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«Lasciate che crescano insieme...»
Arnold Angenendt

«Lasciate che crescano insieme...»

La tolleranza nella storia del cristianesimo

Prezzo di copertina: Euro 39,00 Prezzo scontato: Euro 37,00
Collana: Giornale di teologia 458
ISBN: 978-88-399-3458-1
Formato: 12,3 x 19,3 cm
Pagine: 312
Titolo originale: «Lasst beides wachsen bis zur Ernte…». Toleranz in der Geschichte des Christentums
© 2024

In breve

Ecco l’interpretazione di una parabola evangelica lungo la storia della chiesa e del mondo occidentale, fra luci e ombre. Angenendt è geniale nel rendere la storia del cristianesimo e del pensiero teologico stimolanti per il presente.

Descrizione

Con una esposizione chiara e sobria, Arnold Angenendt descrive la storia della tolleranza nel cristianesimo, dagli inizi fino alla dichiarazione dei diritti dell’uomo e a Dignitatis humanae.
Il libro, come lascia intendere il titolo tratto da Matteo 13,30, si incentra sulla parabola del grano e della zizzania. L’esortazione conclusiva di Gesù: «Lasciate che l’uno e l’altra crescano insieme fino alla mietitura» demanda a Dio il compito di giudicare gli eretici e i ribelli alla fine dei giorni. Quello è un giudizio che non spetta all’uomo. Ebbene, Angenendt mette in luce come l’interpretazione del comando biblico sia una costante nella riflessione sulla tolleranza e sulle diverse modalità con cui questa è stata messa in pratica.
Nella storia del cristianesimo, infatti, la comprensione della tolleranza ha racchiuso in sé germi di liberalità e di possibile rinnovamento, ma, insieme, ha conosciuto aspetti contorti o del tutto compromessi: si pensi all’uccisione degli eretici o alle crociate in nome di Dio.
Angenendt è geniale nel rendere queste vicende del pensiero teologico stimolanti per noi oggi.

Recensioni

Di questi tempi torna a tirare un vento "intollerante" che impressiona. E un saggio come questo ha dell'audacia, perché sentire parlare di tolleranza non solo innervoscise "la gente", ma si fa questione anche nella politica (e passi), e pure nelle culture che reticolano la società, finanche nelle religioni su cui pesa la crisi di appartenenza e l'incapacità a presidiare i confini simbolici identitari.

Che fare? Ribadire con puntualità l'assolutezza della verità o privilegiare la ricerca di consenso nella sfera pubblica? Si capisce che l'impegno per la tolleranza religiosa in questo contesto dia fastidio: fa sembrare di stare ai margini. Eppoi quelle reciproche accuse tra religioni di intolleranza in nome dell'unica verità, segnano. È necessario un surplus di preparazione che aiuti a scavalcare in qualche modo pregiudizi, preconcetti e quell'ignoranza che in fatto di "religione/i" cinge cuore e ragione di moltissimi "fedeli". Almeno la storia ci preavvisi, se la ragione e la fede non s'intendono più.

L’autore, storico della chiesa, tre anni prima di morire (2021) ci ha lasciato questo saggio (2018) che dalla Bibbia e dalla chiesa antica (c. 2: pp. 21-98) fino alla fine del XX secolo (c. 6: pp. 249-282), passando attraverso il medioevci (c. 3: pp. 99-181), la controversa Riforma (c. 4: pp. 183-208), il risoluto illuminismo (c. 5: pp.209-247) con la sua "rivoluzione" antropologica, ci fa cogliere la nascita, la percezione, lo sviluppo (tra sfide vinte a molte altre importanti perdute) del concetto e della prassi della tolleranza nel cristianesimo.

