Durante i miei studi di teologia, praticavo piuttosto intensamente lo sport, ma non avrei mai immaginato di poter leggere un giorno una “Teologia dello Sport”, un’unione fra due “discipline” ritenute decisamente lontane, estranee, persino conflittuali. Eppure entrambe le cose mi appassionavano e non trovavo disdicevole passare dal “De Trinitate” al campo da gioco.
A qualcuno la mia passione sportiva sembrava pericolosa per la facile “dissipazione” che portava con sé, mentre altri la incoraggiavano soprattutto perché coinvolgevo gruppi di giovani, particolarmente vivaci, ritenuti meno facilmente avvicinabili. La cosa interessante era che assieme ci si divertiva un mondo, pur nella ruvida competizione.
La prima sorpresa, scorrendo con curiosità le spigliate pagine della “Breve teologia dello Sport”, è stata proprio quella di ritrovare come una costante nella storia, l’insieme degli atteggiamenti sperimentati in gioventù, nei confronti dello sport, che possono essere riassunti nelle tre note del rifiuto, della strumentalizzazione, della popolarità.
Lo sport può suscitare diffidenza o rifiuto per la sua tendenza totalizzante, o può essere utilizzato a scopi diversi, positivi o negativi, ma resta invincibilmente popolare, perché appassionante.
Contestato, utilizzato, ma sempre avvincente e quindi praticato e seguito da masse crescenti di persone di ogni colore. Si pensi solo ai milioni di persone incollate al video per una finale di coppa del mondo di calcio: ma perché? L’autore, che non so se sia più un teologo sportivo o uno sportivo teologo, affronta con piglio sportivo e con serietà teologica l’argomento.
Partendo dalla costatazione antropologica che ogni forma di gioco è un’attività fondamentalmente superflua ma densa di significato, siamo introdotti con leggerezza nella dimensione teologica del gioco divino della creazione, non necessaria, ma ricca di senso per l’amore di Dio che esprime. Il Dio trinitario, che non ha bisogno di compagnia, vuole tuttavia associare a sé degli esseri fatti a sua immagine e somiglianza in Cristo, traendoli dal nulla.
Una prima conclusione: Non bisogna prendersi troppo sul serio dal momento che siamo leggeri, sospesi nel nulla, tratti dal nulla, superflui, parte di una creazione non necessaria ma voluta per qualche cosa dall’amore di Dio. E così quando giochiamo “viviamo fino in fondo la nostra identità come creature superflue, ma piene di senso”.
E qui mi è parso di stare per ritornare sui miei campi di gioco, dove non trovavo discontinuità con il trattato “De Trinitate”. Ma se era facile passare dallo studio della teologia al gioco, ricordo che era meno facile, e oggi forse ancor più difficile, rintuzzare le diffidenze nei confronti di chi praticava o pratica lo sport: pericolo di idolatria verso la forza fisica e l’abilità atletica? preoccupazione per l’eccesso di protagonismo e per il fanatismo? Strategie di dubbia onestà elaborate per vincere ad ogni costo? Competizione spinta fino all’incitamento alla violenza? E il doping?
Ma l’autore, che è un inglese sufficientemente pragmatico, mi sorprende, anticipando le mie domande e mi aiuta a riflettere su possibili risposte dettate dalla sua teologia, oltre che da una eccellente dose di buon senso.
Tanto che terminando l’agevole lettura, ho pensato spontaneamente al grande numero di campi da gioco degli oratori, che si stendono proprio accanto alle chiese. Ecco due luoghi di culto, suggerisce l’autore: mentre nelle chiese si svolge la celebrazione liturgica di chi è Dio, sui campi da gioco si svolge la celebrazione liturgica di chi siamo noi, la liturgia della nostra contingenza creata, fatta di vittorie e di sconfitte, di speranza e di delusioni, di creatività e di accettazione, un mondo meravigliosamente non necessario ma interiormente ricco di significato.
Deponendo il libro, mi sento lieto di aver incontrato un originale approccio al mondo dello sport e mi riprometto di passare sportivamente la notizia al mio miglior avversario di un tempo, per sorridere insieme sul fascino misterioso dei nostri scontri.
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Forum teologico diretto da Rosino Gibellini
Editrice Queriniana, Brescia (UE)
Lincoln Harvey
BREVE TELOGIA DELLO SPORT
Giornale di teologia 377
2015 - pagine 256
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LINCOLN HARVEY
Anglicano, dottore in teologia, insegna teologia sistematica presso il St Mellitus College di Londra. Dopo aver studiato al King’s College di Londra, ha iniziato la sua carriera di docente al South East Institute for Theological Education e allo stesso King’s College, con il quale tuttora collabora.
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