08/03/2021
480. SALVEZZA PER TUTTI, UMANI E NON? A colloquio con Elizabeth Johnson di Patrick Verel
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In occasione dell’uscita in lingua italiana del nuovo libro di Elizabeth Johnson – Il creato e la croce (Gdt 430) – pubblichiamo la trascrizione parziale di un’intervista audio rilasciata dall’autrice al Fordham News. Nel nuovo saggio pubblicato in Italia da Queriniana, la professoressa Johnson – già presidentessa della Catholic Theological Society of America e dell’American Theological Society, docente di teologia presso la Fordham Univeristy di New York – ci sfida a riconsiderare il concetto di redenzione, piegandolo in prospettiva cosmica, una prospettiva oggi più che mai necessaria in un'epoca di profonda crisi ecologica.

 

D: Per la fede cristiana Cristo muore in croce per espiare i peccati dell’umanità e la nostra salvezza è direttamente collegata alla sua sofferenza. Cosa accadrebbe se fosse possibile estendere oltre i soli esseri umani la fede nella salvezza, includendo tutte le creature viventi?

R: La redenzione cosmica corrisponde all’idea per cui tutto il creato sarà salvato, anche la galassia più remota, il vermicello più nascosto: ogni porzione del vasto mondo che Dio ha creato ha un futuro, assieme a noi umani, nella gloria di Dio. La questione è scomparsa dalla coscienza ecclesiale attorno al XVI secolo, con la Riforma, Lutero, Calvino e altri autori che hanno spostato l’attenzione sulla salvezza degli esseri umani. La domanda era: come posso trovare un Dio misericordioso? Risposta: con la morte di Gesù in croce. La questione veniva, pertanto, del tutto incentrata sugli esseri umani, sulla nostra natura peccatrice e sulla nostra necessità di essere salvati. Questo enorme interesse per l’uomo ha escluso tutto il resto del creato.

D: Perché sant’Anselmo è così importante a questo proposito?

R: Anselmo fu un teologo del X-XI secolo, fu un monaco e, infine, fu anche arcivescovo di Canterbury. Scrisse un meraviglioso libro in latino, il Cur Deus Homo, ossia: Perché Dio si è fatto uomo. Egli si chiede perché Dio si è fatto uomo ed è morto per salvarci, quando avrebbe potuto riuscire nell’intento in qualche altro modo. Avrebbe potuto versare una sola lacrima, o compiere un gesto di gentilezza, e avrebbe sistemato la faccenda.

La sua risposta, che ha avuto un impatto enorme, è stata questa: Dio si è fatto uomo ed è morto per salvarci poiché il peccato aveva offeso l’onore di Dio, e gli uomini dovevano rendere soddisfazione, riparare quel torto. Giacché noi siamo soltanto degli esseri umani finiti, non possiamo offrire una soddisfazione pari alla gloria e all’onore di Dio, cui abbiamo recato offesa, pertanto una persona infinita doveva venire per questo scopo.

L’unico modo per rendere soddisfazione era morire, poiché Gesù era senza peccato e la morte era intesa come una punizione per il peccato, una conseguenza del peccato. In quanto senza peccato, egli non avrebbe dovuto morire; dal momento in cui di fatto è morto, pertanto, ha restituito più di quanto fosse dovuto in onore di Dio. Nelle ultime righe del suo libro, Anselmo scrive: «La misericordia di Dio […] la ritroviamo così grande e così accordata con la giustizia, che non se ne potrebbe pensare una più grande e più giusta». Ora, per l’epoca di Anselmo, nel periodo del feudalesimo, questa affermazione aveva senso per la gente: la parola del feudatario era legge. Se recavi offesa al tuo signore, stavi violando l’ordine civile – oltre che l’onore del feudatario – e dovevi risarcirlo pubblicamente. Quel che Anselmo ha fatto è stato prendere quella disposizione politica per farne l’immagine di Dio. Ciò l’ha resa cosmica. Quel che si è sviluppato da quella teoria è una nozione di Dio come Signore supremo il cui onore è più importante della misericordia divina.

Eppure Gesù ha raccontato numerose parabole in cui la misericordia di Dio viola le norme o le aspettative sociali. Si pensi per esempio al figliol prodigo: non sono previsti dei risarcimenti, è evidente. La misericordia di Dio viene e ti salva a prescindere. In Anselmo, però, la croce è diventata un prerequisito perché Dio potesse essere misericordioso, e ciò ha recato un grave danno all’immagine di Dio.