Papa Francesco è chiaro: «La fede non può generare violenza e intolleranza» (discorso alla plenaria della Congregazione della dottrina della fede del 6 dicembre 2013). La tolleranza è un principio, un valore (qualcuno l'annovera tra le virtù) che ci sembrava pacifico guidasse il nostro vivere sociale ed ecclesiale (!). Invece no: nella società a malapena si "tollerano" le diversità tra autoctoni, figuriamoci con gli estranei; nella chiesa ci si spertica a destra e a manca in reciproche accuse di eresia (per essere sintetici) o di sacrilegio o blasfemia o tradimento non appena qualche battezzato/a osa sporgersi oltre la balaustra del dottrinalmente corretto, anche senza trasgredirne il dettato.

Evidentemente al sacro ci si accosta oggi come agli esordi dell'umanità; non è cambiato poi molto: ciò che è "religioso" (santo, sacro) non si tocca alla leggera (puro/impuro), né si parla senza rispetto (blasfemia), né si pensa come si vuole (eresia), né si vive come ci pare (peccato). Così facendo si fa "arrabbiare" Dio (Dies irae dies illa),che manda malattie e morte come punizione. È fatta! Se la cosa non è fulminea (solvet saeclum in favilla),ci pensa la "religione", che in fatto di punizioni in nome di Dio sa il fatto suo. Lo testimonia la storia "delle religioni" tutte (comprese anche le più recenti).

Ma la storia del cristianesimo dovrebbe essere stata totalmente diversa, sulla linea diuna tradizione altrettanto importante come quella testificata dalla storia della misericordia, della grazia e del perdono. Che appunto con Cristo trova nel vertice della croce edella sua pasqua quella svolta che ci ha (tutti!) "liberato" dagli ingranaggi dell'inesorabilità della condanna. Dio avoca a sé ogni giudizio sull'empietà umana (cf. p. 18), cosicché la violenza con cui l'uomo puniva un altro uomo per i suoi "peccati" deve cessare. Zizzania e grano vanno lasciati crescere insieme fino alla fine (cf. Mt 13,24-30), poi giudicherà Dio. Com'è stata interpretata e vissuta nella chiesa questa condotta che Cristo ci ha indicato?

È questa la chiave ermeneutica con cui l'autore ripercorre la storia, come attesta il titolo virgolettato: «Lasciate che crescano insieme...», e aiuta il lettore a trarne di volta in volta ammaestramenti che oggi gli stessi esagitati difensori della tradizione (?) saltano imperturbabili a pie' pari. Tolleranza è la parola che regge l'intera analisi e le sue conclusioni. Conclusioni che l'autore non raggruppa nel solito capitolo finale, ma sono sparse lungo tutti i sei capitoli coi loro ventitré paragrafi. Il che è un bene perché prima o poi dobbiamo pur rileggere con calma e attenzione le lezioni della storia. Senza glissare su ciò che non ci piace, ma è accaduto (e guarda caso riaccade puntuale!). Perché lasciare in mano agli "ignoranti" la comprensione del nostro tempo fa solo danno.

Un grazie, quindi, all'autore e all’editrice Queriniana per questo saggio. Al puntuale capitolo iniziale (c. 1: p.5-19), che radica in dettaglio la questione nella dinamica del sacro e giustifìca la citazione del titolo, non corrisponde, quindi, alla fine una "conclusione", ma una brevissima sintesi (p. 289) che rilancia, stringato ma deciso, l'interrogativo: come sopportare ogni giorno la nostra zizzania? Perché è questo che per molti oggi è difficile: sopportare la zizzania! E si va cosl cercando scappatoie che provocano guai. Invece no: almeno la tolleranza! Dopo aver letto il saggio proviamo noi a trarre delle conclusioni.

La tolleranza è il minimo che ci viene chiesto, anche nella parabola. Certo, chi tollera un po' sopporta, un po' accetta, si fa paziente e impara, il controllo invece del più spontaneo fervore, del più encomiabile impegno, della più appagante risolutezza. Magari dentro di noi non comprendiamo né ci sentiamo di "accettare" le identità degli altri, tuttavia desiderando almeno che la nostra venga rispettata, noi tolleriamo. Suona negativo. Ma è pur un minimo che serve per vivere gli uni accanto agli altri. Tolleranza come rispetto. Non è certamente il top nemmeno per una concezione “laica” della tolleranza.

