27/03/2007
88. Teologia, a che scopo? di Ulrich Ruh (direttore di Herder Korrespondenz)
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«La libertà della teologia sta nell’osare di concentrarsi sull’indispensabile»
(Eberhard Jüngel)




La teologia, specialmente quella cattolica, si trova in un insieme di rapporti che la distingue da ogni altra scienza. Fa riferimento alla fede cristiana vissuta e professata, che la precede e che essa, con i suoi diversi metodi, cerca di rispecchiare e di interpretare. Fa riferimento alla istituzione chiesa, alla quale fornisce servizi come la formazione scientifica di sacerdoti e di insegnanti di religione, e la quale vigila sulla sua ortodossia. Infine, essa si attua in una società le cui convinzioni e processi vitali essa vorrebbe stimolare, ma al cui profilo cultural-religioso vorrebbe anche fornire un contributo costruttivo.

Questo insieme di rapporti non è fissato una volta per tutte nelle sue opportunità e nei suoi problemi concreti, ma è percepito in continuo cambiamento. Così, ad esempio subito dopo il concilio Vaticano II, la teologia ha vissuto una particolare congiuntura favorevole. I nuovi impulsi dati dal concilio, per i quali i teologi avevano fornito lavori preparatori decisivi, nella loro realizzazione dovettero essere accompagnati e sostenuti. Ciò fu necessario sia per la nuova comprensione della rivelazione sia per l’apertura al ‘mondo di oggi’ e alle altre chiese cristiane. Al posto della tradizionale teologia di scuola subentrarono nuovi progetti e nuovi approcci tanto nella teologia dogmatica quanto nella teologia morale, che in parte provocarono discussioni controverse e incontrarono l’attenzione di una più larga opinione pubblica.

Oggi, in realtà, la teologia non è per nulla «piccola e odiosa» (Walter Benjamin). Essa dispone, proprio qui in Germania, da sempre di una considerevole presenza istituzionale nel panorama delle università, con un cospicuo numero di facoltà e istituti, e può contare su un crescente numero di studenti. Professori di teologia forniscono nelle loro rispettive discipline, siano l’esegesi o la storia della chiesa, la dogmatica o il diritto canonico, un solido lavoro, pubblicano manuali e monografie, portano avanti progetti di ricerca.


Le coordinate sono cambiate

Allo stesso tempo, però, negli ultimi decenni per la teologia le coordinate sono, sotto molti aspetti, mutate. Questo processo inizia con la innegabile erosione del legame con le chiese, da una parte, e della familiarità con la tradizione cristiana, dall’altra, cosa che da tempo crea problemi alla chiesa cattolica in tutta l’Europa occidentale. Naturalmente le possibilità del lavoro teologico non dipendono direttamente da quanti cattolici partecipano regolarmente alla liturgia o conoscono un certo bagaglio di preghiere, di storie bibliche o di canti ecclesiastici.

Tuttavia, se a causa dell’invecchiamento o di una crescente - per quanto del tutto gentile nei modi - presa di distanza, la base della vita ecclesiale si sgretola, si restringe anche lo spazio di risonanza al quale la teologia, in quanto scienza della fede vincolata alla chiesa, in ultima analisi fa riferimento. I suoi destinatari primari sono, alla fine, credenti che trovano casa nella chiesa, e che al tempo stesso provano interesse per una riflessione più profonda sulla fede e la sua storia. Di tutto questo oggi c’è sicuramente meno che 30 o 40 anni fa.

La chiesa come istituzione, a sua volta, è oggi molto occupata nell’adattare le sue strutture alle risorse finanziarie e personali che diminuiscono sempre di più. In una tale fase critica l’attenzione dei responsabili, e spesso anche di chi ha cariche onorifiche, viene largamente assorbita da misure di risparmio e da ristrutturazioni. La teologia può allora facilmente apparire come un lusso che poco contribuisce nelle decisioni impellenti. Così pastorale e lavoro nelle comunità diventano spazio libero da teologia ancor più marcatamente di quanto comunque già lo sia. Anche in questo modo la teologia può perdere la sua base.

Allo stesso tempo provengono alla teologia delle nuove sfide da un’altra direzione. Esse hanno a che fare con la voce ‘religione’ o ‘religioni’. Nessun tema impegna oggi tanto i contemporanei ‘normali’, indipendentemente dal grado del loro legame ecclesiale, quanto l’islam, sia come fenomeno nazionale sia in generale, come potenza religiosa mondiale. È soprattutto per via dell’islam che la religione balza in primo piano in modo irritante e inquietante. Rende la questione così dirompente il fatto che qui si mescolano aspetti religiosi e politici, si legano insieme concrete esperienze locali, pregiudizi sommari e sospetti generalizzati.


