20/07/2017
374. UNA PASTORALE INCLUSIVA Come recepire la lezione di papa Francesco di Marco Vergottini
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Pubblichiamo di seguito l’ottimo approfondimento di Marco Vergottini sul Liber pastoralis di mons. Franco Giulio Brambilla, già apparso su Il Regno – Attualità 10/2017.

 


Il Liber pastoralis del vescovo di Novara, Franco Giulio Brambilla, non è un racconto sulla cura animarum dei pastori, quanto piuttosto una riflessione che mira a raccogliere la sfida attuale di «edificare la testimonianza dei cristiani e la Chiesa come testimonianza». In altre parole il libro costituisce una sorta di meditazione sapienziale – di taglio pastorale – sui momenti essenziali per la vita delle persone e della missione della comunità cristiana, affinché divengano luogo del Vangelo accolto e trasmesso al mondo.

La scommessa dell’autore è di sconfiggere l’accidia pastorale che s’insinua nelle comunità ecclesiali e mina come un malessere oscuro la rappresentazione del cristianesimo nell’odierno scenario pubblico. I venti agili capitoli, attraverso cui si dipana il testo, fissano un’agenda per il cammino della Chiesa perché esca dal chiuso delle sue false sicurezze e si slanci nel mare aperto della testimonianza. Con l’obiettivo dichiarato di ritornare all’essenziale e alla trasparenza della gioia del Vangelo.


Dai padri a Bonhoeffer, al Vaticano II

A dispetto di quanto si potrebbe pensare, il filone intitolato Liber pastoralis non può contare affatto su una tradizione consolidata. Andando a ritroso nel tempo, sul finire degli anni Settanta l’assemblea della CEI – nel quadro del programma decennale Evangelizzazione e sacramenti – aveva coltivato l’idea di redigere un direttorio dal titolo Liber pastoralis, pensato come un agile strumento per valutare la recezione delle priorità fissate dal Vaticano II, come pure per favorire un confronto e un’ispirazione in ordine all’impostazione dei programmi di formazione, azione e revisione pastorale nelle diocesi italiane.

Il progetto, promosso da mons. Gaetano Bonicelli, coadiuvato da un gruppo di vescovi fra i quali spiccavano i nomi di Carlo Manziana e Santo Quadri, pervenne alla redazione di una traccia articolata in quattro capitoli (catechesi, sacramenti, testimonianza, carità), ma poi la proposta venne a cadere (cf. la cronaca di A. Marranzini, «Orientamenti pastorali per la Chiesa italiana. XV Assemblea generale della CEI», in La Civiltà Cattolica 129(1978), 3072, 578-587).

Un’ulteriore eco del titolo può essere ritrovata in una ponderosa pubblicazione del cardinale Giacomo Biffi, Liber pastoralis bononiensis. Omaggio al card. Giovanni Colombo nel centenario della sua nascita (EDB, Bologna 2002, 872 pp.), che raccoglie i suoi dodici testi più importanti e assai controversi, prodotti in diciassette anni di episcopato.

Un altro antecedente – sotto il profilo del contenuto e non già del titolo – è costituito da un agile volumetto del teologo luterano Dietrich Bonhoeffer che, nell’estate del 1935, in un momento cruciale per la costituzione della Chiesa confessante che tenne viva la resistenza al nazismo, diede vita a un corso di teologia pratica nel quadro del seminario clandestino a Finkenwalde. L’intento della trattazione, certamente innovativa per la prospettiva luterana, fu di collegare l’esegesi del Nuovo Testamento alla teologia pastorale e alla cura d’anime, discipline fra loro tradizionalmente separate. Le lezioni di cura d’anime di Bonhoeffer, che si dispiegano su dodici luoghi dell’esperienza del pastore, sono state trascritte e raccolte dai partecipanti dopo la morte tragica del teologo nel campo di concentramento di Flossenbürg (9 aprile 1945), inizialmente intitolate Morgen (mattino), successivamente Seelsorge (cura d’anime), per poi apparire in edizione italiana in Una pastorale evangelica (Claudiana, Torino 1990).

