (2) identificazione con un personaggio o una funzione; (3) una figura letteraria o simbolica. L’ipotesi condivisa con molti studiosi e suggerita da Lê Mihn Thông è che del DGA occorre preservare l’anonimato, riconoscendone quattro caratteristiche: (1) è un personaggio storico e simbolico; (2) non si tratta dell’apostolo Giovanni; (3) non appartiene al gruppo dei Dodici; (4) la sua presenza nel QV assiste a tre tappe. La storicità del personaggio è fondata testualmente nella menzione della sua morte in Gv 21,23. Allo stesso tempo, tuttavia, egli è anche una figura simbolica, perché rappresenta il discepolo per eccellenza. La sua presenza nel QV registra una prima tappa, in cui come personaggio storico è fondatore della scuola-comunità giovannea, discepolo di Gesù e testimone oculare della sua missione. Una seconda tappa vede assumere un valore simbolico a questa figura, a motivo della sua fedeltà a Gesù, la sua testimonianza, la sua fede, la sua comprensione e intimità con il Nazareno. In una terza tappa, il DGA è la figura d’autorità che convalida l’autenticità del Vangelo agli occhi del redattore.
Nel quarto capitolo (pp. 77-99) sono presi in esame i brani in cui «il discepolo che Gesù amava» entra in scena (13,21-26; 19,25-27; 19,35; 20,2-8; 21,1-7; 21,20-23; 21,24). Il ritratto che l’A. dipinge assume queste tinte: il DGA è un discepolo anonimo, nella cui identità emerge l’amore che Gesù ha per lui; ha una relazione intima con il Maestro; gli resta fedele fino alla fine; è responsabile della nuova famiglia dei credenti; ha la capacità di «vedere, credere, conoscere»; è il discepolo ideale rispetto a tutti gli altri; è un modello per i credenti; è testimone autorizzato della passione, morte di Gesù e dell’insieme del vangelo. «Senza essere l’autore dell’insieme del vangelo, svolge un ruolo cruciale nella fase della redazione finale» (p. 99). Quest’ultimo assunto è approfondito nel quinto capitolo (pp. 101-109). Dal momento che il DGA ha messo per iscritto la sua testimonianza (21,24), qual è il suo ruolo nella redazione finale del vangelo? Le tre tappe individuate sono ormai classiche nel panorama scientifico: (1) il DGA, capofila di una comunità e testimone oculare della morte e risurrezione di Gesù, ha scritto la sua testimonianza, (2) l’evangelista ha composto la parte essenziale dei capitoli 1-20, con la prima conclusione in Gv 20,30-31 e (3) il redattore finale ha dato al testo la forma finale, con la seconda conclusione in Gv 21,24-25. Queste tappe sono interpretate come un processo di rilettura e intertestualità.
Nella conclusione (pp. 111-115), l’A. sintetizza il percorso della ricerca e ripropone i risultati dei singoli capitoli. Lo studio di Lê Mihn Thông offre una sintesi precisa, sintetica e ponderata dello stato della ricerca sul tema del DGA. Più che offrire intuizioni nuove, l’A. offre una presentazione ragionata delle ipotesi che egli accoglie da chi l’ha preceduto nella ricerca, mettendo in risalto le tante sfumature attribuibili alla ricca e complessa figura del DGA. Tra le tante, l’A. non prende in considerazione quella di H. Cazelles, «Jean, fils de Zébédée, “prêtre” et “apôtre”», Recherches de science religieuse 88 (2000) pp. 253-258. Questo studioso ha fatto notare che molti sacerdoti giudei del tempo di Gesù avevano attività lavorative fuori Gerusalemme e che l’attribuzione «Zebedeo» compare in vari testi che menzionano sacerdoti. Se Lê Mihn Thông non sposa l’ipotesi che il DGA possa essere Giovanni, figlio di Zebedeo, la possibilità che appartenga al gruppo sacerdotale è da escludere a priori? E come integrare, nella discussione, la qualificazione data dal verbo akoloutheō ai vari discepoli anonimi del QV (1,38; 18,15-16; 21,20)? Sicuramente il dibattito rimane ancora aperto.
A. Albertin, in
Studia Patavina 2/2024, 364-366