La teologia deve mettere a fuoco il suo profilo specifico

Non da ultimo, ma non solo a motivo dell’islam e dei problemi della sua integrazione nella società europea, sono state poste di nuovo o ancora all’ordine del giorno, in gran parte dall’alto, anche questioni fondamentali sulla religione e il suo ruolo sociale. Di esse fa parte la questione del rapporto tra religione e violenza, ma anche quella del rapporto tra religione e ragione, divenuta d’attualità al più tardi a partire dalla lezione di Benedetto XVI a Ratisbona. Si vorrebbe sapere che cosa è e che cosa non è ‘buona religione’, anche senza ancorarsi in modo stabile in una religione concreta.

Contemporaneamente si prende sempre più coscienza che anche il cristianesimo offre su scala mondiale una immagine diversa da quella a cui ci hanno abituato le chiese stabilite in Europa, con la loro religiosità piuttosto moderata e razionalmente definita. Si registra il rapido aumento di chiese pentecostali e di chiese indipendenti in Sudamerica e in Africa, e di ciò ci si irrita pure. Forse che le parti della cristianità mondiale dotate di una teologia differenziata, razionale, sono tuttavia un modello in estinzione, sotto la pressione di un islam autocosciente, da una parte, e di un cristianesimo dalle forme espressive tanto strane quanto suggestive, dall’altra?

La questione della religione come pungolo per la teologia ha così, non da ultimo, una dimensione europea. La discussione sul riferimento a Dio e sulla menzione esplicita della eredità cristiana nella costituzione europea ne è soltanto un sintomo, per quanto importante. In definitiva si tratta di come sia possibile, nelle condizioni del XXI secolo e in una Europa della pluralità religiosa e confessionale, consolidare un fondamento etico comune che tenga conto delle caratteristiche storiche, a tutte le religioni offra una casa e la possibilità di ritrovarsi, e contemperi anche il fatto che molti abitanti del continente vivono distanti da qualsiasi religione, anche se rispettano le convinzioni religiose.

In Europa la teologia può, nel complesso, assumere adeguatamente le sfide ecclesiali e globalmente sociali dell’incipiente XXI secolo solo se essa ha chiaro il suo profilo specifico e di conseguenza lo mette a fuoco, se essa si apre, senza mettere in gioco la sua identità. Questo, del resto, è più facile a dire che a fare, non da ultimo perché le aspettative sociali vanno in parte in altra direzione.

Da molte parti esiste in Europa la tendenza, sia nella scuola sia nell’università, a puntare più fortemente su una disciplina religiosa o su una scienza della religione generale o comparativa anziché su teologie confessionali e su insegnamento confessionale della religione. Al riguardo si ricorre all’argomento del diffuso analfabetismo religioso, a cui si risponderebbe meglio con una disciplina religiosa per tutti, e con la necessità di esercitare tolleranza come virtù fondamentale socialmente necessaria, creando distensione nel rapporto tra le religioni. Nel produrre adesione per problematiche generalmente interessanti la ‘religione’ è considerata più idonea della teologia, la quale coglie tutto soltanto nella sua ristretta ottica cristiana o perfino confessionale.

Rispetto a ciò la teologia deve insistere sul fatto che essa è scienza della fede, dunque è permanentemente riferita alla rivelazione in Gesù Cristo come suo criterio. Ciò la rende, da un certo punto di vista, ostica, sia nell’università sia nell’opinione pubblica generale, ma contribuisce al tempo stesso a far chiarezza. Proprio perché la professione di fede in Gesù Cristo come Figlio di Dio è tutt’altro che ovvia, essa apre uno spazio per domande e interrogativi che non devono dar pace alla teologia nel compimento del suo mandato ecclesiale e sociale e non permettere che si acquieti nella tranquillità.


Non evitare alcun tema di dibattito pubblico sulla religione

A questo riguardo la teologia non può, proprio oggi, sottrarsi a nessun tema di dibattito pubblico su religione o religioni, oppure trattarlo con un basso profilo. Essa deve sfruttare tutte le possibilità per connettersi interdisciplinarmente con la scienza della religione, la storia delle religioni e la sociologia della religione, come pure con la filosofia e le scienze della cultura. Questo può avvenire in singoli progetti di ricerca, ma anche strutturando corrispondenti percorsi di studio. Anche nello studio della teologia stessa, le conoscenze e le problematiche che nascono dall’ambito delle religioni devono giocare un ruolo maggiore di quanto avvenuto finora, sia per i futuri insegnanti di religione sia per i futuri parroci e i laici impegnati professionalmente nella pastorale.

Il punto principale per la teologia consisterebbe proprio nel valorizzare, di volta in volta, la concezione specifica e il proprio punto di vista in modo da stimolare, e non bloccare, il dialogo, di schiudere nuove prospettive, senza imporle all’altro. Si potrebbe dar prova di ciò nell’incontro con la filosofia contemporanea ‘postmetafisica’, ma aperta alla religione, e anche nel confronto con l’islam, confronto che qui da noi finora difficilmente avviene su un piano teologico. In entrambi i casi è difficile che si arrivi ad una intesa sulla questione principale, perché in definitiva si tratta di fede e di incredulità o della convivenza di opzioni religiose fondamentali. Tuttavia, entrambi le parti potrebbero, a loro volta, trarre profitto da un serio dialogo.