Ci vuole ben altro per costruire una società veramente "integrata'', collaborativa e solidale (lo vediamo in paesi a noi vicini). Indubbiamente la fede cristiana mira più alto e altro. E su questo versante il suo apporto diventerebbe profetico. La fraternità è una prospettiva più che un sogno, è comunità da costruire, una convivialità (communio)da vivere. Quella «convivialità delle differenze» (mons. Tonino Bello) di cui si è detto e scritto (e si scrive) molto. È un "evangelo" che va oggi ri-annunciato e appreso almeno nella celebrazione eucaristica. Poi?

Di fronte alle difficoltà non va mai persa di vista almeno la tolleranza. Che se di fronte agli intolleranti di oggi sembra essere perdente, non lo è se si resiste non tollerando l'intolleranza (un interessante paradosso, come diceva Popper).


D. Passarin, in CredereOggi 5/2024, 156-159

L’autore assume come bussola la parabola gesuana del grano e della zizzania, riportata dal Vangelo di Matteo, per affrontare il tema della tolleranza in quanto straordinario invito fatto dallo stesso Gesù affinché quest’ultima non diventasse una vuota espressione. Con quella parabola, infatti, Cristo volle sottolineare che è Dio a punire l’empietà e non gli uomini, è solo l’Eterno a dividere il grano dalla zizzania come testimoniato dal versetto neotestamentario: «Lasciate che l’una e l’altra crescano insieme fino alla mietitura» (Mt 13,30).

Non a caso Angenendt fa sue le analisi di Rainer Forst, figura di spicco dell’attuale filosofia politica tedesca, per il quale, grazie a questa parabola, è possibile tenere fermi alcuni punti, a iniziare dalla constatazione che, grazie alla dottrina dei due regni, è un dato ormai acquisito che il potere temporale non abbia alcuna autorità in merito alla sfera religiosa.

In secondo luogo, in questi ambiti è del tutto bandita la costrizione giacché illegittima: se usata ha come esito finale una fede ipocrita, oltre a essere perfettamente inutile, in quanto aderire a un credo è un atto intrinsecamente libero. Da ultimo, sia per Forst sia per Angenendt si dà la possibilità di una tolleranza generale a condizione che le religioni restino nel perimetro delle convinzioni interiori e dei diversi culti, senza debordare.

Per giungere a questo risultato finale tipico dell’età moderna, il volume presenta in modo sistematico come nel corso delle differenti epoche la parabola del grano e della zizzania sia stata interpretata e vissuta, muovendo dalla Chiesa delle origini che aveva come suo inevitabile punto di riferimento l’Antico Testamento, laddove l’empietà religiosa è direttamente collegata all’ira divina. In esso le storie narrate vedono, da un lato, l’eliminazione dell’empio da parte di Dio stesso o della comunità religiosa, dall’altro lato l’ira divina è interpretata come momento radicalmente pedagogico nei confronti degli esseri umani.

Nella disamina effettuata da Angenendt, nella I sezione intitolata «La Bibbia e la Chiesa antica» s’affrontano le questioni inerenti la dimensione escatologica, dov’è soltanto Dio a giudicare e all’uomo non è data la possibilità di maledire; si scandaglia il tema della violenza nel cristianesimo che si limitava, in questa sua fase storica, esclusivamente a misure di «costrizione esteriore» contro gli eretici; s’approfondisce la prospettiva adottata dalla Chiesa dei primi secoli nei confronti della dignità dell’uomo divenuto peccatore; nonché la spinosa questione relativa al trattamento da riservare ai miscredenti, tenendo a mente le conseguenze della rivoluzione costantiniana, grazie alla quale le formule Dei gratia (per grazia di Dio) e vicarius Christi (rappresentante di Cristo) vennero attribuite nella tarda antichità sia ai papi sia agli imperatori.

