Nei giorni dedicati alla solennità di Tutti i Santi e alla Commemorazione dei cari defunti, ci facciamo accompagnare da questa riflessione di Martin Werlen.
In un tempo in cui la santità rischia di apparire lontana, confinata tra icone dorate e statue immobili, questa riflessione ci invita a guardare ai santi con occhi nuovi — non come figure irraggiungibili, ma come compagni di strada nel nostro quotidiano. A partire da un’esperienza personale, l’autore ci conduce in un percorso spirituale e umano che smonta i piedistalli, riporta i santi tra la gente, e ci ricorda che la vera santità non è separazione, ma condivisione: è riconoscere il volto di Cristo nei volti più umili, perfino in quelli che il mondo tende a scartare.
Giù dai piedistalli
Il 30 novembre del 2021, all’università svizzera di San Gallo (la scuola dell’élite della finanza mondiale) ho avuto l’opportunità di presenziare alla inaugurazione di una mostra: Chi lavora in questo Paese. I santi nel quotidiano (Wer in diesem Land die Arbeit macht: Heilige im Alltag). Si trattava di una galleria dell’illustratore Daniel Lienhard. La sua opera mi ha particolarmente toccato.
Percorrendo la nostra strada con gli uomini del nostro tempo riscopriamo anche i santi. E allora all’improvviso troviamo che qualcosa non va se li mettiamo sul piedistallo. Loro stessi certamente non l’hanno mai voluto – altrimenti sarebbero stati dei farisei incalliti. Ai farisei e ai signori di questo mondo piace mettersi su di un piedistallo, per non correre pericoli.
Gesù conosce bene questo modo di fare: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che costruite le tombe dei profeti e adornate i sepolcri dei giusti, e dite: “Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non saremmo stati loro complici nel versare il sangue dei profeti”. Così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli di chi uccise i profeti» (Mt 23,29-31).
È noto il rimprovero ai farisei a causa della loro predilezione per i primi posti (cf. Mt 23,5-7). Se mettiamo i santi sul piedistallo, in un certo qual modo ce ne sbarazziamo. Da là sopra non hanno più molto a che fare con noi. Li teniamo a distanza di sicurezza. È questo il significato del Physical and Social Distancing [Distanziamento sociale e fisico]. Forse leviamo ancora lo sguardo verso di loro, ma sul piedistallo non attraggono più. Dovremmo farli scendere tutti dai piedistalli su cui li abbiamo posti. Anche Dio agisce così.
Alfred Delp lo ha imparato con dolore: «Il buon Dio ci fa scendere da tutti i piedistalli: almeno è quello che è successo a me, e mi succede ancora. Le cose che ho iniziato in maniera tanto elegante, sicuro di farcela, sono fallite». Ciò ravviva il culto dei santi. Allora incontriamo tra l’altro molti farisei con cui essi dovevano lottare. È quello che scrive, per esempio, santa Teresa d’Ávila, dopo la fondazione della comunità di San Giuseppe ad Ávila:
Due o tre giorni dopo il Governatore convocò in assemblea vari Magistrati del Consiglio e alcuni membri del capitolo, e decretarono tutti a una voce che in nessun modo si doveva permettere un monastero che era di evidente aggravio alla città, che bisognava togliere il santissimo Sacramento e impedire assolutamente che la cosa continuasse (Libro della vita, 36,15).
Il santo che non celebriamo
Dobbiamo far scendere tutti i santi dal loro piedistallo – almeno nel giorno della loro festa. E tuttavia c’è un’eccezione. Dobbiamo lasciare sul piedistallo un solo santo – che purtroppo nemmeno celebriamo, sebbene sia stato dichiarato santo dallo stesso Gesù. È quel malvivente che viene crocifisso insieme a Gesù, e a cui viene detto: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23,43). Il suo piedistallo è la croce.
Quando facciamo scendere i santi dal piedistallo, all’improvviso i loro messaggi ci appaiono nuovi, anche per degli aspetti che sono stati trascurati da secoli. Improvvisamente capiamo: al centro per loro non c’è una qualche legge o una qualche opera, ma l’amore, l’amore di Dio. Non è proprio questo che ci commuove nelle buone biografie di santi? Sono biografie che ci rendono più vicini un uomo e il suo mistero. Non lo allontanano facendone un superuomo. 
[…] Così non faccio alcuna fatica a invocare aiuto dai vivi e dai morti, anche da alcuni che non si trovano in nessun elenco di santi né vi saranno mai citati. Un giovane, tossicodipendente e senza tetto – fino a quando non è finito in prigione, e anche dopo – è divenuto per me uno dei principali testimoni di Cristo. In lui, un uomo che si trova nella più grande miseria, posso incontrare Cristo (cf. Mt 25,31-46). In lui non mi viene incontro quella povertà e quella miseria che posso rendere romantiche e dove posso sentirmi salvatore. Immerso in una grande impotenza, cammino insieme a lui alla ricerca di Dio, un Dio che si identifica con gli ultimi tra gli ultimi. In questo giovane, Cristo mi lancia una sfida tremenda – più di tutti quelli che stanno sul piedistallo. Conosce aspetti della vita che sono estranei agli altri. Non è tuttavia la comprensione dei farisei. Questi sono convinti della propria giustizia e guardano agli altri con disprezzo. Pensano di essere i migliori. È quanto meno quello che pensa Gesù (cf. Lc 18,9-14). Mettere se stessi al centro e disprezzare gli altri: è un atteggiamento tipico dei farisei. Ed è ben possibile che non ci sia del tutto estraneo…
© 2025 by Editrice Queriniana
© 2025 by Teologi@Internet
Forum teologico fondato da Rosino Gibellini
Editrice Queriniana, Brescia (Italy)