D: Il creato e la croce è stato composto sotto forma di dialogo, a richiamare il modo in cui sant’Anselmo ha scritto molti dei suoi testi. Perché questa scelta?

R: Perché Anselmo ha avuto un’influenza enorme, che ne siamo consapevoli o meno. Desideravo proporre una specie di alternativa, ma nello stesso stile. Anselmo scelse un monaco che si chiamava Bosone – sì, proprio così! – che era solito rivolgergli domande su tanti argomenti, e lo inserì come proprio interlocutore nel libro. Io mi sono inventata una interlocutrice che ho chiamato Clara: è un amalgama di tutti i ragazzi e le ragazze intelligenti e sagaci ai quali ho insegnato nel corso della mia vita. Diventa così in un certo senso un dialogo tra un’insegnante e i suoi studenti, più semplice da seguire rispetto a dei ragionamenti che occupano interi paragrafi.

D: La tesi principale del libro è che la croce rappresenta più della sola salvezza dal peccato. Cito testualmente: «Un’icona della co-sofferenza redentrice di Dio» per tutte le creature. Questo tema è nuovo? 

R: No, anzi, è antichissimo, ma direi che da tempo non gli abbiamo prestato attenzione. Lo si può ritrovare nella Bibbia, nel Nuovo Testamento; la comprensione della morte e risurrezione di Cristo è che, in Gesù Cristo, Dio si è fatto uno con noi nella carne, per citare il Vangelo di Giovanni. La carne era carne umana, ma la nostra carne – oggi lo comprendiamo – è parte della carne dell’intera comunità di viventi sulla terra. Voglio dire: ingeriamo del cibo e inaliamo dell’aria, e questo ci tiene in vita. Ci siamo evoluti a partire da questa comunità di tutto il creato. Sto usando l’espressione “comunità dei viventi”, che è un’espressione chiave dell’enciclica Laudato si’ di papa Francesco.

Per tentare di comprendere che non siamo gli unici ad andare a zonzo su questo pianeta, ma che – in quanto umani – siamo parte di una meravigliosa comunità di viventi, dobbiamo portare quella comunità di viventi in cima ai nostri insegnamenti dogmatici, nella nostra predicazione e nelle nostre liturgie. Nelle Scritture si trasmette l’idea che quando la parola si fece carne e dimorò in mezzo a noi, fosse Dio che si legava personalmente agli esseri umani, ma anche a tutta la carne sulla terra, alla materia. I suoi geni, i geni di Gesù appartenevano al lignaggio ebraico della razza umana, le cellule del suo corpo erano composte di sostanze gassose e di materiali esplosi nelle stelle miliardi d’anni fa, proprio come le nostre. Una parte di Dio si è legata all’universo umanamente, fisicamente, in quanto evento cosmico. Pertanto, nella sua morte, Dio è con tutte le creature che muoiono, non solo con gli esseri umani, ma con i piccoli di pellicano, con la gazzella inseguita dal leone e così via.

Inoltre, nella risurrezione del corpo di Gesù Cristo vi è il principio del futuro di ogni carne. Se la risurrezione ha un qualche significato, è che c’è un futuro per il creato, che tutto non finisce nell’annientamento, ma che l’amore di Dio che ha generato ogni cosa è sufficientemente potente per redimere tutti. Al termine della Laudato si’ papa Francesco scrive che alla fine dei tempi staremo tutti insieme a godere della bellezza di Dio (questa è la sua visione del paradiso), e tutte le creature saranno splendidamente trasfigurate e condivideranno con noi quella gioia.

D: Se le persone prendessero a cuore questo concetto, ciò in che termini modificherebbe la loro visione della vita?

R: Credo che le conseguenze sarebbero due. Aumenterebbe la nostra consapevolezza, in quanto esseri umani su questo pianeta, che non siamo i signori del feudo, che abbiamo dei “vicini” e dei “parenti” di specie diverse dalla nostra. La seconda conseguenza sarebbe un incredibile e potente impulso per l’etica, per la salvaguardia ecologica della terra, per la responsabilità delle vite di tutte le altre creature delle quali stiamo sostanzialmente facendo tabula rasa, causandone l’estinzione; vedere tutta questa morte dovrebbe causarci una sofferenza personale.

 


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