È mancata nei giorni scorsi la statunitense Rosemary Radford Ruether, nata a Georgetown (Texas, USA) nel 1936, una delle pioniere della teologia femminista. Nel corso di una lunga carriera accademica – era cattolica, ma non ha mai insegnato in istituzioni accademiche cattoliche – ha riflettuto in profondità sul ruolo delle donne nel cristianesimo: non ha temuto di interrogare la storia e le sue ambiguità, di contestare le idee dogmatiche più retrive, di sperimentare temi profetici, di spingere al cambiamento. Ha lasciato un segno indelebile: quasi cinquanta i libri che ha scritto in questi decenni, due dei quali – insieme ad alcuni contributi per la rivista Concilium – pubblicati in italiano da Queriniana. Per la sua franchezza e le sue posizioni innovative ha pagato un prezzo decisamente alto, ma la stima che le viene testimoniata da più parti in questi giorni non lascia dubbi sull’apprezzamento di cui gode la sua persona. Noi affidiamo allora alle parole di un’altra prestigiosa teologa femminista, Mary Hunt, sua amica prima ancora che allieva, il ricordo di questa figura indimenticabile.
Tributi e condoglianze si stanno moltiplicando in rete, mentre si diffonde la notizia della scomparsa della teologa femminista Rosemary Radford Ruether, morta all’età di 85 anni il 21 maggio 2022. Rosemary – una studiosa e attivista cattolica molto nota a livello internazionale – ci lascia decine di libri, un enorme quantità di articoli, più di dodici lauree honoris causa e onorificenze accademiche d’ogni genere. I suoi contributi agli studi femministi, alla teologia cattolica, ai diritti del popolo palestinese, all’ecologia, alla lotta al razzismo, all’opera di pace e a molte altre cause, saranno oggetto di tante dissertazioni per le future generazioni di studiosi. L’eredità della teologa americana – già membro di diversi consigli di direzione e comitati editoriali – non rimane però solo nelle menti, ma anche nei cuori dei familiari, degli amici e degli studenti che ora piangono la sua scomparsa.
In tanti possono raccontare degli aneddoti su di lei, relativi non tanto alla sua figura di studiosa, docente e attivista, quanto piuttosto alla sua personalità, talvolta timida ma sempre gentile e ironica, dotata di mente e soprattutto di cuore aperti. Per quanto mi riguarda, il ricordo che più di tutti mi rimane impresso risale ai primi anni Settanta. Eravamo alla Harvard Divinity School, dove Rosemary si trovava come visiting professor. Con me, si riferiva a quel periodo dicendo: «Ti ricordi, Mary, quando eravamo alla Harvard Divinity School…?». Naturalmente non accennava mai al fatto che io all’epoca ero una semplice studentessa di ventun’anni, al primo anno di laurea magistrale, mentre lei era in lizza per una cattedra per la quale si dimostrò poi troppo progressista, per non dire femminista.
Il suo atteggiamento collegiale, volto a incoraggiare gli altri mentre lei stessa avanzava con fatica nella carriera universitaria, ha insegnato ai suoi allievi a fare altrettanto. Abbiamo visto da vicino cosa ci voleva: ore e ore passate in biblioteca, corsi dai programmi densissimi, coraggiose incursioni intellettuali, mentre andava elaborando uno schema completamente nuovo per studiare le donne, escluse dalla storia della religione; la capacità di cambiare idea mantenendo la propria integrità; uno stile di scrittura che tenesse unita la miglior erudizione con l’ironia più pungente; le risposte, cortesi e rapide, a ogni piccola richiesta, ben prima dell’avvento della posta elettronica.
Mi meraviglio ancora per come sia riuscita a fare tutto e a mantenere quel che ora viene chiamato l’equilibrio casa-lavoro: essere donna, nel mondo accademico degli studi religiosi abitato da soli uomini, era assai più che difficile.