Bisogna poi risalire di oltre un millennio per imbattersi nello scritto memorabile di Gregorio Magno all’inizio del suo pontificato (590-604), il celebre Liber regulae pastoralis, uno dei capolavori patristici più letti e meditati nella storia della Chiesa. Il pregio dell’opera non risiede nella bellezza o nella raffinatezza dello stile, quanto nell’efficacia e utilità dell’insegnamento: san Gregorio si proponeva con quello scritto di fornire i tratti ideali del pastore di anime, indugiando nel fornire preziosi consigli sulla spiritualità e la prassi che il «buon pastore» deve adottare nei confronti del gregge che deve pascere.


Contro l’«accidia pastorale»

A modo di aperitivo, Brambilla all’inizio prende per mano il lettore, svelando l’implicito che il titolo latino porta con sé, ma insieme fornendo le chiavi per un esercizio di riflessione edificante che abbia una ricaduta sulla coscienza credente e la prassi ecclesiale. Meritano di essere richiamate le domande incalzanti: Che cos’è? Perché? Per chi un liber pastoralis?

Parimenti non devono sfuggire i riferimenti a uno dei maggiori interventi dell’attuale pontefice (Discorso ai rappresentanti del V Convegno nazionale della Chiesa italiana, Firenze, 10.11.2015), all’allocuzione programmatica giovannea Gaudet mater Ecclesia che raccomandava ai padri conciliari uno sguardo «pastorale» sulla realtà della Chiesa nel mondo contemporaneo, alla malattia esistenziale che spesso affligge i credenti d’oggi – l’accidia pastorale (Evagrio Pontico, Gabriel Bunge, Walter Kasper), alla lezione di «stile ecclesiale» ricevuta dall’amico e venerato maestro Carlo Maria Martini.

Confessa poi di avere coltivato nei suoi anni di ministero sacerdotale il desiderio di una «ribattitura cattolica» del volumetto già ricordato di Bonhoeffer, il quale, per altro, già era stato rimproverato dai suoi confratelli di aver assunto in quelle lezioni seminaristiche posizioni eccessivamente cattolicheggianti. Il percorso del Liber pastoralis di Brambilla si snoda lungo 20 agili capitoli, partendo dall’odierna cura animarum al rito delle esequie e passando in rassegna forme e processi, logica e stile, attori e luoghi della pratica ecclesiale, in modo da immaginare un volto di Chiesa-comunione che non livelli le diverse vocazioni e ministerialità ecclesiali, bensì assicuri a tutti la sua presenza nella pluralità dei doni personali ricevuti dallo Spirito per l’edificazione della Chiesa, in un’ottica di condivisione sinodale nella logica e nelle dinamiche dell’unica missione.

L’immagine della tessitura, che mutuiamo dall’ecclesiologia di padre Congar, non è priva di una sua virtualità, qualora i fili dell’ordito (ministero apostolico) e della trama (testimonianza dei cristiani) restituiscano i due modi in cui la grazia del Cristo perviene ai credenti in vista dell’edificazione della Chiesa: da una parte, c’è la figura del pastore che in rapporto alla comunità diviene guida della stessa, secondo l’adagio gregoriano, per cui «la cura animarum è la suprema tra le arti»; dall’altra, attraverso la libertà dell’agire di tutti i credenti che indistintamente devono tutti concorrere insieme al dinamismo sempre più urgente della testimonianza ecclesiale.

In questa logica, la prima parte del testo dopo aver messo a fuoco il discorso sulle forme e gli attori della testimonianza (al riguardo, assolutamente originali risultano le pagine 46-51 dove del dinamismo testimoniale vengono tratteggiati cinque aspetti caratteristici: sacramentale, spirituale, morale, critico, dialogale), sceglie di sostare sull’icona di Emmaus – un racconto che, a detta di Claude Geffré, quand’anche fossero andate perdute tutte le restanti parti dei quattro Vangeli canonici, avrebbe consentito al cristianesimo di trasmettere il messaggio di Gesù crocifisso e risorto nei secoli a venire, fino al suo ritorno parusiaco. Il testo di Lc 24, 13-35 mostra, infatti, che Parola e sacramento costituiscono i due pilastri dell’azione pastorale su cui è ritornata con insistenza la stessa Chiesa italiana nella stagione postconciliare, onde realizzare il programma di evangelizzazione, sacramenti e carità.


