02/02/2009
127. Vie della teologia ortodossa di Rosino Gibellini
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In data 27 gennaio 2009 è stato eletto come successore del patriarca Alessio II il nuovo patriarca della Chiesa ortodossa russa Kirill, 62 anni, di San Pietroburgo, già metropolita di Smolensk e Kaliningrad, e viene presentato come un fautore del dialogo con le altre Chiese cristiane, ma anche con le grandi tradizioni religiose mondiali. Presentiamo questo breve panorama storico-teologico della Chiesa ortodossa, ripreso dalla recente “Breve storia della teologia del XX secolo” (Morcelliana 2008).


La teologia ortodossa è la teologia del cristianesimo ortodosso, ossia delle chiese dell’Oriente cristiano, che non sono in comunione canonica fin dal Medioevo, e precisamente dal 1054, con la chiesa cattolica-romana, ma sono in comunione con la sede di Costantinopoli, la nuova Roma: «Per antonomasia si chiama dunque “ortodossa” quella teologia sorta dalla chiesa di Costantinopoli nel Medioevo e continuata fino ai nostri giorni nelle chiese omonime, in quanto essa si contraddistingue sia dalla teologia delle altre tradizioni orientali [le tradizioni non-calcedonesi: nestoriana, monofisita e altre], sia dalla teologia latina, e che si è sviluppata dopo la rottura della comunione canonica». Essa si sente in diretta continuità storica con il cristianesimo delle origini, in quanto si rifà al «messaggio greco» dei primi sette concili ecumenici (IV-VIII sec.) comuni all’Oriente e all’Occidente e alla teologia patristica di lingua greca (la lingua del Nuovo Testamento), da cui ha tratto origine. Da qui la sottolineatura del «carattere ellenistico» della chiesa e della teologia ortodossa, che aveva segnalato anche lo storico Harnack nella dodicesima lezione di L’essenza del cristianesimo (1900). Ma, mentre la valutazione di Harnack era critica, per lo storico e teologo russo-ortodosso Georgij Florovskij nel saggio L’Est cristiano (1938): «In un certo senso la chiesa stessa è ellenistica, è una formazione ellenistica, o, in altre parole, l’Ellenismo è una categoria stabile dell’esistenza cristiana».

Per la teologia ortodossa, i primi sette concili ecumenici e i Padri greci costituiscono la Tradizione pura e semplice. Per l’Ortodossia, la teologia è un discorso sapienziale su Dio, esperienziale e dossologico, legato ad una vita di ascesi e di preghiera, che si fa contemplazione dossologica della Trinità: è conoscenza vitale, conoscenza di intelletto e conoscenza del cuore (cardiognosi). Spiega il teologo russo-ortodosso Paul Evdokimov nella sua esposizione storico-sistematica su L’Ortodossia (1959): «L’Ortodossia viene da doxa e significa al tempo stesso giusta dottrina e giusta lode: i due significati si uniscono nell’orthozoi, giusta esistenza, e rivelano un’ortodossia molto più orante che didattica». È pertanto una teologia, che non si presta a esposizioni e ricostruzioni storiografiche, come la teologia occidentale, e di cui il non-ortodosso, come consiglia il cattolico Emmanuel Lanne, può solo offrire «piste di pensiero».

Ricorda il teologo russo-ortodosso John Meyendorf in La teologia bizantina (1974): «L’imperatore Costantino (324-337) pose fine al conflitto tra cristianesimo e impero romano. Abbandonò poi l’antica capitale e trasferì il centro della vita politica e culturale di quello che era allora considerato il “mondo civile”, nel luogo dove era situata un’antica città greca sulle rive del Bosforo: Bisanzio. Ufficialmente denominata Costantinopoli, la “Nuova Roma” fu la capitale di un impero, chiamato ancora “romano” per oltre undici secoli, finché non cadde nelle mani dei Turchi nel 1453». Si sviluppa in questi secoli una teologia cristiana di lingua greca, nota come «teologia bizantina», di cui John Meyendorf è il grande storico, che si fa iniziare con la data del concilio cristologico di Calcedonia nel 451 (ma si deve anche ricordare la caduta di Roma nel 476), per concludersi nel 1453, data della caduta di Bisanzio, che diventa Istanbul. La teologia bizantina (451-1453) ha i suoi teologi in Massimo in Confessore (VII sec.); Giovanni Damasceno (VIII sec.), autore della «Somma» patristica Esposizione della fede ortodossa (De fide ortodoxa) – che tradotta in latino nel XI secolo, ha trasmesso all’Occidente la tradizione dei Padri greci –; Simeone il Nuovo Teologo (XI sec.); Gregorio Palamas (XIV sec.), monaco del monte Athos e vescovo di Tessalonica, rappresentante della teologia dell’esicasmo, che sostiene la totale inaccessibilità di Dio nella sua essenza, sia in questa vita che nella futura, ma insieme la sua totale comunicabilità all’uomo intero attraverso le sue «energie».

