10/03/2023
530. UN PASTORE PER IL POPOLO di R. Zachary Karanovich
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Ricorrono in questi giorni i dieci anni dall’elezione di Jorge Bergoglio al soglio di Pietro. Molto è stato detto e molto, con l’occasione, si dirà riguardo alla figura di papa Francesco, alle priorità della sua agenda di lavoro (quella realizzata e quella ancora in cantiere), al suo stile di governo, al suo metodo pastorale, alla sua capacità comunicativa. Lo si farà, lecitamente, in chiave di primo provvisorio bilancio del suo ministero come vescovo di Roma. Queriniana sceglie di fare memoria di quei giorni di metà marzo del 2013 affidandosi a una presentazione del libro in cui il confratello gesuita Juan Carlos Scannone illustra una delle fonti principali della teologia di Francesco: La teologia del popolo. Perché lì la prospettiva teologico-pastorale di papa Francesco emerge secondo un profilo qualificato e a partire da lì l’orientamento del pontificato risulta meglio comprensibile. Il saggio di Scannone ha, fra i suoi pregi, quello di richiamare eventi e figure importanti del mondo ecclesiale, sociale e culturale che hanno contribuito alla storia della società e della Chiesa argentina: proprio lì Bergoglio si è formato e proprio con quegli strumenti concettuali ha elaborato la sua peculiare postura come pastore della cattolicità.

 

 

 

 

Ne La teologia del popolo. Radici teologiche di papa Francesco, Juan Carlos Scannone, gesuita argentino scomparso nel 2019 e tra i maestri di Jorge Bergoglio, offre un’illuminante indagine della teologia del popolo attraverso l’analisi di eventi e documenti fondamentali, letti secondo la propria chiave interpretativa. Il testo di Scannone ci conduce in un viaggio attraverso la teologia del popolo, dalle sue radici storiche alle sue manifestazioni attuali nel papato di Francesco.

 

Il libro è diviso in tre parti. Nella prima, intitolata «Approccio storico», Scannone innanzitutto indica alcuni termini e compiti essenziali della teologia del popolo. Nata al tempo del concilio Vaticano II, l’attenzione per il “popolo” è emersa in primo piano come risultato di una valutazione dei bisogni delle popolazioni latinoamericane. Il termine doveva essere inteso in modo polivalente e complesso, collegato soprattutto all’ambito culturale, cioè allo «stile di vita comune di un popolo» (p. 15). Come si affermava – e si continua ad affermare – per la più ampia interpretazione della teologia latinoamericana di quel periodo, «i poveri […] sono coloro che lasciano trasparire meglio e più autenticamente ciò che è comune di un popolo», in contrapposizione all’“antipopolo”, che “tradisce” i suoi simili mettendo in pratica ingiustizie strutturali (pp. 15s.). L’opzione preferenziale per i poveri è, quindi, la lente attraverso la quale il popolo viene definito e dovrebbe identificare se stesso. Ciò porta necessariamente a evidenziare il valore della religiosità popolare come evangelizzazione della cultura e sarà poi un fattore chiave per il concetto di “teologia inculturata” (p. 19). Essenziale per la teologia del popolo è anche una comprensione allargata dell’“evangelizzazione”, che includa la liberazione. Scannone lo riassume così: la teologia dovrebbe interessarsi a «propiziare un’evangelizzazione liberatrice che articoli entrambi (parola e sacramento) senza separarli, […] legando le dimensioni (divina e umana) dell’incarnazione e, di conseguenza, della missione della Chiesa» (p. 38).

