01/04/2011
186. VALICANDO LE FRONTIERE Il Forum mondiale di teologia e liberazione
Dakar 2011
di Luiz Carlos Susin (Università Cattolica di Porto Alegre/RS, Brasile)
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La quarta edizione del Forum mondiale di teologia e liberazione si è svolta dal 5 all’11 febbraio 2011 a Dakar (Senegal), una città africana cosmopolita, inondata di sole e di mare, sulla punta ovest del continente. Come d’abitudine, il Forum di teologia è abbinato al Social Forum mondiale1. È la prima edizione che avviene in un paese a grande maggioranza musulmana, circa il 95% della popolazione. Per un Forum di teologia nella prospettiva della liberazione, una tale condizione sociale rappresenta una sfida particolare, in quanto mette in evidenza sia la questione del pluralismo insieme religioso e culturale, sia la questione che si impone sempre più del dialogo interreligioso, senza perdere la relazione con le realtà economiche, sociali e politiche nelle quali si manifestano le diverse esperienze ed espressioni religiose.

Tra i progetti e le realizzazioni, anche in questa edizione del Forum ci sono state molte sorprese. Per chi vuole fare teologia a partire da un ascolto attento della realtà, la realtà particolare si impone ancora una volta, obbligando a mutare posizioni e programmi, e ad accettare altri modi di relazionarsi con il tempo e con lo spazio. Dakar ha anche sollecitato a sperimentare le inaspettate ricchezze locali e ad essere creativi nelle risposte. Ci si è trovati, infatti, in mezzo a gente tipicamente africana, sempre pronta a un colloquio, a un largo sorriso di ospitalità – la famosa tengara senegalese. Per i partecipanti al Forum è stata questa la prima lezione di realtà: il popolo e la città di Dakar. C’è una canzone brasiliana che celebra in anticipo l’utopia di un mondo nuovo dicendo: «Nella nuova terra, il nero, l’indio, il mulatto, il bianco e tutti mangeranno dallo stesso piatto». Ebbene, a Dakar, secondo la tradizione delle famiglie locali, i partecipanti al Forum provenienti da diversi continenti a pranzo mangiavano tutti – letteralmente! – «dallo stesso piatto». 

Altra lezione, di ordine storico, è stata la visita alla bella isola di Gorée, proprio di fronte a Dakar. Si tratta di un monumento conturbante, memoria dell’imbarco senza ritorno per milioni di Africani, uomini, donne e bambini strappati e rapiti dai loro villaggi, separati dalle loro famiglie, dalle loro lingue materne, dalle loro credenze religiose, trattati dagli Europei come oggetti di mercato e portati nelle colonie delle Americhe per ogni genere di lavoro in schiavitù dal quale si ricavavano e si producevano ricchezze, naturali e agricole, per le metropoli europee. Da questo violento triangolo mercantilista, camuffata dai bei discorsi illuministi, è nata la modernità reale. A Gorée, una delle innumerevoli “case degli schiavi” è perfettamente restaurata, a perenne ricordo. Curiosamente, poi, una delle case di schiavi è oggi casa del presbiterio locale.

Il Forum di teologia, prefiggendosi una maggiore integrazione con il Social Forum mondiale, ha proposto e partecipato a dei gruppi di lavoro sia nel giorno dedicato interamente all’Africa sia il giorno successivo, prendendo in considerazione tanto l’Africa continentale quanto l’Africa della diaspora negli altri continenti del mondo. Veniamo ad apprendere che l’Africa, con la sua immensa diversità, è un’eredità e un modo di essere anche al fuori del continente.

