08/01/2007
83. Si può essere ancora cristiani? Intervista a Rosino Gibellini di Graziela Maria Wolfart
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(pubblicata sulla Rivista dell’Università Cattolica di Sâo Leopoldo, Brasile)


1. In un mondo che valorizza sempre più scienza e tecnica come spiegazione del mondo ha ancora un senso la fede cristiana?

La scienza e la tecnica sono una spiegazione del mondo in cui viviamo, ma non esauriscono la totalità della realtà e lasciano aperta la via al mistero, che ci trascende. La parola di Gesù attira anche l’uomo contemporaneo, perché ci rivela, come spiegava Karl Rahner, che il mistero che ci avvolge, non è un mistero tremendo, ma un mistero santo che ci accoglie. Gesù ci infonde la fiducia necessaria per affrontare la vita con coraggio e speranza.
È vero che la società moderna è una società secolarizzata, ma una secolarizzazione radicalizzata diventa destabilizzante (entgleisend) della vita anche nelle nostre società democratiche basate sul consenso, come ha recentemente riconosciuto il grande filosofo della politica Habermas, che parla, ora, di società post-secolare, in quanto si mostra disposta, nella distinzione dei compiti, ad accogliere il contributo di valori che può dare il cristianesimo e la religione.
La post-modernità, che caratterizza il nostro tempo, introduce il concetto di pluralità e si mostra più tollerante nei confronti del discorso religioso. Il rapporto fra ragione e fede ha bisogno quindi di essere reimpostato dopo le contrapposizioni esasperate della modernità.


2. Che senso ha nel tempo della modernità e della postmodernità la fede in Dio, la fede nella Trinità, credere nella Risurrezione e nel ritorno di Cristo?

La fede cristiana è un affidarsi a Dio, che si rivela nel Cristo, e così è un inserire la propria storia personale in una storia più grande, che scorre dalla creazione all’escatologia, che si chiama storia della salvezza e che dà senso alle nostre piccole storie. Per questo la teologia contemporanea ha ricuperato la narratività biblica. Credere è un uscire dall’isolamento esistenziale, appartenere ad una grande comunità in cammino, è inserirsi in una tradizione ermeneutica, che attualizza il Vangelo e ripensa i dogmi e le verità della fede. È questo un concetto ben illustrato da un teologo ermeneuta come David Tracy. E tramite l’ermeneutica si può dare una versione proponibile delle verità della fede anche all’uomo della modernità e della post-modernità. Facciamo alcuni esempi. Dio come Trinità dice riferimento a Dio come comunione, o anche – come ha sottolineato la teologia femminista – a Dio come il potere della relazione. La risurrezione è promessa di un futuro oltre il tempo, di un futuro assoluto, e l’ingresso in una dimensione della realtà diversa dalla dimensione spazio-temporale. La seconda venuta di Cristo è appunto l’ingresso nella nuova dimensione della realtà, che dà compimento alla nostra breve storia terrena. È compito della teologia, e in particolare della teologia ermeneutica, dialogare e interpretare, e non sempre i cristiani conoscono ciò in cui credono. Qualche anno fa lo scrittore Umberto Eco e il card. Martini hanno dialogato in un bel volumetto, che aveva per titolo In che cosa crede chi non crede; ma si può anche porre la domanda: in che cosa crede chi crede. Questo per sottolineare che il nostro tempo per il cristiano è tempo di convinzioni e di decisione.


3. Che contributo può dare la fede cristiana alla risoluzione dei problemi attuali dell’umanità, in particolare al problema della povertà e della crisi ecologica?

Il cristianesimo si fonda sul “Principio amore”, come ha bene illustrato il teologo Joseph Ratzinger nella sua opera principale Introduzione al cristianesimo del 1968; pensiero che ha ripreso nella sua prima enciclica Deus caritas est (2006), che è stata universalmente ben recepita per l’essenzialità del tema e della trattazione. Si potrebbe dire che il genio del cristianesimo è la carità. E la carità si fa solidarietà con tutte le povertà del mondo: qui la teologia contemporanea, in particolare la nuova teologia politica e la teologia della liberazione hanno scritto pagine illuminanti.
Si può ricordare anche la teologia ecologica, che si interroga sulla solidarietà con la natura. Una lunga tradizione ha interpretato il mandato biblico come “dominio sulla terra”; con la nuova teologia della creazione si passa dalla categoria di Verfügung, e cioè di natura che sta a completa disposizione dell’essere umano come materiale manipolabile e tecnicizzabile, alla categoria di conservazione e salvaguardia del creato, e di cooperazione con il creato. Qui si può ricordare il contributo dato da Moltmann, dall’ultimo Leonardo Boff, e dalla teologia femminista. La teologia e la chiesa sono oggi chiamate a destarsi da quello che potrebbe essere definito come “oblio della creazione”, e a sviluppare tutto il potenziale teologico ed ecclesiale, ma anche culturale e politico, della fede nella creazione.


4. Quali le sfide con cui si deve confrontare il Cristianesimo, oggi?

Le sfide sono molte, perché viviamo nel tempo della complessità, ben rappresentata dalle nuove tecnologie della comunicazione. La sfida principale per il cristianesimo è come muoversi tra fondamentalismo e secolarismo.
Il fondamentalismo è una patologia della religione, è l’affermazione di una identità culturale e religiosa esclusiva e aggressiva, ma la religione autentica afferma: «Chi pesta i piedi all’uomo li pesta a Dio». Si tratta di elaborare e di vivere un cristianesimo relazionale, che afferma la propria identità, ma la vive e la costruisce nella relazionalità, e cioè nel dialogo e nella cooperazione, in ordine a pace, giustizia e salvaguardia del creato. Nei confronti del secolarismo, il cristianesimo non può accettare di essere relegato nella sfera privata, perché il suo messaggio ha una rilevanza pubblica. La fede, pur basandosi su una rivelazione, possiede un patrimonio di sapienza e di verità, che è fonte di ispirazione per tutti. Si tratta pertanto di stabilire un nuovo rapporto, anzi un’alleanza tra ragione e fede, nella distinzione ma non nella contrapposizione. Qui vorrei citare il principio enunciato dal teologo Joseph Ratzinger nei confronti del secolarismo: «Non c’è pace nel mondo senza una giusta pace tra fede e ragione»; principio che è da integrare con il principio enunciato da Hans Küng nei confronti delle religioni mondiali: «Non c’è pace tra i popoli senza pace tra le religioni, e non c’è pace tra le religioni senza un ethos universale e condiviso».




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