Il sinodo dei vescovi sulla regione panamazzonica, recentemente conclusosi a Roma, chiede nel suo documento finale di autorizzare dei ministeri femminili. Sebbene non citi esplicitamente un “diaconato permanente” aperto alle donne, il documento richiama tuttavia la Commissione istituita da papa Francesco per studiare la questione, i cui lavori sono giunti a «un risultato parziale». Il pontefice stesso si è dichiarato pronto a riconvocarla, assicurandole l’apporto di nuovi membri.
Sul tema si è concentrato Andrea Grillo: il teologo savonese precisa, nel suo blog che riprendiamo qui di seguito, che questa per la chiesa cattolica sarà un’occasione immancabile per assumere in tutto il suo peso il ruolo della donna nella vita pubblica, come «segno dei tempi» caratterizzante la contemporaneità (Pacem in terris, n. 22). Ricordiamo peraltro che Grillo, in uscita proprio in questi giorni con il nuovo manuale Eucaristia, è anche uno degli autori del volume collettivo sul diaconato femminile pubblicato due anni fa da Queriniana: uno di quei «teologi e teologhe capaci di osare, con parrhēsía e senso di responsabilità ecclesiale, la ricerca di vie possibili per una trasformazione significativa e necessaria per la vita delle chiese», come annunciava Serena Noceti nella Introduzione.
Nella comune esperienza ecclesiale viene spesso ripetuto un motto di spirito, di quelli che emergono dalle amarezze del senso comune, secondo il quale “Se vuoi fare, fai, ma se non vuoi fare, fai una commissione”. Va detto, però, che la memoria storica rimedia presto a questa disperazione. La storia ci dice, infatti, che Pio X fece una commissione, e anni dopo ne uscì il Codex Iuris Canonici; Pio XII fece un’altra commissione, e ne uscì la Riforma liturgica della Veglia Pasquale e della Settimana Santa. Ecco allora che anche la Commissione sul Diaconato femminile, già convocata, e giunta per ora ad uno stallo, maieri l’altro rilanciata dal Sinodo per l’Amazzonia, può essere premessa non di rinuncia e di disfattismo, ma di profezia e di riforma.
Queste iniziali considerazioni derivano, ovviamente, da due testi recentissimi, con cui l’Assemblea del Sinodo e papa Francesco si sono pronunciati proprio ieri l’altro, a proposito del tema. Leggiamo anzitutto il testo approvato dai padri sinodali, al n. 103:
En las múltiples consultas realizadas en el espacio amazónico, se reconoció y se recalcó el papel fundamental de las mujeres religiosas y laicas en la Iglesia de la Amazonía y sus comunidades, dados los múltiples servicios que ellas brindan. En un alto número de dichas consultas, se solicitó el diaconado permanente para la mujer. Por esta razón el tema estuvo también muy presente en el Sínodo. Ya en 2016, el Papa Francisco había creado una “Comisión de Estudio sobre el Diaconado de las Mujeres” que, como Comisión, llegó a un resultado parcial sobre cómo era la realidad del diaconado de las mujeres en los primeros siglos de la Iglesia y sus implicaciones hoy. Por lo tanto, nos gustaría compartir nuestras experiencias y reflexiones con la Comisión y esperamos sus resultados.
Il testo presenta con precisione il “risultato parziale” di una ricerca, avviata dalla Commissione istituita nel 2016, della quale identifica bene il compito di studiare “come era la realtà del diaconato nei primi secoli e le sue implicazioni per l’oggi”. Questa relazione tra i primi secoli e le implicazioni attuali mi pare estremamente rilevante.
Essa mette a nudo, con molto equilibrio, una serie di questioni decisive, che voglio qui brevemente presentare in modo ordinato:
a) La autorità della commissione
La nomina di una commissione di studio è un punto decisivo del rapporto tra magistero e teologia. Il magistero ha bisogno della esperienza dei teologi, che in una Commissione ufficiale esercitano un “magistero della cattedra magistrale” a vantaggio del “magistero della cattedra pastorale”.Tommaso d’Aquino distingueva, infatti, tra magisterium cathedrae pastoralis e magisterium cathedrae magistralis, riferendo il primo ai vescovi e il secondo ai teologi.Questo significa che i teologi e gli storici, chiamati a far parte della Commissione, devono essere, allo stesso tempo, pazienti e audaci. Hanno il vantaggio di non essere direttamente chiamati a deliberare. Ma debbono esercitare in totoquesta loro limitata autorità. Non debbono semplicemente garantire lo status quo, ma immaginare l’avvenire e integrare la tradizione. E qui si apre la seconda questione.
b) La competenza storica e sistematica
Della Commissione devono far parte sia gli storici sia i sistematici. Perché la storia è necessaria, ma non è sufficiente. Occorre, oltre alla storia, anche una “sistematica aperta”, che sappia pensare la tradizione non solo secondo il passato, ma anche secondo il presente e il futuro. Romano Guardini diceva, già 100 anni fa: “la storia ci dice sempre solo che cosa è stato. Ma che cosa debba essere, può dircelo solo la teologia sistematica”. Una riflessione sul diaconato femminile non può essere semplicemente storica. Deve assumere anche un punto di vista sistematico, domandandosi apertamente e con parrhesia che cosa richieda il presente e il futuro.
c) La nomina e la composizione della commissione
Infine, un terzo punto deve essere chiarito. La nomina e la composizione della Commissione spettano al papa, come è ovvio. Sarà bene che, a differenza della Commissione precedente, non si lasci la iniziativa a soggetti poco interessati al buon andamento dei lavori. Se infatti, accanto agli storici, si dispongono sistematici privi di immaginazione e di passione per il futuro, intimoriti da ogni novità e preoccupati di garantire la immobilità del sistema, sarà facile che anche una seconda Commissione si trovi di fronte a quel muro invalicabile che lei stessa si sarà costruito intorno. Pretendere di far dire al passato ciò che il presente e il futuro attendono è una comoda scappatoia, che resta sempre priva di qualsiasi effetto.
Alle parole dei padri sinodali, che ho prima evocato, papa Francesco ha già indirettamente risposto, affermando, durante il discorso che ha chiuso la Assemblea sinodale:
«E riconvocherò la Commissione di studio sul diaconato femminile, aprendola “con nuovi membri per continuare a studiare, per vedere come esisteva nella Chiesa primitiva il diaconato permanente».
Credo che ora tutto sia diventato più chiaro: credo che la Commissione non possa essere soltanto storica. La storia può parlarci della donna autorevole del V o del XI secolo. Ma la autorevolezza della donna è mutata da quando è diventato per la Chiesa un “segno dei tempi” il “ruolo pubblico della donna”. Dal 1962 le cose non sono più le stesse. Da quando, con la enciclica Pacem in terris, abbiamo formalmente accettato che il ruolo pubblico della donna sia per la Chiesa “segno dei tempi”, da cui la Chiesa può e deve imparare, tutto lo studio del passato non potrà mai sostituire la novità di questa nuova condizione, inaugurata nel XIX secolo e impostasi da decenni almeno in una parte considerevole del mondo. Ora, per la Commissione, si tratta di riconoscere questa novità, accettare la ricchezza della autorità pubblica femminile e ammettere la donna al ministero ordinato, nel grado del diaconato. Questa Commissione sarà allora non l’avvenire di una illusione, ma l’affermarsi della tradizione. Di una tradizione che sia capace di riconoscere non solo la autorità del passato, ma anche quella del presente e del futuro. Come è sempre stato, quando la prudenza dello Spirito ha avuto la meglio sulla cieca paura dell’inedito.
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