Al cuore dell’umano

L’ultima sezione del libro trova la sua cifra topica in quella «attenzione all’umano» – che sarebbe troppo riduttivo contrassegnare tecnicisticamente come «questione antropologica» – poiché si tratta di un «fondamentale» della fede ecclesiale. In altri termini, si tratta d’innestare sullo schema ternario annunciare, celebrare, servire una dimensione intrinseca alla testimonianza credente, da intendersi non anzitutto come una modalità di generico impegno verso il prossimo, ma prima ancora come forma di un «esercizio del cristianesimo», con l’intento di entrare negli spazi della vita umana (i legami affettivi, la generazione, l’educare, la professione, la malattia e la morte) per poi trasformarli e trasfigurarli, e così farli diventare attraenti per tutti gli uomini.

La Chiesa e il credente abitano questi mondi, ne assumono i linguaggi e le forme della vita, per purificarli e dischiuderli per dire il Vangelo della speranza negli ampi spazi e negli interstizi della vita odierna. Il credente non tratta l’esperienza del mondo semplicemente come il teatro del proprio agire, ma sa che può essere lievito e luce solo entrando in gioco con la libertà degli altri, delle donne e degli uomini di oggi, per poter annunciare la Parola che dà la salvezza nei diversi luoghi dell’esistenza umana.

In altre parole, ci è chiesto di coltivare e far crescere la speranza trascendente e tentare d’anticiparla nelle esperienze di prossimità, vicinanza, passione educativa, carità, cura dell’uomo, servizio al povero. Questa dovrebbe essere l’icona vivente della lezione dell’ultimo Concilio: per i cristiani «nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore» (Gaudium et spes, n. 1; EV 1/1319). Più che alla cosiddetta «questione antropologica», il credente d’oggi dev’essere attento alla vita delle persone, ai processi educativi, all’educazione religiosa, alla vita fraterna, al servizio sociale, alla passione civile e all’impegno politico.

Una tale opera – ammonisce Brambilla – esige un’attitudine alla vigilanza critica sulle forme con cui viviamo la vita umana alla luce del Vangelo, con un’attenzione che si declina anche in ordine alle tradizionali pratiche della pastorale ordinaria (la benedizione alle famiglie, la visita agli ammalati, la celebrazione del funerale ecc.), nella consapevolezza che non si tratta di pensare alla testimonianza anzitutto come un impegno, bensì alla presa in consegna in un’ottica di discernimento spirituale della vita ordinaria stessa, così da saper sperimentare il carattere cristiano, dunque autenticamente umano, dell’esistenza nell’ottica del Vangelo di Gesù.


Non note ma fonti

Agli addetti ai lavori non può non sorprendere la scelta dell’autore di aver programmaticamente optato per non dotare il testo di un apparato bibliografico come era logico aspettarsi da un teologo di professione. Una tale opzione metodologica non è soltanto funzionale all’intenzione di destinare la pubblicazione non soltanto alla ristretta cerchia degli specialisti di teologia pratica, bensì alla vasta cerchia degli operatori pastorali (in primis i confratelli vescovi e i presbiteri alla guida delle comunità sul territorio), ma obbedisce ancor più alla logica di un disegno che punta all’essenziale, così da mettere a fuoco il punto di partenza, le tappe intermedie e l’approdo finale dell’itinerario proposto.

Le scarne note fanno risaltare ancor più i giganti a cui l’autore ha inteso richiamarsi: Gregorio Magno, Tommaso d’Aquino, Dietrich Bonhoeffer, Romano Guardini, Joseph Ratzinger, Carlo Maria Martini.

Un’ultima segnalazione merita l’artificio letterario di fare ricorso alla figura dell’inclusione, in quanto il rimando fatto a papa Francesco in apertura e conclusione del testo non suona affatto casuale. Dopo aver ricordato in apertura l’avvertenza di papa Bergoglio che oggi ci troviamo non «solo in un’epoca di cambiamento, ma in un cambiamento d’epoca (Francesco, Discorso ai rappresentanti del V Convegno nazionale della Chiesa italiana, 10.11.2005; Regno-att. 10,2015,694), le ultime pagine sono contraddistinte dalla cifra Evangelii gaudium.

Per rimediare alla malattia mortale dell’accidia pastorale, occorre quel supplemento di responsabilità che nasce dalla coscienza di poter confidare che è lo Spirito del Signore che guida ancora la sua Chiesa. Anzi, secondo la famosa espressione degli Atti degli apostoli: «Lo Spirito santo e noi…» (15,28).

 

 


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