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Rosie, come la chiamavamo a volte, era fenomenale. Una volta, sempre negli anni Settanta, mi è capitato di ospitarla a Berkeley in California, perché era stata invitata come membro di una commissione di dottorato presso la Graduate Theological Union. Lesse i materiali accademici in un lampo, poi si rinchiuse nel mio studio a scrivere le proprie osservazioni per la discussione. Tutto quel che riuscivo a sentire era il fragore della macchina da scrivere; temevo che potesse prendere fuoco, tanto velocemente stava battendo sui tasti. Rosemary è uscita poco dopo, con diverse pagine fitte di commenti eruditi. La sua lettura elogiativa e critica di un argomento oscuro, che solo lei poteva gestire, fece bene alla difesa della tesi. Lo studente passò la discussione di dottorato, e Rosemary lanciò così un altro collega, in spirito di collaborazione invece che d’ostruzionismo. Ci dimostrò come si lavora da femministe.
Il marito di Rosemary, Herman Ruether, di professione politologo, è uno dei pochi uomini della sua generazione così intelligenti e sicuri di sé da amare e condividere la vita quotidiana con una donna eccezionale. La coppia aveva tre figli e Herman si faceva carico di molte responsabilità domestiche, a differenza della maggioranza dei maschi suoi contemporanei. Incoraggiava Rosemary nel suo lavoro, ne condivideva gli interessi con entusiasmo e s’impegnava in progetti comuni, specialmente relativi al Medio Oriente.
Rosemary è stata una teologa di fama mondiale, tra le prime donne a viaggiare molto per studiare e tenere dei corsi, introducendo concetti e strategie che hanno aiutato altre donne a trovare la propria strada. Andava per il mondo ovunque la invitassero. Prestava ascolto e si divertiva, imparando molto sui progetti in corso nelle varie realtà locali. Fatto ritorno a casa, si metteva a scrivere, sforzandosi di costruire reti resistenti a livello globale. La solidarietà era il suo tratto caratteristico, che si trattasse di ecologia, della Palestina o dell’ordinazione delle donne.
Rosemary è stata una teologa completa, una “attivista studiosa”, come l’ho definita io stessa. Era una pittrice (aveva preso in considerazione di specializzarsi in arte, al college), e le piaceva fare giardinaggio e cucinare. Adorava il giardino di Pilgrim Place, la comunità progressista di Claremont in California, dove lei e il marito si erano ritirati. Una volta, durante una mia visita, si è presentata (a un incontro in programma sulle opportunità per il volontariato ecumenico) portandosi il pranzo e dicendo di averlo fatto lei stessa. Intendeva cioè dire che aveva cotto il pane, coltivato il basilico e raccolto i pomodori. Certo, oltre ad aver scritto un articolo quella stessa mattina.
Nella sua teologia e sua nella spiritualità si è occupata in lungo e in largo del ruolo delle donne nella chiesa. Con la biblista Elisabeth Schüssler Fiorenza ha gettato le basi per delle forme di fede cristiana femminista che andassero a sostituire le strutture kyriarchiali con delle comunità di base ugualitarie, un processo decisionale condiviso e un ministero reciproco. Tutto, dall’architettura all’esegesi, dalle finanze alla musica, può e deve riflettere i valori di uguaglianza e giustizia, se le donne vogliono partecipare. Tante femministe hanno lasciato il cristianesimo, e il cattolicesimo in particolare, quando si è dimostrato resistente al cambiamento e malsano per la spiritualità di molte persone. Ma, a quanti e quante hanno deciso di lottare e di rimodulare radicalmente i contorni del cristianesimo patriarcale, il lavoro di Rosemary e di Elisabeth ha saputo fornire un utile fondamento. La storia non lo dimenticherà.
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Una volta con Rosemary ci siamo ritrovate in una liturgia femminista per un breve momento di condivisione. Ci era stata data l’indicazione di usare il testo di un canto per esprimere un augurio per l’altra persona. Non mi sorprese che Rosemary scegliesse uno spiritual, appreso probabilmente grazie al suo attivismo per i diritti civili. Disse: «Oh, Mary, non piangere, non singhiozzare».
Non piangerò per la tua scomparsa, Rosemary. Ma, con profonda gratitudine per il grande esempio che ci ha dato, lavorerò come hai fatto tu, per mettere fine ai tanti motivi di pianto nel mondo. Riposa in pace e risorgi fra i giusti.
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