Che delusione! Potrebbe essere questa l'emozione che prevale dopo aver letto questo agile libretto sull'archeologia biblica. Niente scoop né Indiana Jones a sorprenderci con sensazionali e definitive scoperte strappate alla sabbia o alle rocce della Palestina. Ma, soprattutto, nessun reperto che ci assicuri con inossidabile scientificità e staticità delle vicende narrate tra Primo e Secondo Testamento, tra Bibbia ebraica, come scrive piuttosto l'autore, e Bibbia cristiana. Passato però lo sconcerto iniziale, si può fare proficuo tesoro della lettura di questo libro «sintetico» (pubblicato, appunto, nella collana "Sintesi” della casa editrice bresciana), che invece apre effettivamente gli occhi anche ai neofiti sul senso, prima ancora che sul metodo, dell'archeologia biblica. Che è anch'essa disciplina rigorosamente scientifica, al di là dell'aggettivo che la qualifica (e, insinua sempre l'autore, al di là di chi finanzia gli scavi o degli archeologi stessi, inizialmente, e cioè tra la fine del 1800 e l'inizio del 1900, di fatto spie sotto copertura delle potenze occidentali interessate a mettere le mani su quella parte di Medio Oriente...): dove cioè «biblica» non indica in nessun modo il suo essere «ancella» delle verità di fede contenute nel testo sacro, ma un riferimento che è allo stesso tempo geografico, cronologico e culturale. E, tocca constatare, pare strano che ancora si debba evidenziare che la Bibbia non è un testo storico come intendiamo giustamente tale genere oggi. II che non vuoI dire che sia pura invenzione per creduloni, e non abbia invece contenuti e rimandi del tutto plausibilmente storici. Se non si vuole rinnegate il concetto stesso di «storia della salvezza» o di incarnazione di Gesù. Ecco, l'archeologia biblica si muove, anche errando e perciò imparando, tra questi due estremi.
L’autore, che è anch'esso archeologo attivo sul campo, lo scrive chiaramente nell'ultima frase del suo libro: «Vi sono casi in cui gli archeologi possono ridare vita a persone, luoghi ed eventi descritti nella Bibbia. Ma l'archeologia biblica non intende comprovare o smentire la Bibbia; chi la pratica è interessato a indagare la cultura materiale dei territori e delle epoche in questione e a ricostruire la cultura e la storia della Terra Santa in un arco di tempo che copre più di duemila anni». E questo è di per sé estremamente affascinante, per i professionisti così come per il grande pubblico. La maggior parte degli archeologi biblici, cioè, non si pongono l'obiettivo di comprovare o confutare le affermazioni della Bibbia. Così come, del resto, gli archeologi che scavano in Grecia non se lo pongono nei confronti delle opere di Omero. Se però non si può chiedere all'archeologia di confermarci miracolosamente per filo e per segno ciò che la Bibbia racconta, né come verità di fede né, fino a prova contraria, i racconti presumibilmente storici, questa disciplina può invece aiutarci a contestualizzare e a comprendere sempre meglio ciò che andiamo a leggere nella Bibbia; come si viveva a quei tempi, come si credeva, quale linguaggio mitico e religioso si utilizzava. Così, se da una parte gli studiosi ci assicurano che Gerico era già ridotta a rovine e disabitata allorché Giosuè e gli ebrei ne avrebbero fatto crollare le mura semplicemente suonando le trombe liturgiche (Gs 6,1-20), solo per fare un esempio, dall'altra se, ad Ascalon, in un vaso di ceramica cananeo a forma di tempietto in miniatura è stata ritrovata una statuetta di vitello in argento, questa non è sic et simpliciter la prova della storicità del vitello d'oro degli ebrei (Es 32,4), ma solo che tali immagini erano effettivamente usate in contesti religiosi del tempo.
Effettivamente ha proprio ragione l'autore: tutto ciò non è per noi meno affascinante. Basta, verrebbe da dire, fare le domande giuste sesi desidera le risposte corrette. Nella consapevolezza che anche l'archeologia, come ogni scienza, procede per tentativi, errori, risultati e nuove ricerche che potrebbero mettere in discussione le verità precedenti. Basti pensare che, nel giro di un secolo, si è passati da piccone e pala a magnetometro, geo radar, fotografie satellitari!
Due chicche archeologiche però le vogliamo comunque menzionare, ringraziando chi le ha ritrovate anche per noi. La più antica menzione di Israele extrabiblica è la cosiddetta «Stele di Israele», ritrovata all'interno del tempio funerario del faraone Merneptah, nei pressi della Valle dei Re in Egitto, datata all'anno 1207 a.C.: «Israele è devastato e non ha più discendenza». Dalle parti di Megiddo fu, invece, scoperto nel 2005 un mosaico risalente al III secolo d.C., con varie scritte, tra cui: «Akeptous, timorata di Dio, ha offerto il tavolo a Dio Gesù Cristo come memoriale». La più antica iscrizione mai trovata che menzioni Gesù Cristo!
F. Scarsato, in
CredereOggi n. 244 (4/2021) 183-185