Alla data del 3 settembre il Martirologio Romano ricorda due figure di santi che sono stati importanti per lo sviluppo storico del cristianesimo. Soltanto uno dei due, però, gode del riconoscimento che merita un santo: san Gregorio Magno; l’altro caso, che è quello di santa Febe, risulta sconosciuto ai più. Chi era Febe? Perché è stata importante nella storia del cristianesimo? E perché non ci ricordiamo di lei? Ce lo spiega Phyllis Zagano, scrittrice e nota studiosa di storia della chiesa, in questo articolo apparso in originale sul periodico The Tablet. Ci illustrerà le vicende di questi due diaconi della chiesa antica, l’uno elevato al pontificato, l’altra destinata quasi all’oblio… forse perché donna. E noi, per approfondire il tema del diaconato al femminile, rimandiamo a questo punto all’ottimo studio curato da Serena Noceti: Diacone. Quale ministero per quale chiesa? (Queriniana 2017).
Per papa Francesco è stato piuttosto facile elevare il livello della celebrazione liturgica del 22 luglio, dedicata a santa Maria Maddalena, apostola degli apostoli; ma il pontefice incontrerebbe delle difficoltà se cercasse di onorare in ugual misura santa Febe, il 3 di settembre. Ora, il 22 luglio è una giornata di festa grande per la chiesa cattolica, mentre Febe non ha neppure un formulario liturgico proprio.
Febe – è il caso di ricordarlo – è colei che ha portato la lettera di Paolo ai fedeli dell’Urbe (Romani 16,1-2). Forse perché Paolo presenta Febe come una diacona, il passo non è presente in alcuno dei lezionari attualmente in uso nella liturgia cattolica. Di fatto, la sua festa non viene celebrata nel cattolicesimo romano, sebbene Febe sia da sempre inserita tra i santi di cui si fa memoria il 3 di settembre; rimane indicata nella più recente edizione del Martirologio Romano, dove lo status liturgico della ricorrenza non è né quello di una festa né quello di una memoria, bensì una semplice “commemorazione”.
Il 3 settembre
Le speranze di Febe di essere riconosciuta sono svanite nel 1969, quando la chiesa di rito latino ha spostato la memoria di papa Gregorio Magno dal 12 marzo, data della sua morte avvenuta nel 604, al 3 settembre, appunto, giorno in cui, nel 590, Gregorio – anch’egli diacono – venne «eletto alla Sede Romana».
Questa non fu certo una carineria nei confronti delle donne, che ancora attendono un rispetto maggiore nella chiesa. Da allora, il 3 settembre si ricorda obbligatoriamente proprio quel papa che, peraltro, sancì che Maria Maddalena, annunciatrice della risurrezione, era una prostituta. Infatti, nel settembre dell’anno 592, nella basilica romana di S. Clemente, papa Gregorio trattò dei sette demoni che il Signore aveva scacciato da Maria di Magdala, come si legge in Marco 16,9. Nell’omelia, incentrata su Luca 7,36-70, Gregorio fuse la Maria penitente di quel vangelo con la seguace di Gesù, Maria di Magdala. Come dimostrato oggi da svariati studiosi, per quanto Maria Maddalena possa aver sofferto a causa dei sette demoni, non è la stessa donna che ha lavato i piedi di Gesù con le proprie lacrime e li ha unti con unguento.
Il sette, naturalmente, è simbolo di completezza. I “demoni” che tormentavano la Maddalena sono più probabilmente indice di problemi fisici o forse spirituali, come accade altrove nelle Scritture, ma non di peccati morali. È più probabile che Maria di Magdala soffrisse di depressione, forse dovuta alla menopausa, o magari alla perdita del marito o di un figlio, o – chissà – ad un rovescio negli affari. Pertanto, l’espressione «aveva scacciato sette demòni» può riferirsi a una guarigione fisica o spirituale operata da Gesù, come in altri casi, che nulla aveva a che fare con i cosiddetti sette peccati capitali.
Gregorio, tuttavia, era certo della natura peccatrice di Maria di Magdala. «E cosa sono questi sette demoni», chiese, «se non l’universalità di tutti i vizi? Maria era posseduta da sette demoni, perché era piena di vizi». Con ciò, egli consolidò la reputazione di «peccatrice» della Maddalena, e per secoli essa venne rappresentata nei panni di una meretrice dai capelli rossi. Questa maldicenza probabilmente era già nota, ma dopo l’omelia 33 di Gregorio venne accettata per vera.
