Il noto cardinale tedesco Walter Kasper è autore di numerosi libri di successo nel catalogo Queriniana e da poco, il 5 marzo, ha festeggiato il suo 87° compleanno. Il testo che segue (qui in una nostra traduzione) è stato scritto per il settimanale tedesco Konradsblatt; si tratta di una riflessione sul brano di Gv 20,19-31, quello in cui il Risorto si fa presente nel luogo dove si trovavano i discepoli nonostante fossero state sbarrate le porte; la parola su questa pericope evangelica è stata appositamente richiesta al cardinale in questi tempi straordinari, in cui non è possibile la celebrazione domenicale comunitaria.
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Quest’anno abbiamo vissuto una Pasqua diversa da come eravamo soliti fare. Negli ultimi mesi e anni della Seconda guerra mondiale, della quale conservo vividi ricordi, nonostante molte chiese fossero andate distrutte, quelle che ancora erano agibili restavano aperte. In quei luoghi abbiamo potuto riunirci, celebrare la messa e, persino nelle drammatiche fasi finali del conflitto, siamo rimasti fermi nella convinzione che la Pasqua è la vittoria della vita sulla morte; seppur tra le rovine, abbiamo potuto cantare insieme l’alleluia pasquale e da esso trarre nuovo coraggio e speranza.
Oggi le chiese non sono ridotte a delle macerie, tuttavia sono completamente vuote. E così si è aperto in noi un vuoto interiore. Qualcosa che per noi era naturale e importante è venuto a mancare. Per far fronte a questa situazione difficile e senza precedenti, dobbiamo fare un passo ulteriore rispetto alle esperienze della mia prima giovinezza, riandando alla prima Pasqua, quella ricordata dal Vangelo di Giovanni al cap. 20. I discepoli di allora, nella prima Pasqua, non hanno certo vissuto le nostre stesse esperienze odierne, ma qualcosa di molto simile: un enorme vuoto. Il primo giorno della settimana, ossia il giorno di Pasqua, i primi discepoli erano a terra; le loro speranze erano state disattese, tutto appariva molto diverso da prima. Avevano paura e non sapevano che fare. Lo stesso è successo a noi in questa Pasqua. Molti dei nostri piani sono finiti nel nulla e abbiamo dovuto apprendere che, nonostante i progressi della tecnologia e della medicina, non teniamo la vita in pugno. Tutto ciò ci ha spaventati, ci siamo chiesti cosa sarebbe accaduto nelle nostre vite, a livello personale, professionale ed economico. Cerchiamo di essere onesti e realistici: non sappiamo e nessuno può dirci cosa accadrà; l’unica certezza è che non si potrà più fare esattamente come si faceva prima.
Gesù viene attraverso le porte chiuse
Anche allora, Gesù non stette con i discepoli nella stessa maniera in cui avveniva prima, quando attraversavano insieme le strade della Palestina. Ora tutto è diverso. Gesù viene attraverso delle porte chiuse, inaspettato, e sta tra di loro in un modo del tutto nuovo. I discepoli spaventati faticano a riconoscerlo. Poi sentono delle parole che conoscono: Non abbiate paura! «Pace a voi!». Conoscono queste parole, che spesso compaiono nelle sacre Scritture dell’antica alleanza. Dio è già stato presente in situazioni difficili e apparentemente senza speranza, e ora è presente in un modo nuovo, in Gesù Cristo risorto dalla morte. Potremmo anche noi comportarci come Tommaso, che ingiustamente viene presentato come un incredulo. Tommaso ha reagito come siamo soliti fare noi uomini e donne moderni: se non lo posso vedere, se non lo posso toccare, allora non ci credo. Gesù gli va incontro. Non lo fa con gesti plateali o dando spettacolo, per così dire, con squilli di tromba e rulli di tamburo come un radioso vincitore che ha sconfitto la morte. Né lo fa da giudice che viene a punire e trucidare quanti, nella loro testardaggine e accecati dall’odio, l’hanno condannato alla croce, o che viene a condannare i discepoli che si sono dati alla fuga o chi come Pietro l’ha rinnegato.
No, Gesù dimostra di essere presente, sebbene in modo molto diverso rispetto a prima, in una maniera completamente diversa, delicata e discreta. Mostra le sue ferite e lascia che Tommaso le tocchi. Queste ferite trasfigurate sono il suo miracolo e la sua rivelazione pasquale. Facendo così, Gesù afferma: Dio non è stato per voi e in mezzo a voi per modo di dire; la sua vita sulla terra non è passata senza lasciare traccia; non solo ha condiviso i vostri sentimenti, ma ha realmente sofferto e si è lasciato ferire. Ha preso su di sé le nostre colpe. «Per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Is 53,4-5; Mt 8,17; 1 Pt 2,24). È il Dio compassionevole che in Gesù Cristo soffre con noi, non il Dio indifferente e immobile che sta al di sopra di ogni sofferenza, beandosi di sé. È il Dio con noi e per noi. In Gesù si è reso vulnerabile; si è lasciato conoscere e colpire. Proprio perché si è lasciato caricare e opprimere da tutto quel che grava su di noi, possiamo dire con Tommaso: «Mio Signore e mio Dio». È un Dio compassionevole e tenero che mostra le proprie ferite e le lascia toccare.
Egli soffre con i sofferenti e i morenti
Le nostre ferite, che Gesù ha condiviso con noi, sono rimaste impresse su di lui, dopo la risurrezione, nel suo corpo trasfigurato. Oggi è addolorato e soffre di nuovo con noi in questa situazione critica. Patisce con i sofferenti e i morenti, con gli anziani soli e i malati. È il buon Samaritano che, pieno di compassione, versa olio sulle nostre ferite, le fascia e ci carica sulla sua cavalcatura, portandoci nell’albergo della salvezza (Lc 10,34-35). È il buon pastore che si carica sulle spalle la pecorella smarrita e la riporta al gregge dal quale era fuggita (Lc 15,5). Ed è con coloro che aiutano e si lasciano ferire – o che quantomeno rischiano di ammalarsi: gli infermieri, i dottori e anche i sacerdoti che dedicano la propria vita al servizio di altre persone. Noi, come i discepoli, possiamo riconoscerlo e toccarlo nelle sofferenze altrui. Tutto quello che avremo fatto agli altri, l’avremo fatto a lui (Mt 25,40).
In questa modalità discreta, anche in questa Pasqua Gesù era ed è con noi e per noi quale Signore risorto e trasfigurato, per portarci fuori dalla crisi attuale e per condurci dall’esperienza di una mancanza verso una nuova vita, probabilmente un po’ diversa e più matura, e infine alla vita eterna insieme con lui – quella esistenza rinnovata che, come stabilito nel sacramento pasquale del battesimo, un giorno ci verrà donata definitivamente.
Dopo aver toccato le sue ferite in questa Pasqua e dopo che egli ha toccato le nostre, noi, come i primi discepoli, potremo incontrare di nuovo il Risorto nei segni sacramentali visibili e tangibili, potremo ritrovarlo nel pasto eucaristico pasquale, come hanno fatto i cristiani delle origini e nei secoli passati. Anche questo sarà diverso. Dopo aver sperimentato così dolorosamente la mancanza e il vuoto quest’anno, guariti dal tocco delle sue ferite saremo capaci in futuro di celebrare la sua presenza e la sua vittoria sulla morte nel sacramento pasquale dell’eucaristia in un modo più consapevole, grato e gioioso.
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