Con sant’Ambrogio, e successivamente con papa Gelasio I, s’inaugurò la concezione teologica e politica secondo la quale nessuno può rivendicare di rappresentare totalmente il Cristo rex et sacerdos. Esistono, piuttosto, due rappresentanti, uno per il rex e uno per il sacerdos: il che significò decurtare dal potere imperiale la partecipazione al potere sacerdotale.

Con la fase finale dell’Impero romano d’Occidente emerge la centralità di sant’Agostino con il quale s’elabora, facendo riferimento al testo di Luca (14,23), la nozione di compelle intrare (costringili a entrare) e, al contempo, la dottrina della guerra giusta in contrapposizione al pacifismo radicale del cristianesimo: entrambe le posizioni agostiniane avranno profonde ripercussioni sino all’Età moderna.

Con il Medioevo e con il periodo storico che va dalla Riforma protestante sino al Novecento, Angenendt consente al lettore di seguire le vicende di un pensiero teologico che vede, tra l’altro, il capovolgimento delle parole di Gesù. Ciò condusse a una nuova comprensione dell’autorità pontificia in ambito dogmatico, sebbene non significasse ancora spedire al rogo l’eretico di turno. La legittimità di questo ulteriore passo venne argomentata dall’alta Scolastica che permetterà il successivo ribaltamento avvenuto con san Tommaso d’Aquino. L’Aquinate, richiamandosi all’agostiniano compelle intrare, può infatti affermare che quando non c’è da temere d’estirpare anche il grano «la severità della correzione non deve dormire» (158).

Con l’avvento della Riforma, quantunque si sia in presenza delle esecuzioni degli anabattisti e del rogo di Serveto, si assiste al fenomeno dei dissenzienti e dei pietisti, che con la sola loro presenza riaffermano a costo di persecuzioni la tolleranza in ambito cristiano. È con l’età dell’Illuminismo, segnatamente con Kant, che si ritorna alle posizioni di tolleranza religiosa della Chiesa antica: un ritorno che giuridicamente aprì le porte alla Costituzione belga del 1831 e alla Rivoluzione tedesca del 1848.

Tolleranza: un meccanismo d’«inquietudine», insito nel cristianesimo sin dalle sue origini, da proteggere e conservare.


D. Segna, in Il Regno Attualità 16/2024

«Tolleranza zero!» è il motto che partiti e individui a tendenza forcaiola imbracciano insieme al parallelo «Buttare la chiave», dopo aver carcerato il delinquente.

Il motto è talora penetrato anche nel mondo ecclesiastico, soprattutto in connessione col delitto di pedofilia. La categoria "tolleranza", che nell'opinione comune è legata all'Illuminismo (i nomi che di solito si citano sono quelli di Voltaire, Hobbes, Locke, Kant, Bayle), sommuove un vespaio di altri fili tematici correlati, come la giustizia e il giudizio, la violenza e la maledizione, ma anche l'amore, la clemenza, il condono e il perdono. Il tutto si annoda in un groviglio difficile da districare e ordinare in un tessuto coerente.

È ciò che cerca di fare un docente di Storia della Chiesa dell'università tedesca di Münster, Arnold Angenendt, scomparso nel 2021 a 87 anni, interessato soprattutto allo studio delle dinamiche religiose e socio-culturali dei vati secoli europei a partire dal Medioevo. Il suo saggio, molto suggestivo nonostante l'evocata complessità della materia, si muove secondo una traiettoria diacronica: non per nulla il sottotitolo suona «La tolleranza storia del cristianesimo». In filigrana, però, il lettore s'accorge che l'analisi riesce a configurarsi anche come una sintesi sincronica su una realtà che ripetutamente vacilla ai nostri giorni a prima vista così "tolleranti".

