19/11/2003
24. Tra azione e interpretazione Il punto sulla teologia politica di Rosino Gibellini
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In occasione del 75° anniversario del teologo Johann Baptist Metz, classe 1928, che è da ritenere il fondatore della “nuova teologia politica” negli Anni Sessanta, si è tenuto recentemente ad Ahaus, presso Münster, dove Metz ha tenuto la cattedra di teologia fondamentale, un Podium di discussione sulla teologia politica, al quale ha partecipato un gruppo consistente di teologi della nuova generazione, che si collocano su questa linea teologica.

La teologia politica, anzi la nuova teologia politica, per differenziarla dalla religione civile, che esplica invece una funzione di legittimazione religiosa di un ordine politico, pone il problema del rapporto tra teologia e prassi: la fede dei cristiani deve farsi \prassi nella storia e nella società". Essa ha assunto, nella sua elaborazione, la problematica dell’Illuminismo, l’esperienza della catastrofe di Auschwitz, e ha preso atto della vasta realtà delle teologie del Terzo Mondo. Si tratta di una teologia cristiana, svolta con coscienza politica; di un pensare teologico, che va oltre, come ha scritto Metz in un saggio pubblicato in un’opera in collaborazione dal titolo Cammino e visione (Queriniana 1996) «una cifratura ecclesiologica del messaggio liberante di Dio e una comprensione ecclesiocentrica della chiesa».

La teologia politica di Metz, discepolo affezionato di Karl Rahner, ha introdotto alcune decisive categorie nell’animato discorso teologico della seconda metà del XX secolo, quali: memoria, narrazione, solidarietà mistico-politica, e, ultimamente, come si può vedere nell’ispirato saggio conclusivo dell’opera in collaborazione Prospettive teologiche per il XXI secolo (Queriniana 2003), la categoria di compassione: «Che cosa succederebbe se i cristiani, nei loro distinti mondi di vita, osassero questo esperimento della compassione, non importa se in forma modesta, purché sempre nuova, indefessa, e così alla fine si pervenisse a una ecumene della compassione tra tutti i cristiani: che cosa succederebbe? non sarebbe questa una nuova luce proiettata sulla nostra terra, su questo mondo globalizzato e tuttavia così dolorosamente lacerato?».

La categoria di compassione non è interpretabile nel senso buddhista: il teologo politico, infatti, ha notato più volte nei suoi scritti, che il Buddha tiene “gli occhi chiusi”, mentre il cristiano, orientato alla prassi, tiene “gli occhi aperti” sulla storia del mondo: «E io concepisco questa compassione come sofferenza-con, come partecipe percezione del dolore altrui, come pensiero attivo della sofferenza degli altri, come tentativo di vedersi e valutarsi con gli occhi degli altri, degli altri sofferenti. In quanto tale, questa compassione è ai miei occhi la dote, tipicamente biblica, per l’Europa, così come la curiosità teoretica è la dote tipicamente greca, e l’idea di diritto la dote tipicamente romana per l’Europa nelle nostre situazioni globalizzate».

Oggi la teologia politica non ha più la presenza incisiva dei decenni passati, ma ha ancora una sua discreta presenza e funzione. In particolare essa deve reggere l’urto di una Wellness-Theology, una teologia orientata alla psicologia, non correlata con la dimensione politica della fede.

In un saggio recente apparso sulla già citata opera Prospettive teologiche per il XXI secolo, Edmund Arens dell’Università di Lucerna ha notato che la teologia politica deve riposizionarsi nelle mutate circostanze, come teologia pubblica, con riferimento alla chiesa, all’accademia e alla società; come teologia critica, sia di strutture e pratiche ecclesiali non corrispondenti al messaggio cristiano di liberazione, sia di una scienza espressione di una ragione assolutista, sia della società della modernizzazione e della globalizzazione escludente; e come teologia comunicativa del vangelo e della sua forza liberante.

Durante il Podium è emersa una posizione mobile, nel senso che la teologia politica, come teologia che ha assunto un suo ruolo anche nell’università, si muove “tra azione e interpretazione”: l’interpretazione è categoria accademica; l’azione è categoria di militanza; direi: l’interpretazione è categoria delle teologie della correlazione; l’azione è categoria delle teologie della liberazione. La teologia politica assume così un movimento pendolare, necessario per evitare un discorso teologico a-politico; essa è caratterizzata da un tra (secondo Harmut Meesmann): tra accademicità e militanza, tra scientificità e profezia, tra pensiero critico e partecipazione alla sofferenza nel mondo; come ha scritto Metz, il primo sguardo di Gesù non è «al peccatore e al peccato», ma «alla sofferenza degli umani».

Come vive la nuova generazione la prospettiva della teologia politica? Tiemo Rainer Peters dell’Università di Münster – che alla teologia di Metz ha dedicato una documentata monografia e con Metz ha svolto una puntuale e pacata critica al libro di Drewermann sui “Funzionari di Dio” – così si esprime sulla sua attività accademica: «Io cerco nella mia attività accademica di lavorare in modo liberante e di rendere possibile un apprendere comunicativo». E Helmut Peukert dell’università di Amburgo – che nei suoi studi ha sviluppato la dimensione filosofica della teologia politica – afferma: «Un teologo politico si confronta intensivamente con le altre scienze. Egli mette in evidenza le contraddizioni interne e le posizioni valoriali problematiche di una scienza, che deve essere sempre criticata là dove il suo pensiero si rivolge contro l’essere umano».

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Forum teologico, a cura di Rosino Gibellini
Editrice Queriniana, Brescia (UE)
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