Oggi meno di prima la teologia non può produrre la fede. Essa può, al massimo, con argomenti razionali e materiale storico-didattico, destare l’interesse nei confronti del cristianesimo e del suo ‘nucleo caldo’, oppure con gli stessi mezzi ripulire la strada dalle pietre che impediscono l’accesso alla fede.

Al di là di ogni idea circa i suoi confini, la teologia non dovrebbe qui svendersi a meno del suo valore. Per un verso, essa può contribuire decisamente a essere informati in modo competente sulla fede, sulla sua storia e sulla multiforme cristianità di oggi. Qui tutte le discipline teologiche devono dare il loro contributo, senza pretendere sempre di avere la rappresentanza esclusiva. Sulla storia del cristianesimo si può forse apprendere da uno storico profano molto di illuminante tanto quanto da uno storico della chiesa. Molti sono i luoghi e le occasioni per trasmettere informazione teologica, dalla conferenza nel quadro della formazione degli adulti o in una accademia cattolica fino alla lettura di un libro che ne tratta in modo specifico.

Inoltre, per la teologia sarebbe un compito e una sfida l’accompagnare e sostenere con adeguata riflessione la prassi ecclesiale, sia la conformazione della liturgia nelle comunità sia le decisioni sulle pianificazioni pastorali o sull’individuazione dei punti chiave in una diocesi. Infine, spetta in via generale alla teologia stimolare con argomenti sia storici sia sistematici la capacità di riflessione nella vita ecclesiale nei suoi diversi ambiti.

Ciò può essere utile per persone che stanno facendo un percorso verso la fede e avvertono che le loro domande sono prese sul serio, che le si accoglie dentro un processo di scambio di idee sulla fede, senza che l’esito finale sia precostituito a priori. Può essere utile anche per membri della chiesa fedeli e impegnati, i quali spesso hanno molte domande e dubbi sulla fede e la chiesa, più di quanto si pensi nei loro riguardi.


I propri punti di forza vanno messi in gioco in modo aggressivo

Non ci può essere dubbio alcuno al riguardo: la teologia viene usata, proprio oggi, sia per la chiesa come per la più ampia opinione pubblica. Tuttavia non ci si dovrebbe fare alcuna illusione per quanto concerne le sue effettive possibilità in entrambi i campi. Del resto, dovrebbe essere pure difficile trovare teologi che si fanno qui illusioni.

È difficile che nella teologia del presente emergano delle figure che abbiano la capacità di creare opinione nella chiesa o che godano di stima generale nell’opinione pubblica. Nelle università la teologia deve lottare per garantire il proprio ‘Standing’ nel panorama scientifico e, almeno in alcune discipline, incontra difficoltà con la sua nuova generazione scientifica. In realtà negli ultimi tempi non c’è stato nessuno conflitto spettacolare tra singoli teologi e il magistero dei vescovi o del papa. Ma ciò non significa che il lavoro della teologia venga ovunque nella chiesa stimato come meriterebbe.

In tale situazione la teologia ha bisogno soprattutto di coraggio e di creatività. Essa deve avere il coraggio di mettere in gioco i propri punti di forza in modo aggressivo, sia nelle singole discipline sia come teologia nel suo complesso: patrimonio di riflessione e cura metodologica, e contemporaneamente vicinanza al cristianesimo vissuto ed alla realtà ecclesiale; ampiezza delle problematiche e degli approcci, e contemporaneamente concentrazione sulle esigenze fondamentali di dar voce alla fede in modo intellettualmente onesto e, se possibile, universalmente comprensibile, di introdurla nel dialogo generale, come offerta e come esigenza, così che essa riscuota attenzione.

Allo stesso modo si richiede creatività, nella ricerca di partner che collaborino all’interno e all’esterno dell’università, nella elaborazione di pubblicazioni e nella trasmissione di sapere teologico nell’insegnamento e per l’opinione pubblica. Mondi linguistici ermetici, idee eccentriche, pie effusioni o gerghi appiattiti, qualunque ne sia l’origine, la teologia oggi non può proprio più permetterseli. Troppo è in gioco, per la teologia stessa e per il suo ambiente ecclesiale e sociale.

Ulrich Ruh




© 2007 by Herder Korrespondenz, Freiburg i. Breisgau, n. 3/2007
© 2007 by Teologi@Internet
Traduzione dal tedesco di Gianni Francesconi
Forum teologico, a cura di Rosino Gibellini
Editrice Queriniana, Brescia (UE)
Teologi@Internet: giornale telematico fondato da Rosino Gibellini