«Colui che nessuno ha preso tra le sue braccia non ha mai abitato». Questa sentenza dello scrittore francese Michel Serres è la migliore sintesi dell'importante contributo che due saggi di Emanuele Borsotti danno al senso dell'abitare, del vivere i luoghi e gli spazi: Segni dei luoghi. Vivere lo spazio, abitare il senso (Vita&Pensiero), e Abitare. Vivere i luoghi per essere se stessi (Queriniana).
È molto raro che un autore pubblichi a distanza di pochi mesi due libri sullo stesso tema, perché il rischio di ripetersi è alto. Emanuele Borsotti questo rischio non lo corre, riesce invece a comporre uno splendido dittico a soggetto: l'uomo è anche i luoghi che abita. Davvero, come ha scritto Jean-Bertrand Pontalis, «Ci vogliono parecchi luoghi dentro di sé per avere qualche speranza di essere se stessi».
Emanuele Borsotti, classe 1978, esperto di liturgia, attento al dialogo tra spiritualità e discipline umane, collabora con la cattedra “Pensiero e forme dello spirituale” presso il Pontificio Ateneo S. Anselmo di Roma. Allora Priore, nel 2007 lo accolsi nella Comunità di Bose e colpito dalla sua intelligenza e sensibilità lo inviai presto a Parigi per gli studi. Uomo di vasta cultura, amante dei libri e del piacere della lettura, ha una particolare passione per la poesia e la letteratura. I.e sue opere sono il riflesso fedele non solo dei suoi interessi e delle sue passioni, ma anche della sua personalità, dell'indole, dell'animo.
Con una scrittura raffinata e colta, i suoi testi sono un abile intreccio tra teologia e letteratura. l contenuti spaziano con estremo agio e disinvolta noncuranza tra Bibbia, poesia, filosofia, patristica, liturgia, teologia, psicanalisi, opere artistiche. Il risultato sono riflessioni originali, profonde, che offrono spunti per pensare, con uno stile che evoca quello di un autore francese che amo molto, François Cassingena-Trévedy.
Il nostro tempo sembra oscillare tra localismi su varia scala e la sintomatologia dei non-luoghi. Stretta tra questi estremi che esaltano un difetto e lottano per un eccesso, la condizione dell'umano ha i tratti di uno spaesamento talvolta tragico, a volte leggero. Questi estremi dichiarano forse, come già diceva Heidegger nel 1951, una crisi dell'abitare? Abitare non è semplicemente avere una residenza, anche se non va sottovalutata l'importanza di averne una, ma è il modo certo di essere al mondo dell'umano, che la parola crisi interroga e mette in tensione. Se «l’abitare è il modo in cui i mortali sono sulla terra» (Heidegger), allora questa modalità deve essere pensata e assunta, in un preciso intreccio culturale e contesto sociale. Quali strade per ascoltare il desiderio umano e rispondere all'esigenza ad un tempo effettiva ed affettiva di un luogo da abitare? Come fare in modo che abitare significhi heideggerianamente “prendersi cura”?
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Nel libro Abitare, Emanuele Borsotti prosegue l’itinerario di riflessione sui luoghi come segni, sostando in apertura sull'icona biblica di Giacobbe a Betel, un racconto che rivela l'intuizione giudaica tanto evocativa, secondo la quale Dio è il Luogo per eccellenza. Giacobbe sogna una scala che raggiunge il cielo e gli angeli che vi salgono e scendono. Quando si sveglia dal sonno Giacobbe scopre che Dio abita quel luogo «e io non lo sapevo», e così il luogo si impone per la sua unicità, lavora nell’intimo, lo desta alla consapevolezza di sé, dalla notte all'alba, dall'ignoranza di sé e del mondo a una progressiva conoscenza. Per Borsotti Giacobbe mostra che «Vivere in profondità l'esperienza di un luogo implica che qualcosa di quel luogo abiti ormai in noi e che qualcosa di noi appartenga ormai a quel luogo; fra l'uomo e il luogo si instaura così un legame di mutua inabitazione, di con-vivenza, di co-appartenenza fra la vita intima del soggetto e il già dato dello spazio fisico».
Il libro prosegue esplorando la vastità dell'interrogativo di cui l'umano è ad un tempo artefice e custode: dove abita Dio? Ed ecco pagine intense dedicate a quella che l'autore chiama la «topografia del totalmente Altro», riflesso dell'inquietudine dell'uomo «in perenne ricerca di un segno tangibile, dì una concrezione materica nello spazio di quella grazia che si vorrebbe sperabile, esperibile, vivibile e abitabile». Il saggio si conclude con una riflessione ispirata sull'abitare la vita, un abitare declinato nello sfiorare il paesaggio e ancorarsi ai luoghi. Abitare amando ma amare anche scegliendo di non abitare, secondo il paradosso espresso da Michel Serres: «Abitare non amare: Tutti abitano, ma l'amore non abita. Da ciò la sua pericolosa rarità». E poi l'abitare poeticamente di Friedrich Holderlin – «pieno di merito, ma poeticamente, abita l'uomo su questa terra» –, Emily Dickinson, Christian Bobin e da ultimo Rainer Maria Rilke: «Siamo qui per dire: casa...».
Con questi due libri Emanuele Borsotti si fa conoscere ai lettori che potranno trovare in lui un promettente scrittore che ha la statura e la stoffa per affermarsi come un autore capace di forgiare una spiritualità di spessore e robusta, che ha come fondamento la Bibbia, come costruzione solida la grande tradizione cristiana e come prezioso fregio letteratura e poesia.
E. Bianchi, in
TuttoLibri 2440 (3 maggio 2025) XV