 

Nella seconda parte, «Verso una teologia inculturata», Scannone elenca alcuni spunti di riflessione a proposito dell’«inculturazione della stessa teologia», espressione con cui gli intende la collocazione inestricabile della teologia nella cultura. Per lui, questa inculturazione è una verità, non solo per la Chiesa argentina o latinoamericana, bensì per tutta la Chiesa. Al centro stanno tre convinzioni, che formano il cuore metodologico della teologia del popolo: «opzione per i poveri come categoria teologica; pietà popolare come locus theologicus; interrelazione tra loro e con l’inculturazione della teologia» (p. 46). Scannone prosegue, in questa sezione, approfondendo i concetti introdotti nella prima parte e fondandoli su esempi storici presi dal contesto argentino. Questi esempi concreti aiutano a evitare quella che, a volte, può sembrare una ripetizione inutile di spiegazioni già date, e offrono inoltre degli importanti approfondimenti dei fattori contestuali che hanno favorito la nascita e lo sviluppo della teologia del popolo. Un esempio interessante è per esempio quello costituito dalla discussione attorno alla festa argentina del Tinkunaco (pp. 83-87). Tra le altre cose, l’analisi del Tinkunaco offre l’opportunità di vedere la duplice via con cui la teologia del popolo interpreta la pietà e la religiosità popolare: esse sono atti ispirati dalla Parola e anche espressioni della Parola, cioè espressioni inculturate della fede appresa oppure qualcosa che va appreso dalla fede.

 

Infine, nella terza parte, «Approcci teologici-pastorali di papa Francesco», Scannone traccia una linea dal cambio di paradigma teologico della metà del XX secolo, dovuto al Vaticano II, fino all’attuale magistero di Francesco – un magistero che non può essere compreso, secondo Scannone, disgiunto dalla teologia del popolo. In questa parte conclusiva del testo emergono due elementi fondamentali. Primo, che la teologia del popolo aiuta a distinguere il pensiero di Francesco dalla teologia della liberazione. Sebbene la teologia del popolo partecipi all’impresa comune per la liberazione degli oppressi, l’attenzione non si concentra sull’utilizzo (o sul semplice uso) della critica economica, ma piuttosto sulla più ampia critica «individuale, sociale, culturale, politica, economica, internazionale e persino religiosa», necessaria per affrontare la «mondanità spirituale» che sta contaminando le realtà socioculturali contemporanee (p. 146).

Secondo, la soluzione proposta da Francesco sia in Evangelii gaudium (che Scannone apprezza maggiormente) sia in Laudato si’ passa attraverso quattro criteri o princìpi: 1) il tempo è superiore allo spazio, criterio che preferisce «l’orizzonte» di tempo che costantemente «ci si apre» davanti e ci conduce a un futuro migliore, in contrasto con gli spazi definiti dal potere e dalla giurisdizione, che restringono ed escludono; 2) l’unità prevale sul conflitto, criterio che privilegia un’unità nell’«amicizia sociale», che non ignora le alterità, bensì le rispetta in una «comunione nelle differenze»; 3) la realtà è più importante dell’idea, criterio che si sforza di evitare la tentazione delle ideologie dominanti; 4) il tutto è superiore alla parte (e alla mera somma delle parti), criterio che desidera operare per un bene comune sempre più grande, in un modo che non si annulli l’esistenza degli individui all’interno della collettività globale (pp. 193-201).

Profondamente radicati nella teologia del popolo, questi criteri compongono il “poliedro”, usato per «giudicare e discernere circa la situazione di un popolo (o del popolo di Dio), in funzione della sua costruzione e della sua guida nella pace, nella giustizia e nella fraternità» (p. 204). Essi servono a definire un percorso verso una situazione socioculturale più sana e ad edificare dei popoli buoni.

 

La teologia del popolo è un’opera ricca, che presuppone talvolta un lettore provvisto di solide conoscenze teologiche. […] A prescindere da ciò, tuttavia, i lettori che giungeranno alla conclusione del testo ne saranno profondamente arricchiti e saranno in possesso di un quadro di riferimento per comprendere meglio l’agenda di papa Francesco. Così scrive infatti Peter Casarella nell’Introduzione all’edizione in lingua inglese: «I lettori del mondo anglofono dovranno scoprire la propria sintesi e il proprio percorso verso una teologia per un popolo, la cui identità come tale è stata forgiata “al fine di perfezionare la nostra Unione, garantire la giustizia, assicurare la tranquillità domestica, provvedere alla difesa comune, promuovere il benessere generale e assicurare a noi stessi e ai nostri posteri il bene della libertà” (Costituzione degli Stati Uniti)». Considerata la nostra situazione attuale, questo compito non è mai stato tanto importante.



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