È indubbio che dal secondo dopoguerra gli studi sull’Antico Testamento hanno conosciuto un’accelerazione impressionante, dovuta certamente all’elaborazione di nuove scuole interpretative, quali l’analisi storico critica e la storia delle forme letterarie, e alle nuove scoperte archeologiche, che hanno notevolmente ampliato le conoscenze riguardo alla storia e alla cultura sia del popolo di Israele che dei popoli dell’antico Vicino Oriente; ma dovuta anche alle riflessioni sul rapporto fra testo e lettore che sono state proposte dai semiologi in campo «laico».
Alle risultanze di questo ampio percorso rende attenti l’esegeta Joseph Blenkinsopp, recentemente scomparso all’età di novantaquattro anni, nel suo bel libro su Abramo, la storia di una vita, il cui originale e del 2015 e che viene ora proposto in traduzione dall’Editrice Queriniana.
Partendo da un’affermazione di Umberto Eco, secondo cui il testo è «una macchina pigra» che ha bisogno della cooperazione del lettore per produrre significato, il nostro autore afferma nella prefazione che l’incontro fra il testo biblico e il lettore dovrebbe assomigliare a una conversazione ben riuscita, nella quale entrambi gli interlocutori si pongono in ascolto e in cui avviene una «fusione degli orizzonti» (Gadamer).
Ma perché questo possa avvenire, il lettore deve essere consapevole che il testo parla a partire da una cultura e un’epoca differenti e quindi affidarsi alle scoperte del metodo storico critico, senza però fermarsi a esse, perché correrebbe il rischio di congelare il testo nella fissità della forma che ha raggiunto nel tempo. Per questo l’autore preferisce parlare di un «commento discorsivo», ossia «una modalità di esposizione che, pur essendo fondamentalmente storico critica, cerca di tenere presente e di addentrarsi in questioni di generale interesse teologico e umano che lo stesso testo biblico, e le sue successive elaborazioni, presenta alla nostra riflessione» (p. 7). In una parola, occorre avvicinarsi al testo biblico come a una realtà viva.
Definito in premessa il metodo, il nostro autore si addentra nella materia, che è tutt’altro che lineare e di facile gestione, come si è invece abituati a pensare, dopo secoli di cristallizzazione dogmatica e di semplificazione catechistica. Per questo Blenkinsopp premette una lunga introduzione in cui traccia la «figura di Abramo nella Bibbia e oltre». Ciò che colpisce innanzitutto è che questo personaggio, «padre di molti popoli», occupa uno spazio relativamente circoscritto nella storia e nel pensiero di Israele. Tolti i capitoli 12-25 del Genesi, infatti, Abramo non compare spesso nella memoria storica, nelle confessioni di fede o nella predicazione profetica – laddove si preferisce partire dalla figura di Giacobbe o dalla schiavitù in Egitto e dall’Esodo. Qui si profila la chiave di lettura del libro di Blenkinsopp: «Questa storia di oppressione e liberazione, che comincia con la discesa in Egitto dell’“Arameo errante” (Dt 26,5), è il principale e canonico mito delle origini. Le tradizioni narrative su Abramo sono una successiva estensione all’indietro del racconto delle origini, e questa evoluzione non è attestata prima della sciagura della caduta di Gerusalemme e del crollo dello Stato giudaico» (p. 34).
È un’affermazione che appare un po’ troppo perentoria, soprattutto se pensiamo che dalla tradizione provengono racconti anche molto antichi. Si tratta di «una venerata memoria», come la definisce Brueggemann (Genesi, p. 141). Nella saga di Abramo si riconoscono infatti materiali molto vari, anche di diverso spessore spirituale, che evidentemente sono stati composti in un insieme più o meno organico solo in un secondo tempo. La domanda che sorge spontanea è quando questo assemblaggio sia avvenuto e quale sia la ragione di questo ampliamento. Il nostro autore risponde che il quarto di secolo che intercorre tra la riforma iconoclasta di Giosia e la caduta di Gerusalemme fu un tempo di aspre polemiche, in cui proprio la riforma in senso monoteista fu vista da ampi strati della popolazione legati alla «religione tradizionale» come la causa prima del disastro che stavano vivendo. Ne è un esempio la dura contestazione delle donne nei confronti di Geremia (Ger 44,16-18). In tale situazione, afferma Blenkinsopp, «la storia di Abramo mirava a dimostrare che Dio è non soltanto giusto, ma anche benevolo, che Dio è fedele a coloro che lo seguono e che quello che Dio ha stabilito attraverso Abramo, suo servo e amico potrebbe rifarlo ancora» (p. 40).
Trovo questa ipotesi seducente e sorretta da un’analisi non solo linguistica, ma anche letteraria probante − anche se io sono ancora scettico nell’accettare una datazione molto recente, a cavallo della caduta di Gerusalemme o nel periodo persiano, per la canonizzazione di tradizioni tanto antiche − e mi domando se molte di queste tradizioni non avessero già raggiunto in tempi precedenti una loro dignità strutturale.
A questa ampia introduzione seguono dieci capitoli in cui vengono analizzati altrettanti episodi della vita di Abramo, dal viaggio iniziale a seguito della vocazione, fino alla sua morte e sepoltura accanto a Sara. Ognuno di questi capitoli termina con un paragrafo intitolato «Colmare le lacune», in cui si rende brevemente ragione della storia dell’interpretazione del testo, di cui non si è tenuto conto nell’analisi esegetica.
Il testo è ricchissimo e Blenkinsopp si rivela una volta di più un esegeta di grande spessore. In questa parte del libro due argomenti mi hanno colpito in modo particolare: l’attenzione dedicata all’episodio del sacrificio (o meglio: del mancato sacrificio) di Isacco e l’insistenza sul fatto che Abramo provava un grande affetto per Ismaele, che considerava a tutti gli effetti suo figlio legittimo. È una lettura che si oppone a secoli di interpretazioni che insistono piuttosto sulla contrapposizione dei due personaggi – infatti Ismaele si troverà accanto a Isacco al momento della sepoltura del padre. Mentre leggevo il capitolo sulla «legatura» di Isacco, mi sono accorto che erano i giorni della festa islamica di Id al-Adha, in cui si ricorda il non-sacrificio di Ismaele, che nella tradizione islamica prende il posto di Isacco. Questo dettaglio ha posto in primo piano l’importanza della figura di Abramo per le tre religioni monoteiste che a lui fanno riferimento.
Per ognuno, ebreo, cristiano, musulmano, conclude il nostro autore, «c’è un impegno di fede fondamentale che non è comunicabile e non può essere condiviso. Noi dovremmo ascoltare e cercare di comprendere questi altri impegni, accogliendo e valorizzando le molte cose che le tre cosiddette fedi abramitiche condividono. Ma al di là di tutto questo, la storia di vita di Abramo servirà anche a chiunque sia alla ricerca di un modello di vita serio dal punto di vista religioso, una vita vissuta, come quella di Abramo, alla presenza di Dio» (p. 274).
P. Ribet, in
Protestantesimo vol. 78 (1/2023), 54-56