Un evento ecclesiale di mezza estate, che si potrebbe giudicare molto più o molto meno significativo di quanto appaia a prima vista (tutto dipende dal nostro sguardo e dalla precomprensione): il 5 agosto papa Benedetto XVI ha rilasciato alle televisioni tedesche - Bayerischer Rundfunk (ARD), ZDF, Deutsche Welle – e alla Radio Vaticana una lunga intervista in preparazione al viaggio in Baviera dal 9 al 14 settembre 2006. L’intervista, andata in onda la sera del 13 agosto, comprendeva una ventina di domande, su quasi altrettanti argomenti. L’ampiezza non aiuta l’approfondimento, ma questa intervista voleva proprio essere panoramica, mostrare al mondo in genere - e in particolare alla Germania multiconfessionale e secolarizzata - il pensiero della suprema autorità della chiesa cattolica sui temi di maggir presa sull’opinione pubblica in questo momento.
Non molto concordi i commenti degli ‘addetti ai lavori’: gli uni apprezzavano l’apertura al mondo che l’evento sembra sottintendere, oltre alla semplice cordialità del papa (che un giornalista tedesco è arrivato a definire “un grande comunicatore”), altri evidenziavano invece il tono formale dell’incontro e, da parte del papa, una certa fatica psicologica, che culmina in un non-ufficiale «Ah, grazie a Dio, è finita».
La semplice lettura dell’intervista lascia un’impressione positiva e di gradevole normalità, pur senza offrire novità vere e proprie. Qualche dubbio affiora invece quando intervengono le immagini, e quando si apprende qualcosa in più oltre a domande e risposte. Il contesto d’insieme non è un semplice involucro, ma è parte del messaggio.
Lo ‘studio’ televisivo è d’eccezione: la Sala degli Svizzeri, la più grande delle sale di rappresentanza di Castel Gandolfo. Nel pavimento di marmo è intarsiato un grande cerchio, circa due metri di diametro; il papa siede al di là di questo cerchio e i quattro giornalisti al di qua. Complessivamente, circa quattro metri di distanza fisica tra intervistato e intervistatori: e conseguente necessità di usare la voce in un modo che non è affatto quello della conversazione normale. Certo non mancano i mezzi tecnici per minimizzare il problema in trasmissione, ma il fattore di disagio è rilevato da più d’uno. Va anche rilevata la rapidità dell’intervista (anche questa si coglie in trasmissione: dalla lettura non emerge, ché anzi si ha l’impressione di una certa lunghezza). Il papa è stato assai più veloce del previsto, anche nel ritmo, e il tutto è durato solo 36 minuti, contro i 60 programmati.
Se non proprio le domande precise, gli ambiti tematici dell’intervista erano fissati in anticipo. Del resto, una volta resi noti gli argomenti, le domande erano del tutto prevedibili, senza alcun elemento di casualità o imprevedibilità, men che meno di provocazione. L’idea soggiacente sembrava quella di realizzare, più che un vero ‘incontro’, un piccolo catechismo televisivo, possibilmente rispettando le regole della comunicazione televisiva: sulla professionalità degli interessati non si discute.
Molte, come si diceva, le aree tematiche: le attese relative alla prossima visita in Germania, i viaggi prossimi venturi, la secolarizzazione, l’Europa e il futuro del cristianesimo, la difficile situazione del Medio Oriente, il ruolo del successore di Pietro in rapporto alla collegialità dei vescovi, i giovani, la famiglia e la morale, le donne nella chiesa, e altro ancora. Il papa aveva a disposizione circa tre minuti per rispondere a ognuna delle domande principali. E l’attuale pontefice è senza dubbio un uomo di notevole profondità teologica e speculativa; così è ben comprensibile che non potesse trovarsi del tutto a suo agio con un tempo così limitato da dedicare a questioni importanti e molto diverse tra loro.
Essendo già l’intervista una super-sintesi spesso di questioni poco sintetizzabili, è difficile farne una sintesi ulteriore. Ci limitiamo a sfiorare i punti che sembrano più significativi.