Per coordinare un materiale così molteplice che procede dalle bibliche giù giù sino ai diritti umani della modernità (in verità molto meno tutelati di quanto si proclami), l'autore ricorre a una curiosa parabola evangelica che è nella citazione del titolo stesso: «Lasciate che crescano insieme...». Essa è nota come “la parabola della zizzania”', nella quale ricorre per ben otto volte il termine greco zizánion che nella classificazione botanica reca il nome latino di lolium temulentum (donde il nostro ''loglio"), cioè ''ubriacante", riferito agli effetti tossici imputabili non tanto alla pianta ma ai parassiti ospitati nelle sue spighe. Il vocabolo persiste al livello comune nella forma metaforica "seminare zizzania".

La sua presenza infestante in un campo di grano è narrata nel Vangelo di Matteo (13,24-30) e può generare la reazione spontanea dei coltivatori che vorrebbero estirparla subito col rischio di sradicare con essa anche il frumento. In realtà, la pratica corretta è quella suggerita dal padrone di quel terreno che, da buon agronomo, suggerisce: «Lasciate che l’una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura». La tecnica proposta è quella di attendere la mietitura ove è più agevole identificare e strappare la zizzania «legandola in fasci per bruciarla» e isolare il grano da depositare nei magazzini.

Facile è intuire nella reazione iniziale dei contadini lo zelo degli intolleranti che vorrebbero intervenire brutalmente subito con vendette, condanne, restrizioni, creando uno stato di terrore e una comunità impaurita, riducendo i diritti civili. Gesù, a più riprese, ribadisce la sua legge primaria della non-violenza e, pur ricordando «la durezza del cuore umano», condanna ogni giudizio sommario: si pensi solo al celebre episodio dell'adultera narrato nel Vangelo di Giovanni (8,1-11). Certo, da sottoporre a una corretta ermeneutica sono le numerose pagine violente della Bibbia e da tutelare sono anche le esigenze della giustizia.

Tuttavia, già nel Libro della Sapienza,un testo biblico tardo (forse 30 a.C.) e non citato dallo storico tedesco, si legge: «Tu, o Dio, hai compassione di tutto perché tutto puoi, chiudi gli occhi sul peccato degli uomini aspettando il loro pentimento» (11,23). L'apostolo Paolo ricorre a un vocabolo greco che lui solo usa per due volte nella Lettera ai Romani: anochê (2,4; 3,26), ignorato anch'esso da Angenendt, il cui valore è appunto "tolleranza, indulgenza, condono, demenza, remissione, pazienza". Il monito paolino suona così: «Tu disprezzi la ricchezza della bontà di Dio, della sua anochê e della sua magnanimità, senza riconoscere che la bontà di Dio ti spinge alla conversione?». San Girolamo, nella sua Vulgata,usa una sola volta il latino tolerantia ma nel senso di “sopportare una prova” (2 Corinzi 1,6).

Abbiamo riservato un ampio spazio alla presenza biblica del tema ove dovremmo però anche sottolineare la cosiddetta "riserva escatologica" espressa nella parabola attraverso il simbolo della mietitura: a suggello della storia si giudicherà nettamente bene e male (il vaglio della zizzania e del grano).

L'opera dello studioso tedesco rivela una mirabile ricchezza nell'affresco successivo con squarci di grande interesse sull'intolleranza nella storia del cristianesimo secondo tutte le sue variazioni. Esemplare è la sezione riservata al Medioevo e al tema dell'eresia, delle scomuniche, dei roghi, delle coercizioni, dell'"estirpare", della caccia alle streghe, della successiva Inquisizione con l'irrompere della Riforma che, certo, esalta la «libertà del cristiano» ma non nel senso dell'attuale concetto di libertà religiosa.

Lasciamo al lettore di seguire, poi, le ulteriori tappe fondamentali scandite dal citato illuminismo e soprattutto dalla complessa elaborazione della moderna libertà religiosa. Sono pagine preziose anche per la felice capacità dell'autore di cogliere i crocevia e le figure capitali, dal Concilio Vaticano II fino ai contributi di Böckenförde, di Walser, di Habermas e la configurazione dello Stato laico.


G. Ravasi, in Il Sole 24 Ore 14 luglio 2024