Si sono imposti, tuttavia, due limiti: uno di ordine politico al Forum sociale, e l’altro di ordine religioso al Forum teologico. Qualche tempo prima della realizzazione del Forum sociale sono stati nominati i nuovi dirigenti dell’università pubblica intitolata a Cheikh Anta Diop, ingaggiata per essere lo spazio dell’evento, il che ha avuto delle ripercussioni sull’organizzazione del Forum stesso. Poiché il nuovo rettore ha deciso di non sospendere le lezioni del semestre, è stato necessario improvvisare nuovi spazi, e il ritardo nel metterli a disposizione del pubblico è stato fatale tanto per la proposta in sé quanto per il lavoro di ricerca effettuato nei gruppi di studio. In altre parole, alla conclusione di tutto abbiamo finito per restare sempre e soltanto “i soliti”. Per le attività di teologia c’è stata una aggravante, il secondo limite: i musulmani invitati non si sono presentati al dialogo previsto, e uno dei motivi può essere stato quello della confusione regnante in termini di agenda e di spazi. Per un Forum di teologia che si realizza in un paese a maggioranza musulmana – prefiggendosi l’esercizio di un dialogo in termini interreligiosi – il fatto di ritrovarsi “tra uguali” e di non riuscire a superare la barriera degli imprevisti dà molto a pensare. Questa lacuna ha innervosito i partecipanti. Alcuni, partendo dalle proprie esperienze, sostenevano quello che per esempio già J. Moltmann aveva osservato: il dialogo fra tradizioni religiose suppone interesse per l’altro, un interesse vicendevole. E i musulmani non pare fossero interessati a conoscere la tradizione cristiana. Altri ritenevano che il fatto che i musulmani siano un’immensa maggioranza nel paese pone l’interrogativo sui paesi a stragrande maggioranza cristiana: che cosa accade quando si è maggioranza (o minoranza)? Ad ogni modo, la questione era più che altro pratica e forse banale: un problema di comunicazione, di agenda e di organizzazione tra mondi diversi. Osservare come si presentano le relazioni tra la grande maggioranza musulmana e la minoranza cristiana nel Senegal, tuttavia, è una lezione da non dimenticare in fatto di convivenza. La minoranza cristiana offre buone scuole e una particolare attenzione alla salute, il che le viene contraccambiato con riconoscenza e rispetto da parte della maggioranza musulmana.


1/ Il canone “vita” viene prima di tutti gli altri canoni

Il Forum di teologia ha sviluppato un seminario nei giorni in cui il Social Forum mondiale dedicava tempo ad assemblee settoriali, per centri di interesse. Il seminario, come previsto, si è rivelato il vertice del Forum di teologia. Il suo obiettivo era la discussione su quale epistemologia, quali categorie, quali linguaggi e quali i metodi sono più adeguati per rendere conto della complessità “mondiale” del nostro tempo e dei prossimi anni. Nel seminario si è riscontrata un’animata tensione tra il quotidiano locale, vale a dire la grande varietà di contesti, e le questioni globali, sistemiche, che incidono sul locale. Oggi, la quotidianità della vita di un popolo anche all’interno di un paese “minore” si vede influenzata dalle grandi innovazioni della tecnologia, del mercato e del consumo che, inevitabilmente, devastano la condizione culturale e religiosa di quel popolo, manipolando nel contempo la sua mentalità e le sue aspirazioni.

Di fronte a tutto questo, la pluralità di elementi che costituiscono il lavoro teologico costringe a seguire un certo ordine delle priorità: luoghi teologici prioritari che diventano i primi e più fondamentali princìpi ermeneutici. Nell’ordine classico dei loci theologici, la fonte originaria della Parola di Dio si trova in prima istanza nella Scrittura; la tradizione e il magistero sono fondati sulla rivelazione delle Scritture, di cui essi sono uno sviluppo; e poi, secondo Melchior Cano, vengono i “fatti della storia” quali loci alieni, provenienti dall’esterno, non essendo propri del “deposito cristiano”. Il Forum, però, erede della riflessione teologica degli ultimi cinquant’anni, è stato straordinario nel “cambiare ordine”: ha collocato come primo luogo teologico la vita in carne ed ossa, la vita quotidiana, la vita condivisa, la vita dei popoli a partire dalla quale si fa teologia. Il necessario radicamento e l’appartenenza del/la teologo/a a una comunità di fede sono stati intesi dal Forum innanzitutto come una comunione di vita (non come confessionalità, meno che meno come istituzione ecclesiastica): la vita del loro popolo. Questa relazione viscerale con la vita del popolo, con le sue lotte e speranze, le sue sofferenze e feste, è il fondamento originario della rivelazione divina, della salvezza in processi di liberazione, fondamento a partire dal quale la Scrittura acquista nuova luce, può essere decifrata a partire dal criterio del “dare la vita e darla in abbondanza”. È stato sottolineato, per esempio, che ci sono testi biblici che insegnano come non si dà la vita e fanno capire che non è più possibile continuare in quel modo per comprendere il Dio che vuole la vita del suo popolo. E, d’altra parte, ci sono testi o racconti orali, al di fuori dalle Scritture giudaiche e cristiane, che ispirano anch’essi la vita e la vita in abbondanza. Non importa se provengono da quelle che chiamiamo le grandi tradizioni religiose o da piccoli gruppi, dato che la loro qualità non dipende dalla quantità di persone che tramandano quelle tradizioni.