Bisanzio continua anche dopo Bisanzio. Scrive il teologo franco-ortodosso Olivier Clément in una pregevole sintesi su La Chiesa ortodossa (1961): «La caduta di Costantinopoli (1453) e la conquista dei Balcani da parte dei Turchi fanno della Russia – che proprio ora finisce di scuotere da sé il giogo mongolo – il centro missionario dell’Ortodossia e le affidano quello che potremmo chiamare il servizio diaconale della chiesa (il cui centro propriamente spirituale resta la “repubblica mistica” del monte Athos». E il teologo russo-ortodosso Paul Evdokimov nella già citata esposizione storico-sistematica su L’Ortodossia (1959): «La fine di Bisanzio è soltanto la fine dell’impero: Bisanzio come patria spirituale dell’ortodossia rimane». Lo storico e teologo russo-ortodosso Georgij Florovskij si è assunto il compito di una dotta e vivace, ma anche critica, esplorazione delle Vie della teologia russa – opera pubblicata in russo a Parigi nel 1937 – che parte dagli inizi della chiesa russa nel X secolo e arriva fino «Alla Vigilia» (come titola il capitolo finale) della rivoluzione sovietica nel 1917. Annota John Meyendorf nella introduzione all’edizione russa postuma del 1980: «Ai giorni nostri, la chiesa russa e la stessa Russia risorgono dalle ceneri dell’incendio rivoluzionario che parve aver distrutto tutte le fondamenta della cultura. È necessaria una costruzione ex novo». La celebrazione del primo millennio del «Battesimo della Russia» (988-1988) ha richiamato l’attenzione sulla più grande chiesa ortodossa. La caduta del muro di Berlino (1989) ha restituito all’Europa «il suo Oriente», secondo l’espressione della filosofa Nynfa Bosco.

La teologia ortodossa conosciuta in Occidente è stata mediata in gran parte dai teologi russi della diaspora, in particolare (per segnalare i più noti): Sergej Bulgakov (1871-1944), autore della grande trilogia La Teantropia sul mistero dell’incarnazione, tra cui spicca il volume L’Agnello di Dio. Il mistero del Verbo Incarnato (1933); Pavel Florenskij (1882-1937, fucilato in un lager russo, vittima della repressione sovietica, non appartiene pertanto alla diaspora), autore della grande opera La colonna e il fondamento della verità (1912); Vladimir Lossky (1903-1958), autore di La teologia mistica della Chiesa d’Oriente (1944); Georgij Florovskij (1893-1973), autore delle Vie della teologia russa (1937); John Meyendorf (1926-1992), autore di La teologia bizantina (1974).

Ma il teologo cattolico greco Yannis Spiteris ha ricostruito in un’opera ben documentata la storia dei teologi della nazione greca, con i centri di Tessalonica e di Atene, che sono gli eredi diretti della tradizione bizantina sia per la comunanza della lingua greca sia per la continuità della storia, in La teologia ortodossa neo-greca (1992). Questa ricostruzione parte dalla caduta di Bisanzio (1453), sintetizza la teologia greca nell’epoca post-bizantina della turcocrazia (1453-1821), per svolgere con ampiezza la teologia neo-greca o neo-ellenica fino alle figure più rappresentative e più note anche in Occidente del XX secolo: Nikos Nissiotis (1925-1986) della Scuola di Atene, autore di numerosi saggi di pneumatologia ortodossa; Joannis Zizioulas (1931- ), rappresentante del patriarcato di Costantinopoli in vari organismi ecumenici e autore di saggi ecclesiologici raccolti in L’essere ecclesiale (1981); e il filosofo e teologo Christos Yannaras (1935- ) autore di un fortunato Abbecedario della fede (1983), corso di lezioni agli studenti di tutte le facoltà dell’università di Atene, tradotto in Occidente con il titolo La fede dell’esperienza ecclesiale. Introduzione alla teologia ortodossa. Questo gruppo di teologi greci, a partire dal 1983, sono chiamati «neo-ortodossi», in quanto rappresentanti di un pensiero dinamico sotto il profilo culturale e religioso, capaci di farsi ascoltare anche nella società, e non solo nella comunità.

