Ricorre quest’anno (il 31 dicembre 2021) il venticinquesimo della morte di don Luigi Della Torre, maestro indiscusso della pastorale liturgica in Italia nei primi trent’anni del postconcilio e collaboratore fedele della nostra Rivista di pastorale liturgica sin dal primo numero. Abbiamo chiesto a Pier Giordano Cabra, suo grande amico, di aiutarci a rievocare qualche tratto della personalità di “don Gino” e del suo contributo alla pastorale liturgica. Proponiamo di seguito, per i lettori e le lettrici del blog, l’intervista pubblicata nel fascicolo 6/2021 di Rivista di pastorale liturgica.
D. Come è iniziata la vostra collaborazione?
R. Bisticciando! Una sera, su un autobus, a Roma – eravamo agli inizi degli anni Sessanta, dopo una riunione (non ricordo quale) – ci siamo messi a discutere per via di una diversa valutazione nei riguardi di un sussidio liturgico. Dopo pochi minuti, mi resi conto di avere a che fare con una personalità eccezionale… Iniziò un sodalizio. Diventammo anzi amici, tanto da riservarci alcuni giorni di vacanze annuali, assieme, dove ci scambiavamo idee sulla situazione del popolo di Dio e conseguenti progetti editoriali, dando inizio ad una stretta collaborazione mai interrotta. Io allora ero un giovane responsabile della Editrice Queriniana, convinto che la liturgia avesse molto da dire. In don Gino avevo trovato l’uomo giusto che sapeva calarla nella realtà, anche in vista della progettata Rivista di pastorale liturgica, della quale sarà uno dei collaboratori più apprezzati e uno degli ispiratori più illuminati.
D. Che “tipo” era don Gino?
R. Era un intellettuale con i piedi per terra, un prete che credeva nella liturgia come lo scrigno delle cose sante da trasmettere al popolo santo di Dio, un cristiano che voleva annunciare il vangelo nella sua semplicità e attualità, un uomo mite e signorile, che si prestava ai servizi più umili, un amico dei poveri non solo a parole.
Aveva lasciato gli studi di ingegneria per entrare in Seminario dove, tra l’altro, si era appassionato della liturgia, avendo come punto di riferimento la rivista francese La Maison-Dieu, che lo metteva a contatto con il vivace movimento liturgico d’oltralpe. Non si considerava tuttavia un liturgista, ma un pastore che doveva far parlare il mistero pasquale, celebrato dalla chiesa, anche all’uomo d’oggi. Per questo estese i suoi interessi anche alle scienze umane e sociali, preparandosi ad essere in grado di mediare tra i diversi approcci alla liturgia e tra liturgia e “mondo moderno”.
D. Poi venne il Concilio.
R. Don Gino aveva quarant’anni ed era prete da una quindicina di anni. Era parroco alla Natività a Roma ed era noto per i suoi esperimenti in campo liturgico, per il gruppo di giovani che formava alla lectio della parola di Dio e per i suoi primi scritti.
Qui dovette subire la contestazione di un gruppo di duri “tradizionalisti” che lo amareggiavano, ma che non riuscirono a farlo deflettere dalla sua opzione preferenziale per i poveri e dalla sua ferma adesione alle direttive del Vaticano II. La pressione dei contestatori fu tale che dovette rinunciare alla parrocchia, non senza dispiacere, ma senza ira o proteste da parte sua. Era libero e pronto per dedicare le sue energie allo studio e alla promozione di una pastorale che avesse la rinnovata liturgia come culmen et fons.
D. In che senso don Luigi Della Torre può essere considerato un “maestro” della pastorale liturgica, in un contesto ricco di fermenti come quello del postconcilio?
R. L’Italia non era priva di persone preparate nei vari ambiti del settore liturgico: basterà ricordare, per l’ambito teologico, i benedettini Cipriano Vagaggini e Salvatore Marsili; per l’ambito della spiritualità, Divo Barsotti e Pelagio Visentin; per la pastorale, un buon gruppo di parroci, tra i quali ricordo con venerazione padre Giulio Bevilacqua, poi cardinale (il quale soleva dire che il movimento liturgico “senza cultura” non aveva molto futuro). Per un rinnovato approccio storico-teologico, si devono ricordare le giovani forze che si erano formate in Francia, come il francescano Rinaldo Falsini e numerosi parroci, assieme ad altri esponenti di gruppi liturgici, fra i quali emergevano quelli ambrosiani e genovesi.