Di conseguenza, in altre parole, il primo “canone” non è la Scrittura: è la vita. Il Forum ha accentuato in forma estremamente incisiva questo canone prioritario, anche per la creazione epistemologica. Il canone della “vita” riconosciuta, liberata e liberatrice, ci permette di aprire questo luogo teologico prioritario alle diverse tradizioni religiose dei popoli, al pluralismo religioso, prendendo in considerazione la religione dell’“altro”. È nella relazione con la vita dei popoli, nelle loro contraddizioni e speranze che le diverse Scritture, come anche gli insegnamenti e le narrazioni orali, possono essere buona novella, sempre come notizie di vita. Viene così a crearsi la sinergia tipica del circolo ermeneutico “vita-Parola” e “Parola-vita”, laddove la vita permane quale referente e criterio ermeneutico. In questa circolarità si collocano i diversi livelli di esperienze, texture, contesti, testi, sapienza e, ovviamente, anche concetti e sistemi di pensiero, ma in quest’ordine. Partire dai concetti, vale a dire dalla dottrina, dalla dogmatica, dall’esegesi, è sì possibile, ma difficile e più pericoloso. Quello che dovrebbe essere un circolo può paralizzarsi nel pieno del processo ed evaporare nell’astrattezza.

L’opzione preferenziale per i poveri, nata da un cuore pastorale colpito dal clamore di vita dei più fragili, è diventato anche cuore chiaro e solido di una teologia nella prospettiva della liberazione. Per restare con rigore e minore rischio nella verità di questo criterio, non è mancato chi lo illustrasse, più di una volta e insistentemente, con la tensione che si deve conservare tra l’opzione preferenziale per i poveri e l’universalità della buona novella cristiana. Partire dall’universalità può essere un pretesto e un tradimento: “Amare tutti” è spesso, in verità, una giustificazione per non “amare nessuno”! Solo l’amore che si concretizza in priorità esce dall’astrattezza del “tutti”, dall’universalità astratta e inefficace. Amare avendo delle priorità è quanto fa una madre, secondo un antico proverbio arabo: preferisci l’ammalato finché non guarisca, preferisci il lontano finché non arrivi, preferisci il più piccolo finché non cresca. Per questo, in un mondo più globalizzato, nel quale è necessario tener conto dei grandi sistemi che pretendono di organizzare la vita, la priorità va – per il momento – al locale, al regionale, al contestuale, nella sua diversità, nella ricchezza della biodiversità umana, compresa la biodiversità religiosa, la “ierodiversità”. Infine, come tutti sanno, Gesù non è venuto a portare una nuova religione, bensì una buona notizia per quanti necessitano di liberazione. A partire dalla buona notizia si comprende chi è Dio.


2/ Il ritorno della politica rimossa

Da un altro lato, nei giorni del Forum abbiamo assistito con attenzione, nello stesso continente africano, alle mobilitazioni del popolo egiziano che hanno fatto seguito a quelle del popolo tunisino, in un effetto “a cascata” ancora incerto ma che tende nella direzione di una maggiore e migliore democrazia nella regione araba. È risaputo che in queste mobilitazioni si ha una leadership giovanile, che si avvale di tecnologie di comunicazione che rendono trasparenti tanto la verità delle istituzioni quanto la necessità di comunità per aprire un futuro. Un tale movimento si verifica, in forma più discreta, anche in diversi paesi dell’America latina, con un protagonismo popolare, soprattutto indigeno. In queste regioni, nonostante quanto si è detto del ritiro dello stato e dell’espansione del mercato favorito dall’ideologia neoliberale, sta facendo ritorno la politica. Il Forum ha preso in considerazione il posto della politica nella buona notizia della liberazione e, perciò, nella teologia con una prospettiva di liberazione.

