Televisione e stampa hanno documentato il recente viaggio apostolico di papa Francesco in Terra Santa. Si è segnalata in particolare la Radio Vaticana, che mi ha raggiunto, in prossimità del viaggio, con una domanda singolare: qual è la teologia delle religioni di papa Francesco? E come si può formulare nei confronti dell’ebraismo e dell’islamismo (date le comunità che avrebbe incontrato nel viaggio in Giordania, Israele e Palestina)?
Ho risposto alla domanda e alle sue articolazioni con riferimento alla Esortazione apostolica, Evangelii Gaudium (24 novembre 2013), dove il papa si esprime anche su questa tematica.
Innanzitutto, il rapporto deve essere dialogico, e mirare a realizzare pace: «La pace è artigianale» (n. 214). L’espressione è molto bella, ed è stata anche usata e spiegata nel viaggio, e recepita dagli osservatori. Generalmente si dice che i discepoli del Signore devono essere “operatori di pace”, secondo le beatitudini (Mt 5,9). Ma usare l’espressione: “la pace è artigianale”, vuol dire affidare la pace a tutti, perché ciascuno l’attui “ogni giorno”, e “con piccoli gesti”. Questo è il principio primo, espresso in forma dimessa, ma esigente nella pratica.
Per quanto riguarda l’ebraismo, papa Francesco riconosce che tra ebraismo e chiesa «esiste una ricca complementarietà» (n. 247), che ci aiuta alla comprensione della Parola e a condividere convinzioni etiche al servizio della giustizia e dello sviluppo dei popoli. È nota inoltre la sua amicizia con il rabbino argentino Abraham Skorka, con cui ha realizzato il libro, che documenta una confidente amicizia, Il cielo e la terra (2010; Mondadori 2013), che la casa editrice Toby Press (New Milford, Connecticut) ha deciso di tradurre in lingua ebraica.
Per il rapporto con l’Islam, lo si deve distinguere dal fondamentalismo violento, che ne è una degenerazione, e il dialogo è così espresso: «Noi cristiani dovremmo accogliere con affetto e rispetto gli immigrati dell’Islam che arrivano nei nostri Paesi, così come speriamo e preghiamo di essere accolti e rispettati nei Paesi di tradizione islamica», e poi continua: «Prego, imploro umilmente tali Paesi affinché assicurino libertà ai cristiani affinché possano celebrare il loro culto e vivere la loro fede, tenendo conto della libertà che i credenti dell’Islam godono nei paesi occidentali!» (n. 253). È la richiesta – umile, chiara ed esigente – di reciprocità.
Il dialogo interreligioso va praticato; esso è «in primo luogo una conversazione sulla vita umana» (n. 250).
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