Ma erano rari coloro che cogliessero la complessità delle implicazioni poste da una riforma tanto vasta e delicata come quella della liturgia. Don Gino ha saputo fare questa sintesi, spiegando al clero i nuovi riti, che esigevano un cambiamento nel modo di pensare, dato il nuovo contesto culturale. E, nello stesso tempo, offrendo ai laici validi sussidi e solide motivazioni per comprendere, anche nei mutamenti, la perennità del mistero cristiano.
D. E questo in una società scossa dalla contestazione, da una accesa conflittualità, dal confronto tra l’esigenza di profonde riforme e la difesa di valori della tradizione.
R. Si era nel pieno del conflitto delle interpretazioni del concilio. Sotto questo aspetto don Gino fu un unicum, un armonizzatore interdisciplinare di approcci solitamente isolati, un pedagogo della difficile arte pastorale. Era anche il tempo del dibattito sul compromesso storico e delle brigate rosse, dei referendum sul divorzio e sull’aborto, dell’improvviso riemergere del primato dell’individuale sul collettivo e sul comunitario. Nei suoi scritti don Gino teneva presenti questi cambiamenti, che incidevano non poco sulla ricezione della riforma liturgica, con uno sguardo aperto al futuro, pieno di speranza, ma senza fughe in avanti, senza perdere nessuna delle ricchezze offerte dalla liturgia, quale vera didascalia ecclesiae.
In questo contesto nacquero diverse iniziative, quali la rivista Servizio della Parola», la collana «Culmen et fons» (dove appariranno i suoi best sellers sulla Quaresima e sulla nuova Messa) e una serie di sussidi, assai graditi per le diverse celebrazioni.
D. Ma don Gino era anche un maestro spirituale, un uditore attento della Parola e uno scrutatore appassionato delle ricchezze spirituali della liturgia.
R. L’introduzione all’ultimo suo scritto, Oltre questa vita, è una finestra sul suo mondo interiore, tutto orientato all’incontro con il Signore nei santi segni della chiesa e in quello con «sorella nostra morte corporale».
In uno degli ultimi colloqui che ebbi con lui, mi confidava: «Desidero tanto incontrare il Signore», con un sorriso dolce e paziente, con gli occhi lucidi e ridenti. La liturgia come educazione all’incontro con il Signore, partecipando al suo mistero pasquale, nella vita di ogni giorno, in attesa di “quel giorno”: ecco il mondo spirituale di don Gino.
«Il pensiero della conclusione della mia vita, nella luce della Pasqua, mi aiuta a sopportare le inevitabili pesantezze e a viverle con gioia grata». Un maestro e testimone della fecondità del mistero pasquale, celebrato nella fede, vissuto nella carità, atteso nella speranza nel suo fulgore definitivo.
D. C’è ancora qualche tratto della vita di don Luigi che vuole raccontarci?
R. Don Gino aveva notevoli capacità organizzative, con l’intuito di “che cosa fare” e sul “come fare”, con il piglio di un manager. Capacità messe al servizio della Parola da accogliere, da celebrare e da proclamare, con una eccezionale adesione al concreto, quello della vita e quello del mistero. Il che lo rendeva affidabile e autorevole.
Era stato anche professore di pastorale liturgica al Pontificio Ateneo S. Anselmo a Roma, dove onorò questa disciplina, seguito con stima e affetto da alunni provenienti da ogni parte del mondo.
Un aspetto poco conosciuto, ma non secondario della sua personalità: don Gino dava ai poveri quello che non gli era strettamente necessario per vivere. Sono ancora molti che lo ricordano con riconoscenza per la sua illuminata magnanimità.
E infine… non si diede delle arie nel successo, né si rattristò quando dovette mettersi da parte. Si rabbuiava quando assisteva a celebrazioni-show e quando vedeva che si parlava di poveri, ma non da poveri. Vedeva con soddisfazione che la riflessione sulla liturgia andava avanti e in profondità e ne gioiva, senza gelosie e senza “sì, ma…”, come un vero maestro che vede il discepolo prendere altra direzione. Perché l’importante è che la buona causa continui il suo percorso.
Con l’amicizia di cui mi ha fatto dono, mi sentirei di dirgli: «Don Gino, sei sempre stato avanti!».
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