La politica globale a partire dai poveri, dalle regioni che dalla globalizzazione hanno soltanto da perderci, costringe a pensare più seriamente alla forza dell’“Impero”. Il Forum ha dedicato del tempo a chiarire e dibattere che cosa si può intendere con la dicitura di “Impero” nelle attuali condizioni di comunicazione, di mercato, facendo non sempre uso della forza bruta ma piuttosto di seduzione, di colonizzazione delle soggettività e delle culture, e anche di colonizzazione delle espressioni religiose. È all’interno di questo grande sistema che si spiega il mimetismo affascinante delle chiese che mettono insieme il trinomio “tempio, teatro, mercato”.

Non si dà opzione preferenziale per i poveri e neanche per la vita come canone primario di ogni buona teologia, se non si rivolge l’attenzione a questo altro punto, sistematico, della politica e dell’economia. Poiché la vita non può essere soltanto protetta, ma anche coltivata, prodotta, l’economia e la politica interessano una teologia che pretende di contribuire alla buona notizia della vita. Comprese le questioni di genere, soprattutto la liberazione della donna in un mondo che continua ad essere contrassegnato dal kyriarcalismo. Il Social Forum mondiale di Dakar è stato una vera e propria vetrina dell’acquisizione di potere da parte delle donne organizzate, in lungo e in largo per il mondo, nelle questioni della sicurezza alimentare, del reddito familiare, della salute, delle politiche pubbliche. Le donne si rivelano le protagoniste della quotidianità della vita nelle sue espressioni più concrete, ma questo non corrisponderebbe a una buona notizia di liberazione se le donne non venissero prese in considerazione anche nell’ambito più globale della politica e dell’economia. Le migrazioni e la tratta di esseri umani sono sintomi ingenti e mondiali nei quali le donne sono le più coinvolte, e simili realtà danno a pensare anche alla teologia. Evidentemente il Forum di teologia ha sentito in profondità la propria responsabilità in merito alle questioni religiose in questo contesto mondiale, perché l’esperienza religiosa sia anima di processi liberatori e apportatori di vita.


3/ Maggiore interazione in rete

Un Forum è un evento di un processo. Dopo Porto Alegre (2005), Nairobi (2007), Belém (2009) e Dakar (2011), il processo continuerà con una maggiore maturità. Impegni istituzionali, ecclesiali, contestuali e regionali devono essere portati avanti, ma il Forum “mondiale” vuole aprire le frontiere, creare una comunità teologicamente aperta a livello mondiale, e questo porta alla necessità di intensificare l’interazione in rete, in forma ampiamente ecumenica, aperta al dialogo interreligioso. Questa è la forma capace di rispettare le differenze e di creare legami e mutuo arricchimento perché un altro mondo sia possibile, secondo lo slogan teologico e messianico del Social Forum mondiale. A Dakar è stata suggerita maggiore audacia nella creazione di Forum locali e nell’uso intelligente di internet2.



Note

1)    Il Social Forum mondiale è sorto a Porto Alegre (Brasile) come alternativa al Forum economico mondiale di Davos (Svizzera). L’“altermondialismo” cerca la priorità del sociale rispetto all’economico: di fronte al “pensiero unico” dei neoliberisti, gli altermondialisti si uniscono attorno all’“altro mondo possibile”. Di fronte alla convinzione liberale – che pretende di essere scientifica – che ogni messianismo è una ideologia illusoria e violenta, l’altermondialismo mette insieme attori sociali, soggetti e azioni, capaci di efficacia nella trasformazione grazie alla loro somma e moltiplicazione in varie parti del mondo.

2)    Il Forum mondiale di teologia e liberazione è composto non di rappresentanze ecclesiali, bensì di associazioni e organizzazioni accademiche e pastorali. È organizzato ecumenicamente come un concilio permanente, composto di rappresentanti delle otto istituzioni che hanno dato il loro appoggio iniziale e di un comitato internazionale consultivo con rappresentanti di istituzioni o organizzazioni che danno la propria adesione in tutto il mondo. Si avvale di una segreteria permanente e di un sito web: www.wftl.org


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