Sono da ricordare anche i teologi ortodossi di lingua serba come Justin Popovi (1894-1979); e i teologi di lungua rumena, come Dumitru Staniloae (1903-1993), autore di una Teologia dogmatica ortodossa (1978, in 3 voll.).

La teologia ortodossa del XX secolo è caratterizzata dalla riscoperta del più grande teologo e mistico tardobizantino Gregorio Palamas (XIV sec.), con la sua distinzione tra essenza (usía) divina, inconoscibile, e energie (enérgheiai) divine, increate ma comunicabili, in quanto sono Dio in azione, comunicazione personale (e non emanazione impersonale) della vita divina personale nel tempo. Deriva da qui il carattere apofatico, esperienziale e mistico della teologia, ampiamente illustrato da Lossky in La teologia mistica della Chiesa d’Oriente (1944).

Nella dottrina (e esperienza mistica) teo-logica, se la teologia occidentale procede generalmente dall’unità dell’essenza divina alla trinità delle persone, la teologia ortodossa è rigorosamente trinitaria, procedendo essa sempre dalla trinità delle persone alla essenza divina, che non è una essenza astratta, ma è il loro essere-in-comunione. Dio è Trinità (si rifugge dalla formula del monoteismo), e nella Trinità, la persona del Padre è principio della generazione del Figlio e della spirazione dello Spirito Santo. Secondo la teologia ortodossa, in principio non è l’Essere con riferimento all’Essere supremo (Dio), ma «in principio è la Persona» con rimando alla Persona del Padre, che è il principio dell’essere e della comunione. Questa principialità della persona del Padre va sotto il nome di «ontologismo della Persona», o anche di «personalismo cristiano», in senso primariamente teo-logico.

Nel pensare il rapporto tra Dio, mondo e uomo la dottrina più nota e più discussa è la sofiologia di Bulgakov, ripresa da Soloviev e da Florenskij (per ricordare solo le fonti della tradizione ortodossa), e riproposta soprattutto nel primo volume della sua trilogia La Teantropia, e precisamente in L’Agnello di Dio. Il mistero del Verbo incarnato (1933). La Sofia di Dio è la sapienza di Dio che appartiene alle ipostasi divine, e, insieme, è il complesso organico delle idee divine, non platonicamente inteso, in quanto è il Progetto di Dio nella creazione, e, come sofia creata, è la rivelazione di Dio nella creazione. Non è una visione panteistica, ma pan-en-teistica. Nella sintesi comparata di Spiteris: «Si tratta dell’azione di Dio nella creazione attraverso il suo Verbo nello Spirito che “riempie la creazione intera” [...]. Praticamente quello che Bulgakov chiama Sofia di Dio, Palamas e i teologi ortodossi neo-palamiti chiamano energie increate di Dio distinte dalla sostanza di Dio. Esse pur essendo eternamente in Dio si autoriversano nella creazione riempiendola dal di dentro di Dio stesso senza che peraltro questi cessi di trascendere le sue creature pur riempiendole di sé».

In ecclesiologia, la teologia ortodossa del XX secolo è passata dalla concezione della chiesa come «societas perfecta» – influenzata dalla chiesa latina – al ricupero della concezione comunionale e sacramentale della chiesa, di cui «Zizioulas rappresenta in un certo senso la sintesi di tutta la riflessione ortodossa» della seconda metà del XX secolo.

Parlando della chiesa ortodossa si deve evitare di parlarne dal punto di vista latino e di considerarla semplicemente come una chiesa che condivide con la chiesa cattolica-romana la successione apostolica, la tradizione dogmatica, la struttura ministeriale e sacramentale, ma che è separata, perché non accetta il primato petrino. Sarebbe una semplificazione, che non tiene conto della sua storia, della sua mens patristica e della sua gnoseologia teologica, che è altra da quella della chiesa occidentale. Il filosofo e teologo russo Vladimir Soloviev (1853-1900), precursore dell’ecumenismo in campo ortodosso, scriveva in La grande contesa e la politica cristiana (1883): «È chiaro che la causa dell’insuccesso generale dell’azione cristiana (nel creare una cultura cristiana) sta non nel cristianesimo difensivo dell’Oriente e nel cristianesimo attivo dell’Occidente, ma nella loro separazione anticristiana». E prospettava la visione di una chiesa dell’unità capace di accogliere il principio della tradizione proprio dell’ortodossia, il principio dell’autorità e della istituzione proprio del cattolicesimo, e il principio della libertà del cristiano proprio del protestantesimo.




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