Dunque, la chiesa festeggia papa Gregorio, che ha squalificato colei che per prima ha visto il Signore risorto, e ne fa memoria proprio nel giorno in cui si ricorda santa Febe, un’altra donna latrice di annunci cui si fa accenno nelle Scritture. Il 3 settembre sarebbe infatti il giorno della sua “rinascita” – della sua morte e nascita alla nuova vita. Le chiese ortodosse celebrano la liturgia divina in onore di Febe il 3 settembre, mantenendo – come anche le chiese cattoliche di rito orientale, gli anglicani e i luterani – la memoria di san Gregorio al 12 marzo. Il cattolicesimo romano, invece, lascia Febe nel dimenticatoio.
Perché?
La spiegazione che viene comunemente data è che, sulla scia del concilio Vaticano II, c’è stata molta pressione per spostare le memorie obbligatorie fuori dal tempo di Quaresima, giacché il periodo liturgico le superava in automatico, rendendole facoltative. Si temeva che la memoria di Gregorio, molto noto e venerato a Roma, venisse a perdersi. Nel 1969, con il motu proprio Mysterii paschalis, Paolo VI approvava le norme generali per l’anno liturgico e il nuovo calendario romano, affermando che i santi di importanza veramente universale fossero celebrati obbligatoriamente in tutta la chiesa; la celebrazione di altri santi, pur essendo inserita nel calendario, è invece opzionale e «si dà facoltà e libertà di recuperare convenientemente nelle rispettive regioni la memoria e il culto di santi particolari». Poiché Gregorio era ritenuto d’importanza universale, andò a surclassare Febe.
Chi era Febe di Cencre?
Sembra che Febe, se è mai stata ricordata, lo è stata nel calendario liturgico locale dell’ormai soppressa arcidiocesi di Corinto, più precisamente a Cencre (o Cencrea, in orig. Kenchris), la città portuale a est di Corinto dalla quale proveniva e di cui non rimane oggi che un modesto insediamento costiero di 238 abitanti. Tuttavia, proprio come Maria di Magdala, Febe di Cencre è stata una donna benestante e di grande levatura, con un ruolo di rilievo tra i seguaci di Cristo. Paolo la presenta come «nostra sorella», membro fedele della chiesa di Cencre. Era una prostatis, cioè una patrona o benefattrice. Questi titoli vanno a indicare un membro molto rispettato della comunità locale, che Paolo con la sua lettera raccomanda alla nascente comunità romana. Possiamo supporre che il suo patronato sostenesse gli sforzi della chiesa che si stava sviluppando. Non solo era stata scelta per portare la lettera di Paolo a Roma, ma è probabile che dovesse anche leggerla e interpretarla, una volta giunta a destinazione.
Il fatto che Febe sia l’unico personaggio delle Scritture ad avere il titolo di diacono (diakonos) in seno a una comunità ecclesiale è un punto importante nella battaglia in corso per il ristabilimento delle donne al diaconato. Nonostante in molte delle traduzioni compaia come “ministro” o “diaconessa”, Paolo si è riferito a lei con il termine neutro di “diacono”, legandola a una comunità reale. Certamente ci sono state altre figure nella chiesa primitiva che hanno svolto compiti analoghi. Molti studiosi indicano santo Stefano, uno dei sette prescelti dagli apostoli per servire la chiesa. Ma né lui né nessuno degli altri sei è chiamato diacono, come Febe.
Potremmo immaginarci Febe come più simile a Maria di Magdala. Nell’Antichità si consentiva ai patroni, sia maschi che femmine, di svolgere funzioni di guida nella società e nella chiesa. Sappiamo, naturalmente, che nei primi 250 anni la maggior parte delle assemblee e delle celebrazioni liturgiche avevano luogo nelle abitazioni, spesso in case familiari guidate da delle donne. Il fatto che Paolo definisca Febe una “diacona” la lega ad altre figure che l’apostolo menziona nelle sue lettere (cfr. 1 Timoteo 4,6 e 2 Corinzi 6,4). Oggi, siamo abituati a sentir definire il papa come «servo dei servi di Dio»; ironia della sorte, fu papa Gregorio a usare questa espressione per riferirsi a se stesso, e da qui viene l’associazione automatica con la figura del pontefice. In quattordici anni di pontificato il diacono divenuto papa è riuscito a diffamare la prima testimone della risurrezione, a sostenere l’importanza primaria del servizio nella chiesa e poi, secoli dopo la sua morte, a mettere completamente da parte la celebrazione del primo diacono (una donna) di cui si è a conoscenza.
Che dire? Possa la chiesa – il popolo di Dio – ricordare santa Febe il 3 settembre, anche se i documenti ufficiali si rifiutano di farlo così come converrebbe.
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