La collana «Biblioteca biblica» dell’editrice Queriniana vede nel suo catalogo la presenza di libri di alto profilo esegetico accompagnati ad altri di natura più divulgativa. Questo è il caso del testo di Lê Minh Thông. Uno scritto breve e scorrevole su una ricerca che ha già dato frutti condivisi nel mondo accademico tanto da non impegnare a fondo alcun dibattito corrente, utile però a informare i curiosi appassionati della materia biblica. Da diversi anni a questa parte, infatti, i commentatori del quarto Vangelo dedicano alla domanda riguardante l’identità e la funzione del «discepolo che Gesù amava» una risposta nelle note relative ai sette passi in cui il personaggio compare secondo la locuzione completa (13,21-26; 19,25-27; 19,35; 20,2-8; 21,1-8; 21,20-23; 21,24), e ai tre (1,37.40; 18,15-16, 21,2) che ricordano la presenza di un discepolo anonimo, designato unicamente come «l’altro discepolo». Il personaggio ritorna poi comunemente, nel paragrafo che descrive la composizione e la struttura dell’opera, in qualità di autore del nucleo originale del racconto giovanneo.
Che l’identità del «discepolo che Gesù amava» non sia un mistero ancora tutto da svelare è, comunque, ben presente alla mente dell’autore. Il suo intento è piuttosto quello di presentare a un vasto pubblico un quadro d’insieme delle informazioni relative al personaggio.
La linea scelta per chiarirne il ruolo e la rilevanza segue due profili: quello storico e quello simbolico. Il testo è organizzato in cinque sezioni suddivise in brevi capitoli di agile lettura precedute da un’introduzione in cui una serie di domande relative alla figura del «discepolo che Gesù amava» preparano all’articolarsi delle risposte. La prima parte si interroga sull’autore del quarto Vangelo, a partire dalla ricerca sulla precoce comparsa dell’inscriptio, euanghelion kata ioannen. Una sintetica esposizione delle teorie degli apologeti cristiani dal ii al iv secolo rispetto alla possibilità che il nome Giovanni possa fare riferimento a uno dei discepoli dei vangeli sinottici e al contempo svelare l’identità del «discepolo che Gesù amava», porta l’esegeta a escludere questa ipotesi, confermando così la posizione della maggioranza degli studiosi. E cioè che l’attribuzione di questo Vangelo all’apostolo Giovanni, fratello di Giacomo e figlio di Zebedeo, sia comparsa durante il processo di canonizzazione dello stesso per garantirne l’autorità e la credibilità teologica.
La seconda parte affronta in maniera più dettagliata la comparazione tra il «discepolo che Gesù amava» e il personaggio di Giovanni, figlio di Zebedeo, dei sinottici. La tradizione della chiesa antica aveva, infatti, compiuto un ulteriore passaggio ponendo in relazione l’apostolo Giovanni, presunto autore del Vangelo e delle tre epistole che portano il suo nome, con l’anonima figura del discepolo che Gesù amava. Ma dall’analisi parallela dei racconti sinottici su Giovanni l’apostolo e dei racconti giovannei sul «discepolo amato da Gesù» risultano, secondo l’autore, caratteristiche incompatibili fra i due. Così come si deve distinguere quest’ultimo dai due discepoli anonimi che si incontrano in 1,37-40, uno dei due primi discepoli compagno di Andrea; 18,15-16, il discepolo conosciuto dal Sommo sacerdote e 21,2, uno dei due testimoni anonimi della pesca. Questa affermazione lo distanzia da Zumstein, verso la cui ricerca, però mostra con evidenza un debito maggiore rispetto ad altri esegeti.
La terza parte è conseguente a quanto finora enunciato e dichiara la necessità di abbandonare il tentativo di recuperare l’identità del discepolo attraverso l’associazione a un nome, un personaggio o figura letteraria da rintracciare nel Nuovo o, secondo una lettura tipologica, nell’Antico Testamento. È bene accettarne l’anonimia mantenendo legati i due aspetti di persona storica, quale testimone oculare e autore del nucleo del Vangelo, e figura simbolica portatrice del tipo ideale di intima comunione con Gesù.
Nella quarta parte vengono presi in esame i sette passi in cui compare il discepolo secondo il suo nome completo; il suo complesso rapporto con Pietro e, rispetto a questi, la sua condizione di interprete privilegiato di Cristo. La quinta e conclusiva sezione tira le fila di questo studio riassumendo il ruolo del «discepolo che Gesù amava» in due punti: l’identificazione storica che lo vede autore del testo originario del Vangelo, poi sviluppato dall’evangelista e compilato nella forma recepita dal redattore, e la valenza simbolica. Fin dalla sua prima apparizione nel racconto è descritto come legato a Gesù da un rapporto speciale di intimità, fedeltà e comprensione del Maestro che, nella complessità del rapporto che lo lega alla figura di Pietro, fa di lui, però, il mediatore più attendibile tra Cristo e quanti desiderano entrare nella sua sequela.
Il volume segna dei punti a suo favore nell’accessibilità (anche economica) del testo e nella chiarezza di linguaggio, rivelandosi uno studio biblico di buon livello divulgativo destinato a un pubblico non specialistico, desideroso, però, di avere maggiori strumenti di indagine. Fornisce, infatti, un quadro dello status quaestionis e una sintetica ricostruzione della storia della ricezione del tema. Questo segna anche il suo limite. Alle interpretazioni tradizionali, Lê Minh Thông aggiunge la sua che, però, risulta essere in linea con quella della maggioranza degli specialisti neotestamentari. Detto ciò, è una consigliabile lettura per chi desiderasse comprendere meglio questo singolare exemplum di discepolato senza addentrarsi in analisi esegetiche maggiormente impegnative.
E. Natoli, in
Protestantesimo vol. 78 (3-4/2023), 322-323