Alla prima domanda, che verte sulla patria e sulla Sehnsucht, il papa risponde identificando felicemente il sentimento di patria con il riconoscimento ‘riconoscente’ delle proprie radici, senza alcun esclusivismo. Ritiene che in Germania e in tutto l’Occidente sia in atto un’ondata di nuovo drastico illuminismo o laicismo: Dio non vi compare più direttamente, anzi «non si beve più alla fonte, ma da ciò che, già imbottigliato, ci viene offerto». Ma il suo giudizio non è negativo, in quanto riscontra tanti segni dell’esigenza di un ‘di più’, di un ‘oltre’, anche e soprattutto nei giovani. In loro riconosce una forte disponibilità al bene, ma li esorta a superare la paura di compiere scelte definitive: per il matrimonio sacramentale, per la vocazione religiosa. Sottolinea che non è un ‘meno’ di libertà, ma un modo di “accogliere pienamente la vita”.
Interrogato su morale familiare, contraccezione, aborto, unioni omosessuali, il papa opportunamente non si addentra nelle questioni particolari e, pur riconfermando senza variazioni la dottrina tradizionale, si preoccupa di sottolineare che il pensiero della chiesa non è un cumulo di proibizioni, ma una opzione positiva. Sottolinea l’importanza che le chiese cristiane si preoccupino tutte insieme di render chiari al mondo i grandi orientamenti etici, di garantire la coesione etica della società e di testimoniare un Dio dal volto umano in un mondo che ha sempre maggiore difficoltà a trovarlo. (Questo è forse uno dei nodi problematici dell’intervista: sembra esclusa o molto sottovalutata la possibilità di un’etica laica). Il giudizio sul mondo ‘globale’ in cui viviamo risulta aperto e ricco di speranza, e dà luogo ad alcune tra le frasi più decise e luminose dell’intervista. Il papa - che notoriamente ama e capisce molto la musica - usa volentieri i riferimenti alla polifonia. «Oggi abbiamo una nuova polifonia delle culture, in cui l’Europa non è più la sola determinante, ma le comunità cristiane dei diversi continenti stanno acquistando il loro proprio peso, il loro proprio colore. Dobbiamo imparare sempre nuovamente questa sinergia». E più avanti: «… La chiesa diventa polifonica (vielstimmiger), e questo è bene. È bene che si possano esprimere i diversi temperamenti, i doni propri dell’Africa, dell’Asia e dell’America, … dell’America latina».
Il modo in cui viene affrontata la domanda sul ruolo del successore di Pietro nel momento presente, soprattutto in rapporto alla collegialità dei vescovi, rivela un certo ascolto attivo del dibattito recente, anche delle istanze ecumeniche. Secondo Benedetto XVI il Papa non è affatto un monarca assoluto ma, nell’ascolto collettivo di Cristo, deve - per così dire – personificare la totalità (das Ganze verkörpern). Vi è bisogno infatti di «un’istanza unificatrice… superiore e più ampia, che crea unità nella integrazione dinamica del tutto, e d’altra parte accoglie, accetta e promuove la molteplicità».
Infine, la domanda che più ha colpito l’attenzione: viene chiesto al papa se non pensa che il contributo delle donne non debba diventare «più chiaramente visibile, anche in posti di più alta responsabilità nella Chiesa» (e notiamo le faticose acrobazie verbali che diventano necessarie per non accennare in modo troppo esplicito a una questione severamente censurata dal galateo di Curia: il divieto di accesso all’ordinazione per le donne!). In senso stretto, concreto, la risposta non porta elementi nuovi: il papa ribadisce che «la nostra fede e la costituzione del Collegio degli Apostoli» non consentono l’ordinazione delle donne. Passa subito a ricordare che il ministero ordinato non è però l’unico ruolo ecclesiale di rilievo, e ricorda le sorelle dei Padri della Chiesa e le mistiche medievali. Nessun accenno, né per il passato né per il presente, allo studio della teologia, alla ricerca teologica da parte delle donne. Significativo invece per la sua spoglia onestà il riconoscimento del «problema giuridico»: secondo il Diritto Canonico, il potere di prendere decisioni giuridicamente vincolanti è legato all’Ordine sacro.
La conclusione della risposta sulle donne è giustamente il passaggio più citato dell’enciclica. Può suscitare reazioni diverse, entusiasmare o apparire evasiva: «… Ma io credo che le stesse donne, con il loro slancio e la loro forza, con la loro – per così dire – preponderanza (Übergewicht), con la loro ‘potenza spirituale’, sapranno farsi il loro spazio. E noi dovremmo cercare di metterci in ascolto di Dio, per non essere noi ad opporci a Lui…».
Lilia Sebastiani
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