Di recente pubblicazione nella collana «Giornale di teologia» dell’Editrice Queriniana, presentiamo qui due scritti che nascono l’uno in risposta all’altro, instaurando tra loro un dibattito che li vede convergere e divergere su concetti chiave per il modo d’intendere la realtà e di approcciarsi ad essa. Si tratta di una controversia sul primato della verità o della libertà nella chiesa. La controversia è certamente teorica, ma per molti versi è connotata da risvolti pratici e pastorali che già oggi toccano la vita del popolo di Dio: si pensi a temi quali il celibato dei ministri ordinati e il diaconato alle donne, così presenti nel dibattito ecclesiale attuale.
Il primo testo è di Karl-Heinz Menke (1950), docente emerito di dogmatica alla Facoltà teologica dell’Università di Bonn e membro della Commissione teologica internazionale. In La verità rende liberi o la libertà rende veri? Uno scritto polemico («Giornale di teologia» 422) Menke prende spunto da una tesi che sottende un’intera collana edita dalla Herder di Friburgo, «Katholizismus im Unbruch» [Cattolicesimo in trasformazione]. Per Stephan Goertz e Magnus Striet, i curatori della collana, la chiesa cattolica si troverebbe di nuovo in crisi poiché negherebbe la liberazione dell’essere umano come via all’autonomia che si determina da sé, la nota teoria proposta da Kant. In disaccordo con questa lettura e con le conseguenze cui essa sembra condurre per la vita della chiesa, Menke offre un pamphlet volutamente polemico, in cui spiega questo capovolgimento del primato della verità sulla libertà come il frutto di una lettura radicale dell’autonomia del soggetto, fondata appunto sull’affermazione kantiana del «diritto dell’uomo di condurre la propria vita secondo fini che lui stesso si è posto». Menke vuole lanciare un grido d’allarme sulla transizione che il cristianesimo sta attraversando ai giorni nostri: temi come il celibato, il sacerdozio femminile, l’ammissione dei divorziati ai sacramenti, i matrimoni tra persone dello stesso sesso, l’organizzazione partecipativa della comunità sono diventati sempre più la linea di faglia di un movimento tellurico. Non si tratta di semplici cambiamenti su questo o quel singolo punto della morale sessuale o dell’ecclesiologia. Non abbiamo a che fare con semplici strategie di adattamento o di liberalizzazione. No: ne va di qualcosa di sovversivo. Per Menke il verdetto è chiaro: è la verità che rende liberi, dunque il primato va assegnato alla verità. Tutto il resto per lui conduce al soggettivismo e al relativismo dell’arbitrio soggettivo.
A questa presa di posizione non poteva mancare la risposta di Magnus Striet (1964), professore di teologia fondamentale all’Università di Friburgo e curatore della collana sopra citata. Libertà ovverosia il caso serio. Lavorare per “Abbattere i bastioni” è il titolo del suo testo («Giornale di teologia» 423). L’autonomia è definita in questo libro «diritto dell’uomo di condurre la propria vita secondo fini che egli si è posto». Striet risponde non demolendo a priori le tesi di Menke (che in buona parte ritiene legittime e giustificate), ma analizzando più a fondo il rapporto tra libertà e verità. Egli parte dalla constatazione di una inquietudine nella chiesa cattolica a tale riguardo, che si riflette anche nell’ambito della teologia: come va intesa la libertà? Può la chiesa accettare il pensiero di una modernità che si fa guidare dall’idea del diritto alla autodeterminazione individuale?
La questione non è secondaria, perché non solo entra profondamente nel dibattito ecumenico tra le varie confessioni cristiane, ma pone anche il problema se uno stato di diritto – laico e liberale – sia legittimabile agli occhi della chiesa. La risposta di Striet è altrettanto chiara: la libertà di autonomia va teologicamente riconosciuta come "principio" e la chiesa cattolica dovrebbe accettare una modernità che si fonda sulla libertà, per una nuova e necessaria autocomprensione.
Come si vede, i due testi non vogliono alimentare una lite qualunque, ma evidenziare questioni filosofiche, teologiche ed etiche di rilevanza fondamentale.
Verità o libertà, insomma? E alla funzione della coscienza quale criterio della moralità, che ruolo viene assegnato in questo dibattito? A noi torna alla mente una frase di Edith Stein: «Non accettate nulla come verità che sia privo di amore. E non accettate nulla come amore che sia privo di verità. L’uno senza l’altra diventa una menzogna distruttiva».
Oltre a leggere entrambe le pubblicazioni, riteniamo ci sarebbe da riflettere molto sulla citazione testé riportata.
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